“La sfida del Covid - Milano”: il reportage di Sky TG24 nel capoluogo lombardo

Cronaca

Francesca Cersosimo

Una città sospesa, che è stata decretata zona rossa e dopo il lockdown di marzo riscopre restrizioni e silenzi. Qui il coronavirus ha messo a dura prova sia il suo tessuto economico più dinamico sia le fasce più fragili. Ora tutto deve ritrovare una dimensione diversa, ridotta, più intima. Chi non vuole fallire deve reinventarsi. E mentre il centro si svuota e le periferie si riorganizzano, la macchina della solidarietà si mette in moto per aiutare i nuovi poveri

Milano sospesa. Lo slogan campeggia lungo il recinto che circonda un cantiere davanti alle Colonne di San Lorenzo. È la frase scelta, in tempi non sospetti, da una società di immobili di pregio che sta costruendo proprio qui, nuovi, costosi appartamenti. Uno degli angoli più belli di Milano, a un passo dal Duomo, vicino a via Torino, non lontano dai Navigli. Le Colonne sono un luogo amato e frequentato fino a notte fonda da frotte di ragazzi, dove il tram 3 la sera passa a fatica tanta è la folla che si ritrova qui. La vicinanza con il Parco delle Basiliche rende lo spiazzo mèta ideale per le famiglie e per le passeggiate in bicicletta. Ma ora tutto è più silenzioso. E più vuoto. Milano è sospesa in un semi lockdown (LE FOTO - LO SPECIALE COVID), meno brutale e desolante di quello di marzo, ma ugualmente avvilente (I REPORTAGE DI SKY TG24 A ROMA/LE FOTO - A PALERMO/LE FOTO - A GENOVA/LE FOTO).

Milano zona rossa

Decretata zona rossa, la città riscopre restrizioni e silenzi. Certamente oggi sono molti di più i negozi aperti, tra cui i parrucchieri, le librerie, i giocattolai, i fiorai che con i loro colori rendono meno grigia la giornata. La ristorazione si è fermata solo in parte. Pizzerie, piadinerie, pasticcerie e chioschi lavorano. Vietati il servizio ai tavoli e la consumazione al bancone, molti bar e ristoranti si sono dati al take away e al delivery. E così i muretti, le panchine e i gradini della città vengono riconvertiti in piani d’appoggio di fortuna per pranzi e colazioni frettolose. I parchi - a marzo chiusi - sono ora lo sfogo di molti per correre, andare in bici, fare lezioni di ginnastica o di yoga all’aperto. Sebbene quindi ci sia più gente in giro durante il giorno, dalle 18 in poi Milano si svuota e si ferma. Il vero lockdown è quello serale. Anche chi durante il giorno può uscire per andare al lavoro o a prendere i figli più piccoli a scuola rimane a casa. E non resta che l’eco dei passi e il riflesso dei lampioni. E chi non ha casa. Milano di notte diventa la terra dei clochard.

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Foto di Francesca Cersosimo

L’impatto sull’economia della città

L’impatto sull’economia della città è pesante. Per i negozi che si stavano un po’ riprendendo dopo l’estate questo nuovo colpo sarà doloroso. Molti hanno chiuso e non riapriranno. Sono 49mila gli esercizi coinvolti. Si stima un 9% di fatturato annuo in meno. Con incassi già scesi del 40% e un calo crescente dei consumi, un terzo degli esercizi commerciali è a rischio chiusura entro l’anno. È il tempo di ridimensionarsi e di scoprire una nuova normalità, nella città dove tutto era possibile e fattibile, dove si andava a mille e i periodi delle week erano un’ubriacatura collettiva di eventi, vernissage, cene, traffico e aperitivi, ora tutto deve ritrovare una dimensione diversa, ridotta, più intima. Come ammette con lucidità Filippo La Mantia, chef dell’omonimo e prestigioso ristornate a piazza Risorgimento: “Mi trasferirò in un locale più piccolo, più ‘casa’, più tranquillo. Che senso ha avere un castello se ci si deve vivere in due? Un ristorante di 1.800 metri quadrati, al costo di 31mila euro al mese, era sostenibile prima, quando qui si facevano tanti eventi, ma ora quella Milano non c’è più. Senza eventi non ha senso tutto questo spazio. Non sono amareggiato, bisogna essere consapevoli di quello che non possiamo più essere. Eravamo narcotizzati ora ci dobbiamo abituare a cosa dobbiamo essere da febbraio in poi”.

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Reinventarsi per non fallire

Reinventarsi per non fallire. Chi si è fermato si è dato per sconfitto. Invece Francesco D’Argenzio e sua moglie Consuelo, che nel 2019 hanno aperto il loro Tram Tram a via del Lazzaretto, non si sono dati per vinti e dopo il primo shock si sono riconvertiti al delivery portando loro stessi ai clienti vino e piatti prelibati, e ora anche cesti natalizi e oggetti per la tavola. “Questa seconda chiusura – dice Francesco – è più dura della prima perché anche chi aveva resistito come noi in quei tre mesi ora è affaticato psicologicamente e provato economicamente. Inoltre la richiesta adesso è inferiore forse perché si può uscire di più. Comunque andiamo avanti e non ci deprimiamo, sperando che presto si allentino i divieti. In segno di speranza abbiamo acceso anche le luci di Natale”.

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Foto di Francesca Cersosimo

Dal centro alle periferie

Senza turisti, studenti e lavoratori, senza quei city users che popolavano le sue strade, i suoi grattacieli e i suoi hotel e case, Milano scopre quella che è stata definita la desertificazione. Si lavora, e quindi si vive, lontano da lei. Lo smart working massiccio sta modificando le sue gerarchie urbane e ha rimodellato l’urbanistica. Gli uffici si sono svuotati e quartieri si sono ripopolati durante il lockdown, diventando il luogo dove trovare tutto, il fulcro della giornata. Non potendosi spostare diventavano il centro, mentre il centro si svuotava. Da qui i tanti progetti anche del Comune per riqualificarli e per vivere meglio la periferia. Uno di questi è “il verde in fondo al tunnel” dell’Orto sociale Niguarda che durante la chiusura ha sviluppato una rete di collette alimentari. “Durante i mesi più duri potevamo venire nel nostro orto per raccogliere i prodotti – ci racconta Arianna Bianchi – erano molti e molte erano le richieste da parte del quartiere di avere prodotti freschi. Li abbiamo distribuiti alle famiglie più in difficoltà che sono sempre di più in questa fase di crisi. Ora con il progetto puntiamo a mettere delle serre e a rendere l’orto ancora più aperto ai cittadini e più produttivo”.

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La nuova povertà

La solidarietà è l’altra faccia del lockdown e la nuova povertà un’eredità del Covid. Tanti hanno perso il lavoro, tanti non ricevono la cassa integrazione, chi era a nero non ha più alcuna entrata. Si calcola che siano almeno 9.000 i nuovi poveri a Milano, molte le donne, come Monica, 45 anni, la conosciamo mentre è in fila a Pane Quotidiano, una onlus che distribuisce ogni giorno 1.400 pasti. La coda dalle 8 di mattina in poi è impressionante. Tanti i volti nuovi. Come lei, sola con due figli a carico, ferma da febbraio. Dopo che l’hotel dove lavorava ha chiuso ha ricevuto solo una parte della cassa integrazione. “Ci sono state settimane intere in cui abbiamo mangiato solo riso bollito. Non avevamo altro. Cosa dare ai miei figli è il mio primo e ultimo pensiero della mia giornata. Mi sembra un sogno, spero di svegliarmi, non è possibile. Vivo alla giornata, non penso più, se pensi al futuro non ce la fai. Sono troppo vecchia per lavorare e troppo giovane per la pensione. Sono in trappola, sono nelle loro mani”. Il Covid ha messo a dura prova la città, sia il suo tessuto economico più dinamico che le fasce più fragili. Ma forse la città del futuro potrà ripartire da qui. Da una nuova consapevolezza. Scoprire un nuovo sviluppo. Per non lasciare indietro nessuno stavolta.

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