Il 22 ottobre i lombardi saranno chiamati a decidere se sono favorevoli all’avvio di negoziati con lo Stato per ottenere maggiori competenze. Quando e come si vota, cosa chiede il quesito, quali gli scenari possibili: tutto quello che c’è da sapere sulla consultazione
Il 22 ottobre i cittadini della Lombardia sono chiamati alle urne per il referendum consultivo per l'autonomia. La consultazione, che si tiene contemporaneamente anche in Veneto, serve per sapere se gli elettori sono favorevoli all’avvio di iniziative istituzionali da parte della propria Regione per richiedere allo Stato l’attribuzione di maggiori condizioni di autonomia. Ecco tutto quello che serve sapere: come e quando si vota, come funziona la novità del voto elettronico, cosa chiede il quesito. E soprattutto, cosa succederebbe se vincesse il Sì?
Come si è arrivati al referendum
In Lombardia la proposta di indire un referendum sull'autonomia è stata approvata già nel 2015 ma solo tra maggio e luglio di quest’anno il presidente regionale Roberto Maroni ha firmato i decreti che hanno fissato data e quesito. La base su cui poggia la consultazione è il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, modificato con la riforma del 2001: prevede che le Regioni possano richiedere allo Stato maggiori competenze (elencate nel successivo articolo 117) oltre a quelle che già spettano in base al Titolo V sui rapporti tra Roma e autonomie locali.
Cosa chiedono i promotori del referendum
Il governatore lombardo Roberto Maroni, tra i principali promotori del referendum lombardo, punta ad intavolare una trattativa con Roma per ottenere più competenze possibili tra le 26 che la Costituzione indica come “trasferibili”. L’obiettivo principale è quello di trattenere sul proprio territorio una quota maggiore di risorse anziché doverle girare allo Stato. Questo è possibile abbattendo il cosiddetto “residuo fiscale”, cioè la differenza esistente tra tasse pagate e spesa pubblica ricevuta sul territorio regionale. La Cgia di Mestre nel 2015 ha calcolato in 53,9 miliardi il residuo fiscale della Lombardia. Maroni ha detto che, con la vittoria del SI, la priorità sarà "trattenere almeno il 50% del residuo fiscale, 27 miliardi di euro all'anno in più”. Il governatore ha annunciato anche che chiederebbe più competenze su “immigrazione, ordine pubblico e sicurezza”, per poter decidere sull’accoglienza e sui flussi migratori.
Quando si vota e che documento serve
Le urne saranno aperte dalle ore 7 alle 23 di domenica 22 ottobre. Possono votare tutti gli iscritti alle liste elettorali e non sarà possibile farlo dall’estero. Non sarà apposto alcun timbro sulle tessere elettorali: per votare in Lombardia basterà portare al seggio un documento d'identità valido. I neo-maggiorenni o coloro che hanno spostato da poco la residenza non riceveranno a casa la tessera elettorale ma solo una comunicazione ufficiale che li informerà su quale sarà il proprio seggio.
Il voto elettronico in Lombardia
Grazie ad un emendamento voluto dal M5s, la Lombardia sperimenterà per la prima volta in Italia il voto elettronico. Ai seggi, gli elettori troveranno dei tablet. La Regione ne ha acquistati 24mila, che saranno distribuiti nei circa 8mila seggi e dopo il voto rimarranno in comodato d’uso alle scuole fino alla prossima elezione. La spesa complessiva per gli apparecchi è stata di circa 23 milioni di euro, mentre il costo totale della tornata referendaria in Lombardia è di 55 milioni. I cittadini riceveranno a casa una comunicazione con le istruzioni per usare i tablet. Sullo schermo sarà riprodotto il quesito e tre caselle: SI, NO, BIANCA. Non è possibile l’opzione della scheda nulla. È previsto un sistema di sicurezza che garantirà l’anonimato: l’orario di voto non verrà tracciato. Gianni Fava, delegato per il referendum della Giunta Maroni, ha spiegato che grazie al voto elettronico “non ci saranno brogli e per avere il dato complessivo regionale basteranno due ore”.
Il quesito
In Lombardia la domanda che i cittadini si troveranno davanti sul tablet è questa: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.
Il referendum era obbligatorio o si poteva agire diversamente?
Il referendum non era uno strumento obbligatorio. L’articolo 116 della Costituzione non lo menziona e il ministro per la Coesione territoriale, Claudio De Vincenti, intervistato da Sky TG24, ha detto che “basta una lettera della Regione per chiedere un confronto con il governo per ulteriori forme di autonomia. È quello che ha fatto l’Emilia Romagna”, dove il governatore Bonaccini a luglio ha avviato la stessa procedura ma senza ricorrere al referendum. L’obiezione dei promotori lombardi è che “serve la legittimazione popolare" affinché Roma ceda qualcosa.
Le posizioni politiche
La spinta politica più forte a favore del referendum si deve alla Lega, che ha trovato il sostegno di quasi tutte le forze di centrodestra. L’unica voce fuori dal coro è stata quella di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che lo ritiene “propagandistico”. “Io non andrei a votare”, ha detto, creando una frattura con la Lega. Altri colleghi hanno chiesto rassicurazioni che il referendum non sia il primo passo in vista di un “separatismo di stampo catalano”, ipotesi sempre negata da Maroni. Il governatore si è detto favorevole ad ''andare a trattare con il governo con tutti coloro che sostengono il referendum, dai grillini agli esponenti del Pd’'. Il M5s ha appoggiato il referendum mentre il centrosinistra si è spaccato. La linea ufficiale del Pd è che si tratta di un referendum inutile e che spreca le risorse pubbliche. Ma numerosi amministratori locali si sono detti favorevoli, ritenendo necessario ampliare l’autonomia regionale. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha dichiarato che voterà SI, così come il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori, e insieme hanno fondato un comitato per un "Sì diverso". Contrario invece il leader di Campo Progressista Giuliano Pisapia che ha annunciato che voterà NO dicendo che la consultazione “è una presa in giro”. Mdp e Insieme hanno invece dato indicazione di astenersi.
Il quorum
Essendo un voto consultivo, per il referendum lombardo non è previsto un quorum, cioè un numero minimo di votanti affinché la consultazione sia ritenuta valida. A prescindere da quante persone avranno partecipato ci sarà la vittoria dei SI oppure dei NO. L’affluenza sarà molto importante a livello politico per capire il peso della Regione negli eventuali negoziati con Roma. “Mi serve la forza del popolo per avere un potere contrattuale con il governo”, ha detto Maroni.
Cosa succede se vince il SI
L’esito del voto non è vincolante: la giunta regionale in carica o quella che subentrerà con le successive elezioni (la Lombardia vota nel 2018) non sono obbligate a portare avanti la richiesta di maggiore autonomia. Nell’immediato non cambierebbe nulla: una eventuale vittoria del SI non farebbe diventare in automatico autonoma la Lombardia, né tantomeno la trasformerebbe in Regione a Statuto speciale (servirebbe un’apposita modifica costituzionale). Maroni sarebbe però autorizzato a consultare gli enti locali per poi avviare una trattativa con Roma allo scopo di ottenere nuovi livelli di autonomia in ambito legislativo, amministrativo e finanziario, sul modello delle Regioni a statuto speciale. L'intesa governo-Regione costituirebbe l’inizio di un iter che avrebbe come punto di arrivo la stesura di una proposta di legge. Il ddl con le modifiche concordate con lo Stato andrebbe infine discusso in Parlamento per essere approvato dalle Camere a maggioranza assoluta.
Ci sono similitudini con il referendum in Catalogna?
La vicinanza di date con il referendum catalano ha fatto nascere qualche incomprensione su eventuali parallelismi tra le due consultazioni. I quesiti di Lombardia e Veneto non chiedono l’indipendenza, ma un “regionalismo differenziato”, un’autonomia che non mette in dubbio l’unità nazionale. “Il referendum della Catalogna è stato giudicato illegale dal governo spagnolo, mentre noi lavoriamo nell’ambito dell’unità nazionale”, ha chiarito Maroni a Sky TG24. Diverso anche il clima in cui sono maturati i due appuntamenti alle urne: quello lombardo ha ottenuto il via libera delle istituzioni centrali, al contrario di quanto avvenuto in Catalogna, dove si è votato per l’indipendenza nonostante il Tribunal Constitucional avesse stabilito l’impossibilità di una regione ad invocare il secessionismo.