Orfani di femminicidio: le risposte che mancano

Cronaca

Monica Peruzzi e Gaia Bozza

In Italia sono oltre 2000 gli orfani di femminicidio ma possiamo affidarci solo alle stime, perché i dati ufficiali non esistono. Anche questo rivela una realtà di dolore e solitudine. Un destino che accomuna questi orfani di Stato. Ce lo racconta uno di loro, Carmine Ammirati, figlio di Enza Avino, uccisa dall'ex nel 2015.

E’ il 14 settembre 2015 quando Enza Avino viene uccisa a colpi d’arma da fuoco, esplosi da un’auto in corsa. L’auto era guidata dal suo ex fidanzato. Lui la tormentava da anni, ma negli ultimi tempi le cose erano peggiorate. La violenza era aumentata da quando lei aveva deciso di lasciarlo, anche per proteggere suo figlio, Carmine, che viveva con lei.

Oggi è Carmine a raccontare l’incubo in cui è piombato da quella giornata di metà settembre.

Il racconto di Carmine 

 

“Mi ricordo che mia madre scese da casa per andare a fare l’ennesima denuncia dai carabinieri. Gli disse ‘guardate che quello è fuori che mi aspetta e mi vuole uccidere’, ma loro non fecero nulla. Non la scortarono neppure a casa. Lei allora uscì dalla caserma e lui la raggiunse con la macchina. E le scaricò il caricatore della pistola addosso.Per me, lì, è caduto il mondo”.

 

Carmine Ammirati è un ragazzo che vuole ricordare la mamma, per quanto doloroso sia, per renderle omaggio e prendere per mano gli altri orfani di femminicidio del nostro Paese. Per questo ha anche scritto un libro, “Là dove inizia l’orizzonte”.

Carmine è uno degli orfai di femminicidio del nostro Paese, uno dei volti nascosti della violenza di genere. Un sopravvissuto. In Italia sono oltre 2100, questi orfani speciali.

 Ma possiamo affidarci solo alle stime, perché se raccogliere i dati sui femminicidi è già di per sé molto complesso, lo è ancora di più trovare quelli di chi resta.

Perché non si trovano dati ufficiali 

Anche questa difficoltà ci riporta a una realtà fatta di dolore e solitudine, come ci racconta Damiano Rizzi, psicologo dell’Ospedale San Matteo di Pavia, che per la Fondazione Soleterre segue molti di questi bambini.

Anche lui è un sopravvissuto.

Al termine di un lungo iter giudiziario, ha avuto in adozione il nipote, figlio della sorella, uccisa dal marito.

“I dati non ci sono per tanti motivi. Io credo che se ancora oggi le donne rischiano di essere poco viste dal punto di vista della nostra società, i bambini lo sono ancora di meno. I bambini, gli adolescenti, sono nell’ombra. Neanche una pandemia, che è un evento eccezionale, unico, che avrebbe dovuto mettere in moto con i tempi di un’emergenza delle azioni nei confronti dei bambini e degli adolescenti, è riuscita ad accendere i riflettori su di loro. Non solo sugli orfani di femminicidio, che sono una piccola parte, per fortuna, della grande popolazione dei bambini. Neanche la pandemia, che ha colpito tutte le famiglie italiane, è riuscita a smuovere qualcosa. Ancora oggi non esiste la possibilità di un supporto psicologico per i ragazzi. L’80%  non ha possibilità di accedere all’aiuto di uno specialista, se non a pagamento”.

 

“Un orfano di femminicidio vive una vita consapevole di essere un orfano, ma ha anche paura di porsi di fronte alle altre persone perché è difficile raccontare quello che hai vissuto e quello che ancora vivi – continua Carmine Ammirati - Vivere ogni giorno senza la persona più importante della tua vita è durissima. Mia madre, per me, non era una semplice mamma ma era la mia migliore amica. Io facevo tutto con lei, quindi avere improvvisamente questa mancanza è molto difficile. E’ difficile andare avanti e rapportarsi con le altre persone”.

La legge italiana e la realtà con cui si scontrano gli orfani

La nostra legislazione è una delle più avanzate in Europa per la tutela di chi resta, di chi sopravvive alle violenze. Con il decreto entrato in vigore il 16 luglio 2020,  lo Stato garantisce alcune tutele sul diritto allo studio, spese mediche e inserimento nell’attività lavorativa. Ma l’iter per accedere a questi fondi è molto complesso e soprattutto richiede di attendere i tempi della giustizia. Mentre è il tempo che gli orfani non hanno.

 

“Bisogna guardare anche a una immediatezza dell’intervento – spiega il Prefetto Marcello Cardona, Commissario per le vittime di reati violenti - In questo senso la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, da quando si è insediata, ha un’attenzione estrema nell’approfondimento di questa tematica. In questi ultimi mesi si sta lavorando con l’ufficio legislativo del Ministero dell’interno per poter intervenire a favore degli orfani con una provvisionale che potrebbe essere anche a fondo perduto. Mi spiego: se mi trovo di fronte a questa situazione di emergenza, ho bisogno di trasferire il bambino da una scuola a un’altra, oppure bisogna avere subito una somma a disposizione importante per fargli cambiare casa, addirittura per fargli cambiare contesto sociale”.

Carmine Ammirati, proprio su questo, racconta la sua esperienza.

 “Io ho dovuto abbandonare gli studi, in quel periodo. Non potevo più andare a scuola. Per fortuna ho avuto il sostegno di tante brave persone, che mi hanno aiutato. La Fondazione Edela, che sostiene gli orfani di femminicidio proprio sull’educazione, sull’istruzione, è stata determinante. Grazie a loro sono riuscito a diplomarmi. Avere un titolo di studio è importante per tutti. Per noi lo è ancora di più”.

“Gli orfani di femminicidio si ritrovano in situazioni per le quali non ci sono aiuti di alcun tipo, dallo Stato, dalla società, dal contesto in cui vivono. Un orfano di femminicidio è un bambino che in un momento perde la mamma, perde la casa – prosegue Damiano Rizzi - E’ una condizione di bisogno estrema da tutti i punti di vista. Dal punto di vista economico, perché non sappiamo se intorno a lui ci sia una rete familiare capace di sopportare lo sforzo. 

Dal punto di vista emotivo, perché qual è il trauma di un bambino che si addormenta la notte e il giorno dopo si sveglia e il suo mondo interamente non c’è più. Non c’è più.

Ti raccontano che non puoi più tornare a casa, che non puoi giocare con i tuoi giochi, ti raccontano che non puoi abbracciare la mamma, che non è più possibile incontrare il papà, che per te non è mica un assassino, è il tuo papà. E poi cosa succede nella realtà? Succede che non sono pronti i tribunali, non sono pronti gli avvocati, mancano i giudici tutelari. Nei palazzi di giustizia ci sono i dossier che rimangono ad attendere che l’orfano di femminicidio possa avere un tutore e hai voglia aspettare. A volte non c’è nessuno che apra le lettere che inviano gli avvocati. Capisce di cosa sto parlando?”

“Potremmo anche iniziare a pensare anche a bloccare i beni del reo – aggiunge il Prefetto Cardona – In Italia abbiamo una normativa fra le migliori in Europa su beni e confisca, che però è soggetta al nostro iter giudiziario.  Quando succedono questi eventi disastrosi bisognerebbe però trovare il sistema di mettere una bandierina sui beni del reo. Perché, glielo dico con estrema onestà, quando la sentenza passa in giudicato, il bene del reo diventa deprezzato o addirittura non c’è più. Scompare. Questo fa parte di quel pilastro che serve a indennizzare la vittima dove è lo Stato che interviene. Però mi chiedo se dopo tanto tempo siano sufficienti per una violenza indennizzare 25.000 euro. Dobbiamo fare una pausa. Dobbiamo riflettere su questo”. 

“Noi abbiamo bisogno ogni giorno – prosegue Carmine - Ci sono i ragazzi più grandi che magari non hanno un’istruzione e non hanno un lavoro ma devono pagare l’affitto, le spese di tutti i giorni. Non parliamo del sostegno psicologico. Noi siamo figli dello Stato e ancor di più lo Stato si deve prendere cura di noi.

Ecco perché il fattore economico è molto importante. Bisogna spronare il governo a occuparsi di questo aspetto”.

Una società che non sa intercettare l'abisso

In una situazione di bisogno estrema come questa, è difficile parlare di soldi. In mezzo ci sono gli affetti, l’amore. Nulla potrà restituire a quei bambini, a quei ragazzi, la loro mamma.

Ma questi bambini sono vittima di una società che non ha saputo intercettare l’abisso.

“Quando accade un femminicidio tutti ci interroghiamo su cosa può essere successo. Cerchiamo risposte, cerchiamo di capire cosa è accaduto in quella coppia, indaghiamo – racconta Damiano Rizzi - E ci si rende conto che non è mai un atto improvviso, in cui le cose andavano bene e un pomeriggio o una sera succede qualcosa e l'uomo arriva a uccidere. Il femminicidio  non è che l‘ultimo atto, un atto che segue a periodi molto lunghi, spesso anni, in cui ci sono segnali che non vengono ascoltati dai medici per esempio, dai familiari stessi. Perché? Dal mio punto di vista il motivo è da ricercare nel fatto che a livello di sistema sanitario nazionale possiamo contare su uno psicologo ogni 10.000 abitanti. Con questi numeri è impossibile intercettare il disagio e prevenire il peggio.”

"Le cose avevano inziato ad andare male da tanto tempo  - ricorda Carmine - Era come se lui volesse creare delle situazioni di tensione anche se non c'era alcun motivo. Voleva provocare la lite, voleva alzare la tensione. In casa era tutto rotto. Tante volte ho provato a mettermi io in mezzo per evitare il peggio. Ma era tutto inutile. Le cose peggioravano soltanto".

 

“Un orfano di femminicidio  va assistito per tutta la vita - conclude il Prefetto Cardona - Per me è come una vittima di guerra. Una guerra che, oggettivamente, per quel reato, lo Stato ha perso, perché non lo ha saputo intercettare”.

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