Facebook, ex manager: "'Zero controlli, gestione lassista"

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In un’intervista rilasciata al Guardian, Sandy Parakilas ha dichiarato che lo scandalo dei dati raccolti e venduti "poteva essere evitato" 

Si allarga lo scandalo sull'abuso dei dati che vede protagonisti Facebook e Cambridge Analytica: le informazioni personali di centinaia di milioni di utenti potrebbero essere state raccolte illecitamente da aziende private che hanno sfruttato lo stesso meccanismo adoperato dalla società di consulenza politica. È quanto ha rivelato al Guardian Sandy Parakilas, 38 anni, ex manager di Facebook responsabile del dipartimento di controllo violazione dati. Parakilas ha sottolineato che durante il suo periodo a Menlo Park, tra il 2011 e il 2012, ha espresso più volte i suoi dubbi ai superiori, che però avrebbero ignorato gli allarmi con un "approccio lassista".

"Facebook non poteva più controllare quei dati"

"Le mie preoccupazioni - ha detto l'ex manager di Facebook - erano dovute al fatto che tutti i dati resi disponibili dai server agli sviluppatori non potevano più essere controllati dalla stessa Facebook. Potevano farci quello che volevano", anche rivenderli. Ciò è stato possibile perché, sostiene Parakilas, i termini di utilizzo del servizio di fatto "non venivano letti né capiti da nessuno" e ciò ha consentito prima l'accesso a una grande quantità di dati, poi il loro incontrollato utilizzo da parte degli sviluppatori. Non si tratta solo dei dati dei singoli utenti, ma della loro intera rete sociale. Facebook infatti fino al 2015 permetteva ai gestori delle applicazioni di raccogliere dati dei singoli e della loro rete di amici. Quando ci si iscriveva a Facebook, si dava il consenso di condividere alcuni dati anche con le applicazioni esterne che usavano Facebook Login (l'accesso diretto alle app tramite Facebook, come fanno ad esempio Uber o Spotify), concedendo anche il diritto di raccogliere informazioni sui propri amici, senza avvisarli. Questo spiegherebbe come ha fatto Cambridge Analytica ad entrare in possesso di informazioni su 50 milioni di profili tramite la Global Science Research che li aveva raccolti con un'app usata da 270mila persone.

"Esiste una sorta di mercato nero di quei dati"

"E' stato un brutto colpo per me vedere quello che è successo", ha detto Parakilas, "perché so che avrebbero potuto impedirlo". Alla domanda del Guardian su che tipo di controllo avesse Facebook su questi dati ha risposto: "Zero. Assolutamente nessuno. Una volta che i dati lasciavano i server di Facebook non c'era alcun controllo, non c'era nessuna contezza di quello che stava succedendo". Aggiungendo di essere sempre stato certo che "esisteva una sorta di mercato nero di quei dati", di sicuro passati nelle mani di sviluppatori esterni. E quando ha consigliato ai suoi superiori di "chiamare direttamente alcuni sviluppatori che potevano riusare quei dati" ha detto di essere stato dissuaso dal proporlo ancora: "Avevano la sensazione che sarebbe stato meglio non saperlo, sarebbe stato scioccante, forse terrificante". Facebook ha interrotto questa politica sull'uso dei dati da parte di altri sviluppatori verso la metà del 2014. Parakilas non sa perché l'azienda abbia deciso per una politica restrittiva, l'aveva lasciata due anni prima, ma probabilmente, sostiene, avevano capito che l'uso dei dati stava "consentendo ad aziende di creare dei propri grafi sociali", mappando intere porzioni di popolazioni per altri fini. Oppure, più semplicemente "temevano che qualcuno poteva cominciare a lavorare con quei dati ad un proprio social network".

Il caso Cambridge Analytica

Lo scandalo di cui parla l'ex manager nell'intervista rilasciata, deriva dalle inchieste del New York Times e dello stesso Guardian che hanno scoperto come Cambridge Analytica avrebbe usato i dati personali di 50 milioni di utenti di Facebook, raccolti tramite la app ‘thisisyourdigitallife'. Lo scopo era quello di sviluppare tecniche e software in grado di "profilarli" e di indicarli come destinatari di annunci politici su misura. Successivamente, secondo le testate giornalistiche coinvolte nell'inchiesta, i dati sarebbero stati usati per orientare l'opinione degli elettori nella campagna elettorale di Donald Trump durante le presidenziali americane nel 2016 e anche durante la campagna per la Brexit.

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