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Parto in anonimato e riconoscimento del bambino, cosa prevede la legge italiana

Cronaca

Il Dpr 396 del 2000 sancisce il diritto di tutte le donne, italiane e straniere con o senza documenti, a partorire in ospedale in maniera anonima e gratuita. La richiesta di anonimato può essere fatta durante la dichiarazione di nascita, scatta così la segnalazione del neonato al tribunale dei minori. In Italia i bambini non riconosciuti alla nascita, secondo le stime della Società italiana di neonatologia, sono 300 ogni anno

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Il diritto di partorire in ospedale in maniera anonima e gratuita per tutte le donne, italiane e straniere con o senza documenti. È questo quanto previsto dalla legge italiana, attraverso il Dpr 396 del 2000, per le donne che, dopo il parto, decidono di dare in affidamento il figlio. Se ne è discusso nella puntata di Timeline, a Sky TG24, dopo il caso del piccolo E. lasciato nella mattina di Pasqua nella culla per la vita del Policlinico di Milano.

Abbandono, la situazione in Italia: leggi e dati

Secondo i dati raccolti da Sky TG24, tra i principali motivi dell'abbandono del neonato ci sono il disagio psichico e sociale (21% dei casi) e la paura di perdere il lavoro (11%). Le donne che decidono di non riconoscere il figlio dopo il parto sono per il 62,5%, ma il 40% del totale è senza fissa dimora. Il diritto al parto in anonimato è sancito dal Dpe 396/2000 è può essere chiesto durante la dichiarazione di nascita e in questo momento scatta la segnalazione del neonato al tribunale dei minori. In Italia i bambini non riconosciuti alla nascita, secondo le stime della Società italiana di neonatologia, sono 300 ogni anno. Nel 2021 le dichiarazioni di adottabilità di minori sono state 1072, di queste in 173 casi non era nota l'identità dei genitori. Secondo la legge 149 del 2001, la persona adottata può avere accesso all'identità dei genitori biologici solo se è stata riconosciuta alla nascita, non quando è stato chiesto il parto anonimo.

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Rava: “Diffondere normativa che dà diritto alle donne di partorire in anonimato”

Maria Vittoria Rava, presidente della fondazione Francesca Rava, parlando del progetto Ninna Ho, Nato nel 2008 per contrastare il fenomeno dell'abbandono neonatale e dell'infanticidio, ha spiegato come l'iniziativa si pone “l'obiettivo di diffondere la normativa che dà diritto a tutte donne di partorire in anonimato in ospedale, evitando di mettere a repentaglio la propria vita propria e quella del bambino partorendo in casa. Questa legge consente di partorire in modo gratuito e anonimo in ospedale”. Inoltre, il secondo obiettivo del progetto è quello di installare le culle salva vita, proprio come quella che ha accolto il piccolo E. al Policlinico di Milano. “Ci si auspica che non ci siano bambini in queste culle, ma sono alternative al cassonetto”, ha detto Rava.

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Cavallo: “Più facile lasciare il bimbo nella culla che chiedere un parto anonimo”

“È possibile che per una donna in difficoltà sia più facile lasciare il bambino in una culla che chiedere un parto anonimo, perché si sente più sicura – ha affermato Melita Cavallo, ex presidente del Tribunale dei minori di Roma, spiegando che – Per il parto anonimo la donna deve comunque entrare in ospedale, quindi viene vista e potrebbe trattarsi di una persona nota che non vuole far sapere. Possono essere tanti i motivi dell'abbandono – ha proseguito Cavallo – spesso si verificano quando c'è violenza domestica in famiglie insospettabili. Sono situazioni molto diverse che portano la madre a preferire di lasciare il figlio fuori, piuttosto che entrare in ospedale. Penso che questo clamore sia dovuto al fatto che eravamo nel giorno di Pasqua – ha poi detto l'ex presidente del tribunale dei minori – giorno in cui questa donna si è sentita maggiormente portata a dare al bambino una vita diversa da quella che poteva dare lei a quel bimbo che ama e che amerà sempre – ha aggiunto Cavallo ricordando che – La donna può presentarsi al tribunale dei minori e dire di essere la madre del piccolo e di averci ripensato, ma questo deve avvenire subito, non quando il bambino è stato già collocato in una famiglia adottiva”.

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Barillà: “I bimbi adottati hanno il problema di sapere chi sono”

“È toccante quanto avvenuto, questa mamma il bambino lo ha voluto. Mi piace si tengano aperte tutte le strade alla vita – ha invece commentato il dottore Domenico Barillà - C'è un legame con le origini che ci unisce, i bimbi adottati hanno il problema di sapere chi sono. Una paziente mi disse: 'Vorrei sapere da chi ho preso i miei occhi'. È importante sentirsi parte di qualcosa che rappresenta una continuità”, ha spiegato Barillà.

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