Agricoltura e clima, il lavoro delle imprese sociali in Senegal. Il reportage

Ambiente

Monica Napoli

Nonostante una vegetazione florida e la ricchezza di acqua, anche il Senegal ha subito gli effetti del cambiamento climatico i cui segni modificano la fisionomia del Paese, che fa i conti con la siccità al nord, con l’inquinamento da plastica, con il rischio di frenare l’economia che da anni è in cerca di riscatto. Nel reportage di Sky TG24 andiamo a scoprire progetti e attività nel Paese, in particolare nel settore dell'agricoltura, utili anche come strumento di contrasto ai cambiamenti climatici

Siamo a Sedhiou, Senegal, confine con la Guinea Bissau. Regione al sud del Paese che, nonostante una vegetazione florida e la ricchezza di acqua, non è stata risparmiata dagli effetti del cambiamento climatico i cui segni modificano la fisionomia del Senegal che fa i conti con la siccità al nord, con l’inquinamento da plastica, con il rischio di frenare l’economia di un Paese da anni in cerca di riscatto.

Il progetto Arsmais

Riscatto che qui si traduce in investimenti e progetti che puntano sulle materie prime, sull’agricoltura e sul settore della trasformazione alimentare, per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e rendersi autonomi. Iniziative che rientrano nel progetto Arsmais “Accompagnamento alla Resilienza delle popolazioni rurali di Senegal e Mali Attraverso l'Imprenditoria Sociale” finanziato dall’agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, sviluppato da diverse organizzazioni tra cui l’Arcs, Tamat e Amref in villaggi, spesso, dimenticati

“Lavoriamo con delle imprese sociali all’interno di questo progetto, ciò che noi facciamo con queste imprese, prima di tutto, è la formazione professionale. Poi, ci informiamo e seguiamo le loro piccole imprese in modo da vedere anche di che tipo di appoggio hanno bisogno, penso ad un approccio durevole. Nella regione di Sédhiou lavoriamo con dieci imprese sociali” ci spiega Mansong Toure, Project manager della ONG Amref da tempo impegnato nel sostegno dei giovani che scelgono di tornare o di restare nel proprio Paese di origine.

US President Joe Biden delivers a speech during the COP27 summit in Egypt's Red Sea resort city of Sharm el-Sheikh, on November 11, 2022. - Biden arrived at UN climate talks in Egypt today, armed with major domestic achievements against global warming but under pressure to do more for countries reeling from natural disasters (Photo by SAUL LOEB / AFP) (Photo by SAUL LOEB/AFP via Getty Images)

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Il bananeto e i progetti che coinvolgono i giovani

Tra le tante iniziative, che coinvolgono decine di imprese in tutta la regione, c’è anche un bananeto gestito da Seko Sakho, migrante di ritorno, rientrato in Senegal dopo un periodo in Francia dove era arrivato con un visto per cercare di migliorarsi e migliorare la propria condizione di vita. Come spesso accade, l’intero villaggio e la sua famiglia hanno partecipato alle spese per il viaggio perché “se ce la fa anche solo uno di noi è un successo”, raccontano. E tornare non è sempre facile, non vivere il ritorno a casa come un fallimento è forse la cosa più difficile per chi parte grazie al sostegno di tutti. Dunque, tornare con un progetto diventa un modo per riprovare a rientrare nel tessuto della società dando in cambio qualcosa: crescita e lavoro.  

Dopo tre anni, la decisione di rientrare nel suo Paese. “Se tutti i giovani vanno via questo continente è finito” ci dice. Per Seko, la possibilità è arrivata grazie al programma di formazione della ong Amref. “Amref forma, ci ha formato ed è un gran bene perché noi abbiamo bisogno di formazione, bisogno di essere occupati e soprattutto dell’attrezzatura. I giovani in particolare, la maggior parte non hanno abbastanza qualifiche” spiega Seko. Mancanza di qualifiche e attrezzature, lacune che i progetti Arsmais tentano di colmare aiutando chi opera sul campo, formando chi qui è nato e lavora. 

Progetti che coinvolgono molti giovani e che mirano anche a contrastare l’aumento della migrazione causata dai cambiamenti climatici e che sono un mezzo, per le donne in particolare, per rendersi indipendenti e vivere del proprio lavoro.

Fatoumata ha 20 anni, è incinta del suo terzo figlio e come tutte le donne del villaggio lavora nel bananeto.

“Seko è arrivato, ha chiamato tutto il villaggio per riunirci qui, per lavorare, per incontrarci, per incontrare i nostri figli e le nostre famiglie – ci racconta mentre sorride e gioca con le amiche che come lei lavorano al baaneto - Ora, la nostra difficoltà per lavorare meglio perché noi vogliamo essere indipendenti, non essere dipendenti dai nostri mariti”. Indipendenza che vuol dire libertà.

Dalla raccolta del cibo per il proprio fabbisogno e per il commercio alla trasformazione degli alimenti in cosmetici, in concime, in cibo da conservare o utilizzare in altro modo.

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Zero sprechi e politiche per ridurre l’inquinamento

A Thiés, cittadina poco lontano da Dakar, incontriamo Ndeye Khadiome Ndong gestisce l’azienda Dakane Agro-Cosmo, fondata da quattro donne provenienti dal mondo scientifico e della medicina. Qui si trasformano gli alimenti e i loro scarti in cosmetici e concime. Sono tredici le persone impiegate, tutte sordomute. Una scelta voluta dalle fondatrici per integrare i diversamente abili che rischiano, altrimenti, di essere tagliati fuori dalla formazione e dal mercato del lavoro. Occasioni che hanno trovato qui con sei mesi di formazione e contratto.  Creme per il corpo e per i capelli, chips, bevande e tanto altro. Del mango o del baobab non si butta via niente.

“Dakane Agro-Cosmo è un’azienda che si sviluppa nella trasformazione di prodotti agricoli e forestali in un'ottica di zero sprechi. Se parliamo di un'ottica di zero sprechi, dobbiamo menzionare il settore agroalimentare e il settore cosmetico. A livello di trasformazione, li associamo a dei rifiuti trattati per farne dei compost, compost che poi viene venduto agli agricoltori della zona” ci spiega. Zero sprechi, autosostentamento e politiche per ridurre l’inquinamento sono le filosofie dell’azienda.

Insegnare a coltivare la propria terra, vivere dei suoi frutti significa anche dare una spinta all’economia del Paese. E puntare sul settore agricolo è la scelta più giusta anche secondo il presidente della rete Ndari, Karounga Camara insegnante e formatore senegalese rientrato nel suo Paese dopo diversi anni trascorsi in Europa dove ha studiato e continuato la sua formazione. “Siamo in un Paese dove le prospettive di lavoro sono molto rare, è molto difficile per le persone trovare un lavoro. Ed è molto importante in un settore che è in piena espansione, è un campo che può trovare una nuova spinta perché si tratta di prodotti locali, che si trovano sul posto”. E al deficit strutturale ancora importante guarda l’agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, ci spiega Aldo Cera il vice titolare della sede di Dakar dell’aics, impegnata nel sostegno di progetti volti al miglioramento delle condizioni, soprattutto, delle popolazioni distanti dai centri più grandi, dalle città. 

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