La Corte d'Assise ha depositato le motivazioni della sentenza emessa ad aprile: "L’invito al dialogo rivolto dai carabinieri a Cosa Nostra avrebbe portato alla rapida esecuzione della strage. Dell'Utri informava Berlusconi dei rapporti con la mafia mediati da Mangano"
La Trattativa Stato-Mafia indusse Cosa Nostra ad accelerare i tempi per uccidere il giudice Paolo Borsellino (CHI ERA). A dirlo sono i giudici della Corte d'Assise di Palermo, che hanno depositato oggi, nel giorno del 26esimo anniversario della strage di via D'Amelio, le oltre 5mila pagine di motivazioni della sentenza emessa lo scorso 20 aprile. La Corte si concentra soprattuto sull'invito al dialogo che i carabinieri fecero arrivare al boss Totò Riina dopo la strage di Capaci. Il processo è durato 5 anni e 6 mesi: i giudici hanno condannato a vario titolo gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, l'ex senatore Marcello Dell'Utri, Massimo Ciancimino e i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà. Assolto invece dall'accusa di falsa testimonianza l'ex ministro democristiano Nicola Mancino.
Le motivazioni della sentenza
La Corte precisa che "non c'è dubbio che quell'invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l'effetto dell'accelerazione dell'omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato e di lucrare, nel tempo, dopo quell'ulteriore manifestazione di incontenibile violenza concretizzatasi nella strage di via d'Amelio, maggiori vantaggi rispetto a quelli che sul momento avrebbero potuto determinarsi in senso negativo". Secondo quanto riferito dalla moglie di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, il giudice poco prima di morire le aveva fatto cenno a "contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi”.
I giudici: "La strage non è legata all'indagine Mafia-Appalti"
Secondo la Corte d'Assise di Palermo, quindi, i tempi della strage di via D'Amelio non furono accelerati né dall'indagine "Mafia-Appalti" che Borsellino stava effettuando, né dalla possibilità di una sua nomina a Procuratore Nazionale Antimafia, come sostenuto invece dai legali degli imputati. Piuttosto, scrivono i giudici, "l'improvvisa accelerazione che ebbe l'esecuzione del dottore Borsellino fu determinata dai segnali di disponibilità al dialogo, ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci, pervenuti a Salvatore Riina attraverso Vito Ciancimino proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D'Amelio". Inoltre, ricordano i giudici, l’indagine “Mafia e appalti” "non era certo l'unica né la principale di cui Borsellino ebbe ad interessarsi in quel periodo”, oltre al fatto “che nessun spunto idoneo a collegare tra la vicenda 'mafia e appalti' con la morte di Borsellino è possibile trarre dalle dichiarazioni dei tanti collaboratori di giustizia esaminati e cui, per altro, la vicenda 'mafia e appalti' è ben nota".
I giudici: "Dell’Utri rafforzò i piani di Riina, Berlusconi sapeva"
Nelle motivazioni della sentenza sulla Trattativa Stato-Mafia si legge anche che “l'apertura alle esigenze dell'associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell'Utri nella sua funzione di intermediario dell'imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994” avrebbe rafforzato la volontà dei vertici mafiosi di continuare “la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992". Inoltre, scrivono i giudici, anche se “non vi è prova diretta dell'inoltro della minaccia mafiosa da Dell'Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell'Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano".