Cop16, un timido accordo sulla natura tiene in vita il multilateralismo

È un accordo timido quello sulla finanza per la biodiversità raggiunto a Roma. Ma è anche qualcosa di più, fa capire la ministra colombiana Susana Muhamad. La presidente di questa “baby Cop” iniziata a Cali lo scorso ottobre, interrotta per mancanza di quorum dopo due settimane. E ripresa infine nella sede della Fao, per tre giorni. “In questo 2025 – dice in assemblea plenaria davanti ai delegati di circa 150 Paesi – possiamo inviare una luce a livello globale e saremo in grado di dire che, nonostante le nostre differenze, nonostante le tensioni, nonostante il limitato spazio fiscale nel nord e nel sud, e nonostante i conflitti armati, siamo comunque capaci di collaborare e lavorare insieme”. Certo, gli Stati Uniti d’America non fanno parte di questa Convenzione e l’amministrazione Trump decide anche di lasciare vuoto il posto di osservatore riservato in sala. Le resistenze a un accordo arrivano da Paesi con politiche affini a Washington, come l’Argentina. Ma anche dai Brics . Alla fine, però, le parti sono riuscite ad arrivare a una conclusione con il fragile meccanismo del consenso che governa questo processo: per approvare un testo, nessuno deve opporsi. Ecco cosa è stato deciso. Un nuovo fondo Al centro della discussione la creazione di un nuovo fondo dedicato alla biodiversità, considerato necessario da molti Paesi in via di sviluppo. Alla fine si è deciso di istituire una struttura permanente per il meccanismo finanziario nella cornice della già esistente Global Environment Facility. La roadmap viene rimandata alle conferenze successive. Confermato inoltre l’obiettivo di mobilitare per la biodiversità almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. I Paesi sviluppati dovranno stanziare almeno 20 miliardi all’anno, per arrivare ad almeno 30 miliardi entro il 2030, a favore dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Cifre che servono a raggiungere gli obiettivi dello storico accordo raggiunto alla precedente Cop di due anni fa, il Quadro Globale di Montreal che è l’equivalente per la biodiversità dell’Accordo di Parigi sul Clima. Il monitoraggio L’altro filone principale su cui si è lavorato alla COP16 è stato quello del monitoraggio delle misure attuate per la biodiversità. “Anche se può sembrare un tecnicismo meno rilevante - scrive Margherita Barbieri di Italian Climate Network - misurare i progressi compiuti è fondamentale per avere risultati concreti e ottimizzare gli investimenti”. Le reazioni “Le Parti hanno rinnovato e rafforzato il consenso comune per la tutela della natura”, commenta Bernardo Tarantino, specialista Affari Europei e Internazionali del WWF Italia. Che aggiunge: “In un contesto internazionale molto complicato, servono coraggio e leadership per portare avanti l’agenda diplomatica per la tutela della natura”. Secondo Legambiente è "un accordo in chiaroscuro con qualche significativo passo avanti ma ancora con molte incertezze". Per An Lambrechts, responsabile della delegazione di Greenpeace alla COP16, “questo accordo aiuta a mantenere la fiducia sulla possibilità di colmare il divario tra le promesse fatte e i finanziamenti da stanziare per proteggere la natura, ma adesso serve mettere i soldi sul tavolo”. Anche per il presidente di Rete Clima, Paolo Viganò, “i risultati sono importanti, ma ora serve un’azione condivisa e coordinata per garantire un futuro agli accordi presi”. Di segnale positivo per la sopravvivenza del processo parla il Presidente di Italian Climate Network, Jacopo Bencini: “Il risultato poteva sicuramente essere più ambizioso, nelle cifre come nelle modalità – spiega – ma occorre ricordare il difficile percorso che ha portato fino a Roma e da qui costruire i prossimi passi”. E il prossimo grande passo, il prossimo test per il multilateralismo su clima e ambiente, sarà in Brasile alla Cop30 di Belem.

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