Morte Totò Riina, vedova e figli a Parma: 30 minuti in visita a salma

Cronaca
Toto Riina in una foto d'archivio (Ansa)

Si è tenuto l'autopsia sul corpo del boss, che verrà trasferito per la sepoltura nel cimitero di Corleone. La vedova Ninetta Bagarella ai cronisti: "Lasciatemi passare, non vi voglio vedere". Ira della figlia maggiore: "Vi denuncio"

Si è tenuta, come per tutti i detenuti, l'autopsia sul corpo di Totò Riina, il boss mafioso morto il 17 novembre nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma. L'esame medico legale, disposto dalla Procura di Parma quasi come atto dovuto, è durato circa tre ore e, secondo quanto appreso, non sono emersi elementi particolari. 

La figlia più grande: "Ho 3 minori da tutelare, vi denuncio"

Parte della famiglia di Riina è a Parma: moglie e figli si sono fermati circa 30 minuti in visita alla salma. E momenti di tensione di sono registrati all'arrivo alla sezione di Medicina legale della figlia maggiore del boss, Maria Concetta Riina. Su Facebook, dopo la morte del padre, aveva pubblicato una rosa nera come foto del profilo, sovrastata dall'indice di una ragazza che indica il silenzio, come copertina. Oggi, pressata dai cronisti, ha chiesto rispetto per il lutto e ha detto "Ho tre figli minori da tutelare. Tre bambini piccoli che vedono la foto della madre sui giornali. Vi denuncio". A Maria Concetta Riina ha fatto eco il legale Luca Cianferoni: "Là c'è un cadavere, ve ne dovete andare, questa non è stampa. Questo è scandalismo". La vedova del boss mafioso, invece, è arrivata a bordo di una Panda in compagnia del figlio Sandro. "Fatemi camminare, non vi voglio neanche vedere", ha detto Ninetta Bagarella ai giornalisti presenti.

Sepoltura a Corleone

Il boss dei boss sarà sepolto nel cimitero comunale di Corleone (Palermo), dove già si trovano Michele Navarra, Luciano Liggio e le ceneri di Bernardo Provenzano: il gotha della mafia corleonese che ha spadroneggiato dal dopoguerra.
Nel cimitero c'è anche l'urna coi resti di Placido Rizzotto, il sindacalista della Cgil ucciso nel '48 da Luciano Liggio e dai suoi sgherri (i cui resti furono recuperati nel 2009 negli anfratti del cimitero di mafia a Rocca Busambra). Per i funerali del sindacalista, nel maggio 2012, venne a Corleone anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nel cimitero di Corleone aleggiano anche i misteri della tomba in cui furono trovati due scheletri: uno dei due crani ha un buco, segno di un colpo di arma da fuoco. Quel cadavere, nella sepoltura che una volta era stata di Bernardino Verro - sindaco socialista ucciso dalla mafia - sarebbe di Calogero Bagarella, ucciso nella strage di viale Lazio e cognato di Riina. Un cadavere sepolto di nascosto e in fretta e furia. Al cimitero, e forse a quei due scheletri senza nome, sarebbe legato anche l'omicidio nel 1976 dell'impresario di pompe funebri Francesco Coniglio. Uno che del cimitero e delle sue tombe conosceva ogni segreto. 

Cei: impensabile un funerale pubblico

In ogni caso, per Riina "è impensabile un funerale pubblico". Queste le parole della Cei pronunciate subito dopo la morte del boss indiscusso di Cosa nostra. "Ricordo la scomunica del Papa ai mafiosi, la condanna della Chiesa italiana che su questo fenomeno ha una posizione inequivocabile. La Chiesa non si sostituisce al giudizio di Dio ma non possiamo confondere le coscienze", ha precisato il portavoce della Cei, don Ivan Maffeis.

Chi era Totò Riina

Riina stava scontando 26 condanne all'ergastolo, per decine di omicidi e stragi tra le quali anche quella di viale Lazio, gli attentati del '92, in cui persero la vita Falcone e Borsellino, e quelli del '93.  Il boss non si era mai pentito e, a febbraio, parlando con la moglie in carcere diceva: "Sono sempre Totò Riina, farei anche 3.000 anni di carcere". Dopo il suo arresto, aveva passato 24 anni fra carcere e aule di tribunale. Riina era malato da anni, e ultimamente le sue condizioni erano peggiorate. I legali avevano chiesto un differimento di pena per motivi di salute, ma l'istanza era stata respinta dal tribunale di Sorveglianza di Bologna a luglio. Nonostante la detenzione e la malattia, si riteneva che fosse ancora lui il capo di Cosa nostra. Lo aveva scritto, a luglio, anche la Dia nella sua relazione semestrale sulla criminalità organizzata: "Il boss corleonese continuerebbe a essere alla guida di Cosa nostra, a conferma dello stato di crisi di un'organizzazione incapace di esprimere una nuova figura in sostituzione di un'ingombrante icona simbolica".

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