Come si forma l’opinione pubblica sui social?

Un recente studio collaborativo condotto da scienziati sociali di diverse università statunitensi e tedesche dimostra ciò che in molti sospettavano da tempo: quello che vediamo sui social è soltanto la punta dell’iceberg dell’opinione pubblica reale. La ricerca dimostra infatti come una piccola minoranza di utenti estremamente attivi produca la gran parte dei contenuti a sfondo politico, mentre la maggioranza rimane silenziosa e si limita a consumare passivamente ciò che altri scrivono. I dati mostrano che negli Stati Uniti il 71% degli utenti social non esprime mai o quasi mai opinioni politiche e che in Germania, alla vigilia delle elezioni del 2021, solo il 9,5% ha condiviso contenuti a sfondo politico; l’11% ha messo “mi piace”, condiviso o commentato questo tipo di contenuti, il 28% li ha consumati in maniera passiva e il 51% non ha utilizzato affatto i social per fruire di contenuti politici. Su YouTube, appena il 2% dei commentatori genera la metà dei commenti politici. Questo squilibrio rimane stabile nel tempo e tra piattaforme diverse. Oltretutto, i contenuti in questione sono basati sulle opinioni di una fetta di popolazione ben diversa dalla platea generale, sia per quanto riguarda l’orientamento ideologico e la radicalità delle idee, sia dal punto di vista demografico, poiché la maggioranza degli utenti attivi sono maschi. Chi produce i contenuti social a sfondo politico rappresenta dunque una porzione molto visibile ma poco rappresentativa dell’opinione generale, mentre la grande maggioranza resta nascosta, producendo un enorme divario tra ciò che si vede online e ciò che pensa davvero l’opinione pubblica. Secondo i ricercatori, questa sproporzione produce tre effetti principali: induce i cittadini a credere che certe opinioni, spesso estreme, siano molto più diffuse di quanto lo siano davvero; porta i ricercatori che analizzano l’opinione pubblica attraverso i social a trarre conclusioni distorte, poiché i dati disponibili riguardano quasi solo gli utenti più attivi; amplifica ulteriormente la distorsione quando risultati e interpretazioni basate su questi dati entrano nel dibattito pubblico. A ciò si aggiunge il fatto che i modelli linguistici di intelligenza artificiale generativa addestrati sui social rischiano di interiorizzare e riprodurre le distorsioni. I ricercatori sottolineano come questa concentrazione del dibattito politico online nelle mani di pochi possa contribuire alla polarizzazione: la visibilità sproporzionata di opinioni estreme porta gli utenti a sovrastimare quanto siano diffuse, alimentando percezioni distorte della realtà politica in cui vivono. Fenomeni psicologici come la “miopia metacognitiva”, ovvero la tendenza a captare informazioni trascurando le fonti e il contesto sottostante, portano naturalmente le persone a reagire più a ciò che vedono che a ciò che manca, rendendo invisibile il silenzio della maggioranza. Ciò può produrre false percezioni di consenso o dissenso e influenzare l’allineamento delle opinioni individuali a quelle ritenute dominanti, anche quando non lo sono affatto.

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Gianluca De Feo