Climate change e inquinamento marino, gli esperti a Sky TG24: "Preservare gli ecosistemi"

Ambiente

"Il mare, come tutti gli ecosistemi terrestri, quando protetto in maniera seria, diventa più resistente e resiliente" ha dichiarato a Timeline il direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio. "Il Mediterraneo sta cambiando - gli fa eco Laura Castellano, curatrice del settore Mediterraneo dell'acquario di Genova -, ci sono specie invasive che mettono a dura prova la permanenza di quelle già esistenti"

Cambiamento climatico e inquinamento dei nostri mari. Su questi temi si sono concentrati principalmente gli interventi della curatrice del settore Mediterraneo dell'Acquario di Genova Laura Castellano, e il direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio, intervenuti all'interno della programmazione di Timeline.

"Consapevolezza su cambiamento climatico sta aumentando"

“Cosa si può fare per sensibilizzare le persone? Innanzitutto dare informazioni corrette, ed effettivamente la consapevolezza degli italiani sta aumentando, se è vero che per quattro su dieci il cambiamento climatico è visto come una priorità da affrontare" ha dichiarato Giuseppe Onufrio di Greenpeace. "L’esperienza della siccità e delle conseguenti alluvioni, che si sono verificare per il secondo anno consecutivo in Italia - continua Onufrio -, sono facce della stessa medaglia, ovvero il riscaldamento globale. Bisogna promuovere le politiche per la riduzione delle emissioni di gas effetto serra. Certamente il mare, come gli ecosistemi terrestri, quando sono protetti in maniera seria, diventano più resistenti, resilienti. Il nostro è un messaggio di denuncia per testimoniare la bellezza dei nostri mari che va preservata, dove la protezione del mare è seria, l’ecosistema si difende meglio. Il trattato degli oceani approvato dalle Nazioni Unite dà un quadro giuridico nuovo, noi vogliamo proteggere il 30% dei mari anche al di fuori delle acque territoriali. Questo trattato oggi consente di farlo, quindi il nostro messaggio è anche di chiedere un'azione tempestiva da parte del parlamento per ratificare questo trattato ed applicarlo. Il quadro normativo internazionale è cambiato, questa è una notizia positiva”

"Abbiamo bisogno di politiche più coraggiose"

"Un'altra cosa importante del trattato delle Nazioni Unite è che consentirebbe di chiudere delle aree in alto mare, questo ovivamente è più complicato rispetto a una zona costiera, ma è quello che la comunità scientifica chiedeva da più di vent’anni, adesso il quadro giuridico c’è", continua Onufrio. "Ora bisogna passare a misure di protezione effettiva, escludendo certe aree da attività distruttive. Poi c’è il tema dell’inquinamento da terra, da plastica in particolare, un mare più protetto non è sufficiente a salvarci dalla crisi climatica, ma un mare in maggiore salute è un mare che resiste di più. Noi qui abbiamo visto la perdita in questi 50 anni di oltre il 40% dei mammiferi, cetacei in particolare. Abbiamo visto anche problemi alle gorgone e alla pinna nobilis, che stanno male perché c’è troppo caldo. Una parte della plastica in mare è fatta da attrezzi di pesca, ma anche i fiumi, dal Po all’Arno, sono sorgenti di plastiche e microplastiche per le numerose discariche abusive, un fenomeno che esiste anche da noi. Bisogna avere politiche più coraggiose per ridurre gas effetto serra, siamo dentro a un esperimento, le tecnologie ci sono per poter rispondere, andiamo troppo lentamente perché alcune industrie frenano, non sono contente di ridurre il loro mercato” ha concluso il direttore di Greenpeace Italia.

"Squali messi in pericolo da pesca indiscriminata"

Esperta del settore anche Laura Castellano, che lavora all'Acquario di Genova proprio nella zona dedicata al Mediterraneo: “Il Mediterraneo sta cambiando, e le specie che stanno entrando nel mare mettono a dura prova quelle già presenti. Stiamo iniziando a pescare queste specie invasive per diminuirne l'impatto”. Poi sugli squali, specie sempre più a rischio:  “Gli squali sono sul pianeta da 350 milioni di anni, sono specie perfette, non hanno avuto bisogno di cambiare nel tempo, poi l’uomo ha cominciato a metterli in pericolo. Gli squali sono stati messi in crisi da una pesca indiscriminata, sia come prede accessorie della pesca, sia per la pesca mirata per il commercio delle loro pinne ad esempio. Avvistamenti in aumento? - continua Castellano -, non è così, aumenta la nostra attenzione, però in realtà dal 2020 ad oggi sono diminuiti. Ce ne sono stati di più nel 2020 quando c’era il lockdown rispetto ad ora. Quando si avvistano si tratta in realtà spesso di verdesche, non squali, che non attaccano l’uomo e possono arrivare sotto costa alla ricerca di cibo, ma non sono particolarmente pericolose per l’uomo".

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