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Women at Work, un progetto per le donne vittime di violenza

Cronaca

Gaia Mombelli

Waw (Women at Work) è un progetto che aiuta le donne e i loro figli a ricostruirsi una vita dopo anni di violenza. Otto associazioni coordinate operanti nel nord Italia e in Svizzera offrono una nuova opportunità per queste madri lontano dal dolore

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"Sono entrata in comunità con i miei figli aiutata dalle assistenti sociali. Fino ad allora ho passato tanti anni incarcerata da lui a casa, senza sapere nulla di come fosse il mondo, di cosa succedesse fuori dalle mura di casa. Non conoscevo nessuno a parte i miei figli e lui. Qui ho cominciato a vedere la vita". A parlare è Anita (nome di fantasia), moglie e madre. Per anni vittima di violenza, con un marito che non le ha mai permesso di essere autonoma. Ogni tentativo di ribellione era motivo di litigi e botte, fin quando Anita ha trovato il coraggio, e il giusto sostegno, per dire "Basta!".

Il progetto Waw

Otto partner, 6 italiani e 2 svizzeri. Trecento donne da aiutare e sostenere con progetti di inclusione lavorativa. Da dicembre 2020 è partito il progetto Waw, Women at Work, una rete di associazioni con l'obiettivo di supportare le donne e i loro figli, vittime di violenza. "Lo specifico delle comunità", spiega Luigi Campagner, coordinatore del progetto Waw, "è quello della protezione, la tutela e la riformulazione di un progetto personale, che non è già necessariamente anche un progetto professionale, tuttavia succede molto spesso".

 

Una volta inserita in ambito lavorativo la donna viene sostenuta fino alla completa autonomia. Anni di violenza rendono fragile queste mamme che spesso vivono recluse senza alcuna autonomia. "Oggi", spiega ancora Campagner, "il fatto che ci sia la presenza di molte culture fa sì che ci troviamo davanti comportamenti che sarebbero per la nostra cultura attuale squalificanti, ma già da molti anni".

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Imparare a cucinare per 2 o per 10 persone, curare un bambino, gestire il budget familiare con oculatezza, lavorare all'esterno in un'occupazione quotidiana, gestire il tempo libero e le vacanze costituiscono un grande traguardo per queste donne. Il che non significa dimenticare, ma ricostruire. "Abbiamo notato", conclude Campagner, "un aumento di queste segnalazioni, nel senso che sono diventate più fluide, sono meno difficili di quanto non fossero 15-20 anni fa quando erano più rare e bisognava contrastare in qualche modo una tendenza sociale a tenerle più nascoste, coperte".

 

Giorno dopo giorno, fragilità e passi avanti, successi e sconfitte, ricadute e vittorie. Il percorso per chi entra in queste comunità è difficile e impegnativo. Ma è il primo passo concreto per il recupero della propria normalità, della propria libertà. "In comunità", ci racconta ancora Anita, "ho imparato pian piano a essere autonoma, ce l'ho fatta a trovarmi un lavoro, a prendere la patente. Quando ero con lui queste cose erano solo dei sogni, invece adesso i miei sogni si stanno avverando".

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