Abbiamo visitato la più grande cooperativa vitivinicola italiana, Caviro, che in Romagna ha uno stabilimento di produzione, imbottigliamento e stoccaggio tra i più tecnologicamente avanzati del mondo, tra robot laser-guidati, fotocamere che fotografano ogni singolo prodotto, risparmio energetico ed economia circolare
Qual è il rapporto tra tecnologia e vino? Grazie all’uso della tecnologia si possono fare grandi vini? Migliori o peggiori rispetto a quelli fatti seguendo i procedimenti tradizionali? Sono le domande che ci siamo posti prima di entrare nel più grande stabilimento italiano - il terzo più grande al mondo - di produzione, imbottigliamento e stoccaggio del vino. Siamo alle porte di Forlì e l’azienda che ci ospita si chiama Caviro: si tratta della più grande cooperativa vitivinicola d’Italia, attiva dal 1966, che raggruppa oltre dodicimila viticoltori e 29 cantine sociali, raccoglie da loro il frutto del lavoro (stiamo parlando del “vigneto più grande d’Italia”, 36mila ettari) ed è in grado di produrre e confezionare un milione di litri al giorno di vino, circa 200 milioni di litri l’anno. Famosa soprattutto perché produce il vino più acquistato in Italia, il Tavernello, insieme ad altre 1.400 tipologie di etichette di 113 diversi blend tra Igt, Doc, biologici. Tra questi, solo per fare qualche esempio, il marchio Leonardo Da Vinci, l'amarone della Valpolicella di Gerardo Cesari e il nuovo spumante romagnolo Novebolle, raccogliendo negli ultimi anni oltre 700 premi internazionali. Una cantina in grado di produrre da sola circa il 9% di tutto il vino italiano, che nel 2020 ha fatturato 362 milioni di euro e che ha una caratteristica molto interessante per la nostra rubrica: è una delle tre più tecnologizzate al mondo. Ad accompagnarci nel viaggio all’interno dello stabilimento il direttore generale SimonPietro Felice, i suoi più stretti collaboratori tra cui il direttore dello stabilimento Giampaolo Bassetti e l’enologo e analista sensoriale Luca Maroni.
Uno stabilimento hi-tech
Quello che colpisce di più entrando nello stabilimento è che bisogna camminare su marciapiedi e corridoi ben precisi e segnalati: sì, perché all’interno operano 24 ore su 24 decine di robot a guida autonoma laser-guidati che spostano litri e litri di vino dal reparto della produzione e dell’imbottigliamento a un enorme deposito automatizzato, e poi dal deposito all’area di carico da dove poi il vino viene spedito in tutto il mondo. I robot si muovono con agilità all’interno di percorsi ben definiti (ma, sia chiaro, “ci vedono benissimo” e sono in grado di fermarsi se incontrano un ostacolo o se decidiamo all’improvviso di intralciare la loro strada). “La tecnologia da sempre per noi è stata un’esigenza - ci racconta orgoglioso il direttore generale SimonPietro Felice - perché lavorando il prodotto di così tanti viticoltori avevamo bisogno di rendere i nostri stabilimenti altamente tecnologici per conservare il lavoro di queste persone fino a portarlo sulle tavole degli italiani e degli stranieri. La tecnologia - aggiunge - per noi è necessaria soprattutto nei processi, in tutto ciò che è la stabilizzazione del vino, la filtrazione, il confezionamento, lo stoccaggio. Quanto più possiamo applicare la tecnologia, tanto meglio conserviamo il prodotto dalla sua origine: profumi, sapori, consistenza, durata nel tempo”.
Il percorso del vino
La tecnologia entra in campo fin dalla vigna, luogo - ci spiegano - che ha vissuto un’evoluzione tecnologica molto importante. A partire, ad esempio, dai droni che tracciano lo stato di evoluzione dell’uva, fino alla raccolta fatta con macchinari che mantengono intatto l’acino. E poi c’è la tecnologia in cantina: qui presse sempre più soffici espongono a meno stress l’uva mentre diventa mosto, ci sono i processi di trasformazione del mosto in vino in cui attraverso l’utilizzo del freddo la temperatura si mantiene costante, permettendo ai profumi di non disperdersi nell’aria rimanendo all’interno del liquido. “Ma la tecnologia più importante per noi - continua Felice - riguarda il processo dal vino all’imbottigliamento: qui la tecnologia è estrema, ogni giorno portiamo dentro questa cantina 10 milioni di litri di vino e li trasformiamo in brik, in vetro, in damigiane. Una volta arrivato dai produttori il vino viene immesso in enormi serbatoi e, tramite tubi, portato all’interno, filtrato e stabilizzato. Una volta arrivato nell’area del confezionamento un macchinario progettato da Tetrapak prende in carico una bobina di cartone, la lava, la asciuga e da normale “foglio”, modella la carta in modo da avvolgerla all’interno di un getto continuo di vino. Qui avviene la “magia”: da un flusso continuo di carta e vino i singoli brik vengono saldati e tagliati “liquido su liquido”, senza che si perda neanche una goccia. E poi c’è la parte dell’imbottigliamento in vetro, con una macchina che svolge tutti i processi del mondo del vetro, dalla ricezione delle bottiglie al lavaggio, dall’analisi con luce stroboscopica alla ricerca di corpi estranei fino all’imbottigliamento e all’etichettatura vera e propria. Un processo completamente automatizzato e digitalizzato da 15mila bottiglie e 20mila brik l’ora, con fotocamere che fotografano ogni singolo prodotto e scartano tutto ciò che non è esattamente a norma, dalla confezione ai tappi alla quantità di vino inserito: un processo che rende il vino tracciabile dalla vigna alla tavola.
Quando la tecnologia esalta la qualità e i sapori
La particolare tecnologia del freddo è molto complessa e prevede una serie di sensori posti in cisterne e serbatoi che permettono una fermentazione precisa e completa degli uvaggi senza perderne il sapore. E così, tra l’altro, che Caviro ha riportato alla luce il Metodo Leonardo, recuperando gli studi di Leonardo da Vinci sulla conservazione della temperatura e la migliore performance che si può ottenere nell’estrarre i profumi e i sapori del vino, mentre si evita il contatto con l’ossigeno - nemico del vino - utilizzando gas inerti. Dopo una visita all’interno del laboratorio microbiologico - dove vengono controllati i campioni in entrata e il vino pre- e post-lavorazione, dallo sfuso al confezionato, entriamo nella “sala degli assaggi” insieme all’analista senoriale Luca Maroni, enologo, scrittore, docente, autore di moltissimi volumi tra cui il celebre “Annuario dei Migliori Vini Italiani”. “Tecnologia e vino - ci spiega - sono una simbiosi assoluta: per sentire l’odore originario di un chicco d’uva che ha serbato per tre mesi il coacervo degli elementi di cui è frutto e sentirlo trasformato senza vizio serve la tecnica, serve da sempre, accompagna questo ciclo dalle notti del vino, quindi dalle notti dell’umanità. È grazie alla tecnica che sentiamo i veri profumi della natura, che altrimenti verrebbero deturpati in questa trasformazione”.
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L’economia circolare
Lo stabilimento Caviro ha un’altra interessante peculiarità: tutti i sotto-prodotti derivati dalla filiera vitivinicola e agroalimentare (fecce, vinacce, sfalci di potatura, acque reflue del lavaggio dei serbatoi), grazie alla società Caviro Extra vengono lavorati e trasformati in prodotti nobili per l’alimentare, il farmaceutico, l’agricoltura e in biometano; inoltre quanto rimane viene trasformato, con la compartecipata Enomondo, in energia da fonti rinnovabili. L’impianto, ci spiegano, autoproduce oltre l’80 per cento dell’energia che consuma e recupera il 32 per cento dell’acqua utilizzata. Un risparmio che “nasce” insieme al chicco d’uva, ci spiegano ancora, perché in campagna droni, sensori e una serie di apparati controllano la vigna e permettono di minimizzare l’utilizzo dei fertilizzanti chimici, offrendo in tempo reale una mappatura dei terreni e permettendo di sfruttare al meglio la vendemmia e organizzare la logistica dei mezzi nell’ottica di un minor consumo di carburante. “Andiamo particolarmente fieri - confessa ancora SimonPietro Felice - del nostro biocarburante, che dà forza motrice alla maggior parte dei traini dei camion che portano in giro i nostri prodotti, e del compostato fertilizzante naturale, che ritorna alle vigne dei nostri agricoltori”.
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Tecnologia e vino, un binomio vincente
Dunque anche utilizzando così tanta tecnologia è possibile fare dei grandi vini. Racconta ancora Luca Maroni: “Ogni aspetto della produzione e della trasformazione dell’uva è stato segmentato e tecnicamente ottimizzato grazie alla creatività degli uomini: ruolo e ambito in cui l’Italia - ed è una notizia poco conosciuta, aggiunge - ricopre leadership a livello mondiale, sia in termini di know-how che di tecniche e infrastrutture tecnico-tecnologiche. Quello che è straordinario - aggiunge ancora Maroni - è che il nuovo millennio sta vedendo la nascita del vino privo di difetti, con la tecnologia che è in grado di sconfiggere i due nemici del vino, l’ossigeno e l’acido acetico”. Ma come sarà, allora, il vino che berremo tra quaranta, cinquant’anni? Risponde ancora Luca Maroni: “Tra quaranta, cinquant’anni avremo una perfezione cristallina del profumo, attraverso micro-miglioramenti, piccole sfumature che entrano in campo anno dopo anno e che rappresentano il punto di giunzione tra la tecnica e la sensorialità umana”.