Stupro Palermo, torna in carcere anche più giovane degli indagati: si vantava sui social

Cronaca
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L'aggravamento della misura cautelare è stato chiesto dopo le indagini sul cellulare del ragazzo, minorenne al momento dei fatti ma ora 18enne. Gip: "La chat del 7 luglio (poco dopo lo stupro) rivela inequivocabilmente l'estremo compiacimento rispetto a quanto accaduto, la sua totale insensibilità rispetto alla atrocità commessa considerata fonte di divertimento e il suo disprezzo per la vittima". Gli altri sei indagati hanno chiesto di essere allontanati dall'istituto dove sono reclusi perché oggetto di minacce

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Torna in carcere il ragazzo (minorenne al momento del fatto, ora 18enne) accusato, insieme ad altri sei giovani, della violenza di gruppo ai danni di una 19enne avvenuta il 7 luglio scorso a Palermo. È un aggravamento della misura cautelare che nei giorni scorsi il Gip gli aveva revocato, affidandolo a una comunità e sostenendo che il giovane avesse compiuto una "rivisitazione critica" del suo comportamento. Contro il provvedimento di scarcerazione aveva presentato ricorso la Procura per i minorenni. Alla base della decisione le indagini condotte sul cellulare del ragazzo. Agli altri sei ragazzi accusati, che si trovano nel carcere Pagliarelli a Palermo, sarebbero arrivate minacce dagli altri detenuti. A lanciare l'allarme è la direzione del penitenziario, che chiede "l'immediato allontanamento per prevenire possibili azioni destabilizzanti per l'ordine e la sicurezza". Perché "l'elevato clamore mediatico della vicenda ha determinato la piena conoscenza dei fatti anche alla restante popolazione detenuta, ragion per cui - scrive la direzione - sono invisi alla stessa inclusi i detenuti delle sezioni protette dove si trovano" i giovani.

Le indagini sul cellulare e i video su TikTok

Secondo quanto si è appreso, dopo essere stato collocato in comunità, il più giovane degli indagati ha violato le consegne di non comunicare con l'esterno. In comunità avrebbe cioè avuto l'opportunità e i mezzi per inviare messaggi non consentiti. "La nuova misura cautelare - scrivono in una nota ai carabinieri del comando provinciale di Palermo - scaturisce dalla richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che, acquisendo il quadro indiziario raccolto dalle indagini dei carabinieri, riguardante l'analisi del contenuto del cellulare sequestrato all'indagato e i profili social, ha formulato la richiesta di aggravamento nei confronti dell'unica persona che al momento del fatto era minorenne". Alla base della decisione del Gip c'è il fatto che il giovane dopo essere stato scarcerato ha girato una serie di video, postati su Tik Tok, violando le prescrizioni del magistrato, con le seguenti frasi: "Chi si mette contro di me si mette contro la morte", "le cose belle si fanno con gli amici". E poi: "Sto ricevendo tanti messaggi in privato da ragazze, ma come faccio a uscire con voi, siete troppe"; "ah volevo ringraziare a chi di continuo dice il mio nome, mi state facendo solo pubblicità e hype"; "Arriviamo a 1000 follower così potrò fare la live e spiegarvi com'è andata realmente". Poi aggiunge: "Mi piace trasgredire" e come musica di sottofondo si sente la canzone "Nun se toccano e femmine". Per finire, l'ultima immagine raffigura gli attori del film Quei bravi ragazzi.

"Nessun percorso di consapevolezza del gravissimo reato"

Ma c'entrano anche alcuni messaggi scambiati con un amico con la decisione del giudice di aggravare la misura cautelare. La notte dello stupro il ragazzo racconta a un amico quello che è successo quella notte con descrizioni agghiaccianti: "Lei si è sentita male ed è svenuta più di una volta, troppi cianchi (troppe risate) cumpà. Troppo forte". E ancora: "Manco a canuscievo (non la conoscevo), siamo stati con lei in sette". "Tali nuovi e sopraggiunti elementi investigativi - si legge nel provvedimento del gip Antonina Pardo - tratteggiano la personalità di un giovane che lungi dall'aver avviato un percorso di consapevolezza del gravissimo reato commesso (avvalendosi della forza del gruppo ai danni di una giovane donna resa inerme a causa dell'intossicazione da alcol procurata dagli stessi partecipanti alla violenza) avendo ottenuto condizioni di maggiore libertà con l'inserimento in comunità ha continuato a utilizzare il telefono cellulare o altro dispositivo informatico per vantarsi delle sue gesta e per manifestare adesione ai modelli comportamentali criminali".

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"La chat del 7 luglio (poco dopo lo stupro) rivela inequivocabilmente l'estremo compiacimento del minore rispetto a quanto accaduto, la sua totale insensibilità rispetto alla atrocità commessa considerata fonte di divertimento e il suo disprezzo per la vittima - scrive la Gip - Ciò induce fondatamente a ritenere che le parziali ammissioni del minore in sede di interrogatorio di garanzia nel corso del quale lo stesso ha ammesso di aver partecipato alla violenza di gruppo alla luce del sopraggiunto quadro investigativo hanno avuto una valenza assolutamente strumentale volta unicamente ad ottenere l'attenuazione della misura". "Peraltro - prosegue l'ordinanza - in quella sede l'indagato ha fornito una versione dei fatti non combaciante con quanto riferito dalla parte offesa (l'indagato ha sostenuto di avere a un certo punto aiutato la vittima) e con quanto emerso dalle videoriprese relative alle fasi di violenza sessuale rintracciate sul telefono del coindagato Angelo Flores che danno contezza della partecipazione del minore e del suo ruolo attivo sia rispetto alla violenza sessuale sia rispetto alle azioni violente che furono messe in atto e che accompagnarono la violenza sessuale (la vittima venne anche picchiata)".

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Direzione carcere chiede di “spostare gli indagati”

La richiesta di spostare dal carcere Lorusso di Pagliarelli i sei arrestati per la violenza di gruppo a Palermo è stata avanzata dalla direzione dell'istituto penitenziario. Con una nota del direttore reggente si chiede l'allontanamento dal carcere dei giovani indagati Elio Arnao, Christian Maronia, Samuele La Grassa, Gabriele di Trapani, Angelo Flores e Cristian Barone che sono stati arrestati per lo stupro di gruppo. "Si chiede l'immediato allontanamento da questo istituto dei detenuti atteso che l'elevato clamore mediatico della vicenda ha determinato la piena conoscenza dei fatti anche alla restante popolazione detenuta, ragion per cui sono invisi alla stessa inclusi i detenuti delle sezioni protette dove sono si trovano" scrive la direzione. Oltre al clamore mediatico c'è anche un problema organizzativo. I sei detenuti hanno anche il divieto d'incontro "che con non poche difficoltà - aggiunge la note - si riesce a garantire, atteso che i detenuti coinvolti nella vicenda sono sei. Alla luce di quanto sopra per prevenire possibili azioni destabilizzanti per l'ordine e la sicurezza si chiede con urgenza di valutare l'immediato allontanamento da questa sede degli stessi".

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Il monito del Garante

Il Garante della privacy ha lanciato un avviso spiegando che la vittima dello stupro va tutelata, serve il massimo riserbo. E chi divulga informazioni di qualsiasi tipo che possano far risalire alla sua identità o condivide video va incontro alle sanzioni stabilite dal codice penale: l'art. 734 bis prevede dai tre ai sei mesi di carcere. L'Autorità con due provvedimenti d'urgenza ha rivolto un avvertimento a Telegram e alla generalità degli utenti della piattaforma, affinché venga garantita la necessaria riservatezza della ragazza. E sui contenuti dei social anche i familiari degli indagati si sono rivolti alla polizia per denunciare i messaggi di minacce e gli insulti ricevuti da quando si è diffusa la notizia che i ragazzi erano stati arrestati. Agli investigatori è stato chiesto di identificare gli autori dei commenti nelle piattaforme online ma anche e soprattutto chi ha realizzato i profili fake dei giovani e chi ha postato su Facebook, Instagram e Tik tok le foto degli indagati dandole in pasto a milioni di persone. La polizia postale dovrà passare al setaccio tutti i social dove sono presenti migliaia di post e di commenti.

Cosa rischia chi diffonde i video

L'articolo 734 bis del codice penale prevede che “chiunque, nei casi di delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa senza il suo consenso, è punito con l'arresto da tre a sei mesi”. La violazione della privacy di una persona vittima di violenza sessuale, spiega Il Messaggero, prevede anche pesanti sanzioni pecuniarie. Diffondere il video rappresenta una violazione anche del Gdpr, il regolamento generale della protezione dei dati. Non esistono cifre fisse per la sanzione, che dipende da vari fattori, ma si può andare dai 5mila ai 50mila euro.

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