Pedofilia, la guerra inizia in rete. Con una "black list"

Cronaca
La stop page: la pagina che impedisce all'utente di raggiungere un sito con materiale pedopornografico
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Da Lolita a Winnie The Pooh: tanti i siti pedopornografici che diventano irraggiungibili grazie alle pattuglie on line della polizia postale. “Applichiamo dei filtri, non censuriamo” spiega l’assistente capo Maurizio Ciucci

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di Chiara Ribichini

Oltre 1100 siti di grandi aziende “infettati” con materiale pedopornografico sono appena stati ripuliti dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni grazie all’operazione “Venice Carnival”, scongiurando così il pericolo per molti utenti di imbattersi involontariamente in foto e filmati che ritraggono abusi su minori. Ma l’azione di filtraggio è costante e quotidiana. Ogni giorno, dal febbraio del 2006 (quando è entrata in vigore la legge n° 38 che affida al Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia on line la lotta a questo reato), decine di agenti sparsi su tutto il territorio italiano scandagliano la rete a caccia di nuovi indirizzi internet da “bloccare” e segnalare ai magistrati. Centinaia di link da inserire nella cosiddetta black list che diventano per gli utenti “non più raggiungibili”.

Chi scorre per la prima volta la lista nera resta colpito dalla varietà dei nomi scelti per i siti. “Si scelgono termini di ogni tipo. Da quelli che richiamano il mondo dei bambini a quelli che possono far intuire facilmente il contenuto, come lolita.com, fino ai più insoliti con cui si cerca di eludere i controlli” spiega l’assistente capo Maurizio Ciucci, che lavora nell’area del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia on line (CNCPO) dedicata proprio alla black list. E racconta: “A una signora che cercava dei festoni per il compleanno della figlia, ad esempio, è capitato di scaricare un file chiamato ‘Winnie The Pooh’. Solo a download completato si è accorta che quel file conteneva tutt’altro”.

I siti contenenti materiale pedopornografico inseriti nella lista nera “sono circa un migliaio. Il 60% di questi http e www viene scoperto grazie al monitoraggio h24 della polizia postale, il 40% con le segnalazioni o delle organizzazioni che lavorano con noi (come Save The Children, Telefono Azzurro, Meter e Ectpat), o delle altre forze di polizia, compresa l’Interpol, o dei privati cittadini che utilizzano il servizio presente sul sito della Polizia di Stato o su quello del Commissariato on line” continua Ciucci. Molto del materiale diffuso on line non è però a pagamento. “Su questi siti ci sono molti filmati o foto gratuiti. Ma è solo l’amo con cui si cerca di attirare l’utente. Si fa vedere un’immagine ma poi, per accedere a tutta la galleria, si chiede di pagare con la carta di credito. Esistono veri e propri abbonamenti mensili”.

La black list viene aggiornata quotidianamente e condivisa con quella realizzata negli altri Paesi europei. “La pubblichiamo ogni mattina intorno alle 10. Da quel momento gli internet service provider italiani hanno 6 ore a disposizione per applicare dei filtri”. Filtri che non sono sinonimo di censura ma deviazione. “Se un utente prova, ad esempio, a connettersi a www.lolita.com (non solo alla home page, ma anche a una della altre pagine del sito) viene reindirizzato su una pagina detta “stop page”. Il contenuto di lolita.com resta dunque in rete, non viene oscurato, ma l’utente non riesce più a raggiungerlo” spiega Ciucci. Ogni giorno entrano in black list nuovi siti, mentre altri ne escono. “In Italia, a differenza di quello che accade negli altri Paesi, abbiamo l’obbligo di ripristinare un http da cui è stato rimosso il materiale pedopornografico”.

La maggior parte dei server che ospitano siti pedopornografici si trovano negli Stati Uniti, in Russia e in Olanda. Nessuno in Italia. “Le percentuali sono più o meno proporzionali al numero di server presenti in generale su quel territorio. In Italia siamo partiti qualche anno fa con una decina, negli ultimi quattro anni abbiamo avuto solo un caso” afferma Ciucci. E sottolinea: “La legislazione è diversa nei vari paesi. In molte nazioni è considerato materiale pedopornografico solo quello in cui ci sono minori che hanno rapporti sessuali con un adulto. Noi blocchiamo un sito per molto meno. Per noi è sufficiente la foto di un adolescente sotto i 18 anni in posizioni non consone alla sua età per parlare di materiale pedopornografico. E basta una sola immagine all’interno di un http per farlo finire nella lista nera. Perché è il contenuto delle foto a dettar legge, non la quantità”. Ma nella black list non possono entrare i siti solitamente usati dai pedofili per avvicinare i minori perché “l’adescamento on line non è ancora considerato un reato. Su questo c’è un vuoto legislativo”.

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