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Brexit, anno uno. Su cosa si tratta

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Entrano nel vivo i negoziati per garantire “un’uscita ordinata” del Regno Unito dall’Unione europea. Cosa c’è sul tavolo delle trattative e quali sono i punti che mettono a rischio un accordo tra Bruxelles e Londra

Si è chiuso il primo vero round di trattative tra Unione europea e Regno Unito sulla Brexit. Il calcio di inizio simbolico era stato dato formalmente lo scorso 19 giugno, a pochi giorni dal primo anniversario del referendum, ma solo nell’ultima settimana si è iniziato a entrare nei dettagli delle questioni preliminari da risolvere prima di intavolare le discussioni sulle relazioni future.

Diritti dei cittadini e prezzo che Londra deve pagare per uscire sono stati i piatti forti sul menù della prima settimana di negoziati. Il bilancio al termine dei quattro giorni di colloqui non è stato particolarmente positivo: non si sono segnati passi in avanti e restano ancora divergenze praticamente su tutti i temi. Sono in calendario altri tre incontri di questo tipo fino a ottobre, nella speranza che le parti possano raggiungere un’intesa per passare allo step successivo.

“Le carte in mano agli avvocati”

Il caponegoziatore per il Regno Unito David Davis si è limitato a due visite lampo a Bruxelles nella prima e nell’ultima giornata di trattative, che invece sono state condotte dal suo vice Olly Robinson. Nulla di strano, dato il livello altamente tecnico dei negoziati in questa fase. Come ha avuto modo di sottolineare anche un portavoce della Commissione europea “ora le carte sono in mani agli avvocati divorzisti, e sono loro a occuparsi dei dettagli”, aggiungendo che gli avvocati dell’Unione europea sono molto bravi. La stampa si è però scagliata ironicamente contro David Davis per essersi presentato sprovvisto di documenti e appunti davanti alla sua controparte Michel Barnier durante le foto di rito. L’immagine è stata interpretata come simbolo dell’impreparazione di Londra e non è andata giù al governo britannico, che vuole invece dimostrare di essere all’altezza del compito. Per l’occasione ha infatti portato a Bruxelles un team di 98 persone per fronteggiare i 40 esperti della Brexit task force di Barnier.

Il conto da pagare

La Ue chiede al Regno Unito di non sottrarsi agli impegni finanziari sul budget europeo assunti nel 2013 e che pendono su Londra fino all’effettivo addio dall’Unione nel 2019. I più intransigenti su questo fronte sono gli Stati membri, che non vorrebbero una “socializzazione” del costo della Brexit, con i 27 costretti a coprire il buco creatosi. Riprendendo la storica frase di Margaret Thatcher “we want our money back”, il ministro dell’economia di Macron, Bruno Le Maire, ha detto recentemente che ora deve essere l’Ue a chiedere al Regno Unito ciò che le spetta.

Anche il governo di Sua Maestà ha riconosciuto di dovere una certa somma alle casse di Bruxelles, ma che al tempo stesso l’Unione ha degli impegni nei confronti di Londra. Il punto della contesa è su chi, alla fine della conta degli obblighi reciprochi, resterà in attivo godendo di un flusso netto positivo. La difficoltà della definizione degli oneri finanziari deriva anche dai c.d. rebates, ovvero i rimborsi che il Regno Unito riceve annualmente dall’Ue per la sua minore partecipazione alla politica agricola comune. Con questo sistema ritornano ogni anno nelle casse britanniche circa 3,8 miliardi dei soldi che il Regno Unito stanzia per il budget Ue.

Ma quanto costa la Brexit?

Bruxelles ha presentato il suo conto, che ammonta a circa 70 miliardi di euro. Tuttavia il Regno Unito non ha ancora proposto una contro stima, indispettendo i negoziatori Ue che si aspettavano già in questo round di poter lavorare almeno su un documento di base. Si era diffusa anche l’ipotesi che Barnier sarebbe disposto allo stallo dei negoziati se Davis non dovesse presentare al più presto una posizione britannica sull’accordo finanziario.

Ma per Londra lo scenario no-deal è un bluff: la Ue non potrebbe permetterselo perché a quel punto il Regno Unito potrebbe andare via senza pagare nulla, lasciando un buco di bilancio di diverse decine di miliardi. Per questo la squadra di Davis preferisce prendere tempo per organizzare al meglio la propria posizione, consapevole che la Commissione non spezzerà la corda. L’opzione zero non starebbe bene neanche al Regno Unito, perché uscire senza accordo metterebbe a rischio oltre 175 miliardi annui di export verso i Paesi Ue.

Cittadinanza e Corte di giustizia

Restano divergenze anche sui diritti dei 4,5 milioni di cittadini britannici ed europei che vivono da stranieri nei territori delle due parti in causa. La Ue è disposta a fare delle concessioni sulla libera circolazione per i cittadini britannici, a patto che il Regno Unito garantisca  reciprocità per i cittadini europei. L’impressione è che su questo aspetto si voglia chiudere il prima possibile e che il mancato accordo al momento dipenda da dettagli.

Uno degli ostacoli maggiori sul tema della cittadinanza è la definizione del foro competente in caso di controversia sul rispetto dei diritti. Il Regno Unito non vuole più sentir parlare di Corte di giustizia Ue, mentre Bruxelles non è disposta a cedere sul primato delle interpretazioni dei giudici di Lussemburgo per l’applicazione del diritto Ue.

Irlanda ed Euratom

Per quanto riguarda l’Irlanda, entrambe le parti vorrebbero evitare che il riapparire di un confine britannico-europeo possa minacciare la pace raggiunta con gli Accordi di Venerdì Santo del 1998. Le due parti hanno già avviato discussioni sul funzionamento di un’area di libera circolazione nell’isola, anche se molto del successo di questa soluzione dipenderà da come le due entità si accorderanno sul commercio. Può complicare lievemente la questione la caduta del governo nord-irlandese, ma ad ogni modo non sarà Belfast ma Londra a sedere al tavolo delle trattative.

Un altro aspetto emerso riguarda la partecipazione del Regno Unito all’Euratom, accordo di cooperazione tra Stati membri sull’energia atomica. Quotidiani inglesi hanno avanzato l’ipotesi di “opzione nucleare” a cui potrebbe ricorrere il governo May, rispedendo in Europa 126 tonnellate di scorie radioattive qualora non si trovasse un’intesa su come garantire al Regno Unito l’accesso ai rifornimenti di materiale fissile, agli isotopi a uso medicale e ai rifornimenti di uranio una volta che la Brexit sarà realtà. Anche qui il problema è soprattutto sulla giurisdizione della Corte di giustizia, foro competente per l’interpretazione dell’accordo Euratom che rientra tra i Trattati istitutivi.

Governo May sempre più in bilico

Ma la vera variabile impazzita delle trattative resta la debolezza del governo di Londra. Proprio le trattative con l’Unione rappresentano il tema che più divide i ministri, con una fronda per una Brexit dura e una, guidata dal Cancelliere dello Scacchiere Hammond, che spinge verso un’uscita morbida, con tanto di periodo di transizione per tutelare l’industria britannica.

Per Hammond il buon senso deve avere la meglio sulle posizioni ideologiche anti europeiste. Il governo May avrebbe chiesto di salvare le apparenze ed evitare almeno scontri pubblici. E nel mentre Jeremy Corbyn, uscito rinforzato dalle ultime elezioni, spinge per lanciare già in estate una campagna per tornare alle urne. “May può cadere in qualsiasi momento”, è il pensiero del leader labour.


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