Business dei rifiuti, al Nord il rischio di una nuova Terra dei fuochi

Cronaca

Diletta Giuffrida

Foto di archivio

Secondo l’ultima relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, negli ultimi 3 anni il 47,5% degli incendi all’interno di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti è avvenuto al Nord

Un impianto per lo smaltimento di rifiuti che a Mortara, in provincia di Pavia, improvvisamente prende fuoco. Proprio nel giorno in cui i tecnici di Arpa avrebbero dovuto eseguire un controllo programmato. Pochi mesi dopo un capannone abbandonato, a Corteolona, viene inspiegabilmente avvolto dalle fiamme. Prima e dopo ancora incendi uno dopo l’altro senza un’apparente spiegazione, dal bresciano a Gaggiano, Stradella, Senago e Bruzzano. A bruciare sono sempre rifiuti. E quasi sempre, da qualche anno a questa parte, bruciano al Nord. Tanto che più d’uno si è spinto a parlare del rischio di una nuova Terra dei fuochi.

D’accordo o meno, è un fatto che negli ultimi tre anni il 47,5% degli incendi avvenuti all’interno di impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti è avvenuto al Nord, e di questi il 20% è di origine dolosa. A dirlo è l’ultima relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. È da qui che parte il nostro viaggio, nel tentativo di capire cosa c’è, se qualcosa c’è, dietro alla lunga catena di incendi che dal Friuli al Piemonte sta mandando in fumo migliaia di tonnellate di rifiuti.

L'inversione del ciclo dei rifiuti

Per capire cosa stia davvero accadendo è necessario tornare a un’inchiesta della Procura di Brescia avviata nell’ottobre 2014 proprio dopo un incendio all’interno di un capannone della Trailer spa, con sede a Rezzato, nel cuore cioè della Lombardia. Quella indagine per la prima volta svelò un illecito passaggio di rifiuti da Sud a Nord, in particolare da Giugliano e Tufino, in Campania, alla Aral, uno stabilimento in provincia di Alessandria, dove, stando alle indagini condotte dai carabinieri del Noe, i rifiuti venivano sversati tali e quali, cioè senza aver ricevuto alcun trattamento e senza essere stati stabilizzati per i canonici 21 giorni, come invece sarebbe necessario per abbattere la carica batterica. Quell’inchiesta, nel luglio del 2017, ha portato all’arresto dell’imprenditore lombardo dei rifiuti Paolo Bonacina e all’iscrizione nel registro degli indagati di altre 26 persone.

Lo sa bene il Tenente Colonnello Massimiliano Corsaro, Comandante del Gruppo Carabinieri Tutela Ambientale di Milano, che a quell’indagine diede un contributo determinante. “Il fatto che i rifiuti arrivino al Nord è legale e fisiologico perché il Nord Italia ha la maggior parte degli impianti che trattano rifiuti. Basti pensare che in Lombardia sono oltre 2.700, nel Veneto 1.500 – ci spiega. L’illegalità si manifesta però quando parte dell’imprenditoria persegue l’illecito profitto in modo spasmodico”. A introdurre la possibilità di spostare anche i rifiuti urbani indifferenziati fuori regione, è stata una norma contenuta all’interno del cosiddetto sblocca Italia del 2014. “Se ho intenzione di arricchirmi in maniera illecita – aggiunge il Colonnello Corsaro – ieri come oggi acquisisco la partita di rifiuti e introito la corrispondente cifra di danaro, poi magari li trasporto fino alla mia azienda e gli do fuoco. Così facendo ho accorciato allo stremo la filiera massimizzando il profitto”. Ma non ci sono solo le fiamme al Nord, o almeno non solo quelle all’interno degli stabilimenti. “Un altro fenomeno che stiamo documentando maggiormente in quest’ultimo periodo – continua Corsaro – è che i rifiuti vengono trasportati al Nord, ma anziché venire stipati in azienda vengono abbandonati in capannoni sparsi nel paese e ormai in disuso”.

I capannoni abbandonati

I capannoni abbandonati appunto. Come quello di Corteolona-Genzone, nel pavese, dove il 3 gennaio 2018 è divampato un rogo in cui sono andate bruciate circa duemila tonnellate di rifiuti che lì dentro erano stati illecitamente nascosti. Che qualcosa non andasse da quelle parti lo sapeva il sindaco, che aveva presentato anche un esposto alla procura di Pavia, e lo sapevano soprattutto le Guardie Ecologiche Volontarie, come il comandante di Inverno-Monteleone, Maurizio Macchetta, che ci accompagna in un sopralluogo, a mesi di distanza da quel rogo, davanti allo scheletro annerito di quel capannone.

“C’eravamo accorti tutti di movimenti strani di camion, ma non sapendo cosa ci fosse dentro a quel capannone non potevamo immaginare – ci racconta Macchetta con l’aria di chi avrebbe voluto a tutti i costi evitare quello scempio. Lì dentro negli anni ’70 facevano caldaie, poi il capannone è rimasto in disuso per anni finché hanno rifatto il tetto. Pensavamo che stessero ristrutturando per iniziare qualche altra lavorazione e invece hanno rifatto il tetto per riempirlo di rifiuti e poi è successo quel che è successo”. Dopo quell’incendio, l’ennesimo tra le risaie della Lomellina, il prefetto di Pavia Attilio Visconti ha deciso di costituire un nucleo ambiente che si è occupato di censire tutte le aree a rischio, capannoni abbandonati compresi, dei 188 comuni della provincia. “Già dopo l’incendio alla Eredi Bertè di Mortara – ci dice il Prefetto – sebbene mi fossi appena insediato, mi resi conto della situazione della Lomellina, in cui si erano già verificati diversi incendi. Questo veniva collegato all'’appetibilità della zona rispetto a possibili infiltrazioni criminali dedite alla speculazione e al riciclaggio di materiale solido e di scarto, cosa che non mi stupì considerato che la nostra provincia essendo pianeggiante e di facile accesso può risultare interessante per chi deve nascondere o stoccare materiale solido”. Alla fine nella sola provincia di Pavia si è arrivati a contare 284 strutture abbandonate o dismesse di cui 164 sono capannoni potenzialmente a rischio e 76 sono siti con presenza accertata di rifiuti.

Le discariche a cielo aperto

Poi ci sono le discariche a cielo aperto. Tonnellate di rifiuti di ogni tipo, dai mobili agli elettrodomestici, dalle carcasse di auto al materiale ferroso, alle lastre di eternit accumulati illecitamente su aree più o meno abbandonate e sempre con la compiacenza di qualcuno. Come a Bornasco, una decina di km da Pavia, dove lo scorso febbraio sono stati sequestrati circa 20mila metri cubi di rifiuti, o come l’ultima scoperta dall’Arpa, l’Agenzia regionale per la Protezione Ambientale, a Mortara all’interno di una struttura fatiscente. “Grandi quantità di rifiuti come queste, soprattutto quando abbandonate a cielo aperto – ci spiega Fabio Cambielli, responsabile Arpa dei controlli delle attività produttive della zona – rappresentano un doppio pericolo. Non soltanto qualora dovessero prendere fuoco, ma anche quando vengono esposti a piogge battenti perché potrebbero, nella peggiore delle ipotesi per fortuna non frequente, arrivare a inquinare la falda acquifera”. Cambielli la mattina del 7 settembre 2017 avrebbe dovuto eseguire un controllo programmato alla Eredi Bertè di Mortara, controllo che non fu possibile perché qualche ora prima dell’appuntamento lo stabilimento fu avvolto dalle fiamme. Cosa che però non gli impedì di capire che la quantità di rifiuti presente all’interno di quello stabilimento era di molto superiore a quella che la ditta era autorizzata a trattare. In seguito a quel rogo la Procura di Pavia ha messo sotto sequestro l’azienda che però misteriosamente, mesi dopo, il 22 giugno, è tornata a bruciare.

La Cina

Ad aggravare una situazione già critica c’è anche la chiusura decisa a gennaio dalla Cina, dell’importazione di rifiuti plastici provenienti dall’Europa. Uno stop che rischia di pesare anzitutto sulla regolare gestione dei rifiuti in Italia perché molte aziende non avranno più quello che finora era stato un naturale sbocco verso l’oriente di questo tipo di rifiuti. Basti pensare per esempio che nel solo 2016 la Cina ha importato oltre 7 milioni di tonnellate di plastica che equivalgono al 70% della produzione mondiale. E allora cosa accadrà? “Succederà che il mercato dovrà riassettarsi – ci spiega il Colonnello Corsaro, che già da tempo studia il fenomeno e le possibili conseguenze che avrà – e come spesso accade il rischio è che si creino spazi in cui la criminalità potrà avere vita facile”. Come dire che la situazione, stando così le cose, sembra inesorabilmente destinata a peggiorare.

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