Ma quindi l’Ia è una “inventrice”?

Ci risiamo. Negli Stati Uniti, l’United States Patent and Trademark Office ha pubblicato nuove linee guida per regolamentare la brevettabilità delle invenzioni ottenute con l’aiuto di sistemi di intelligenza artificiale generativa. Una presa di posizione attesa da mesi, in un momento in cui la produzione scientifica e tecnologica si affida sempre più a modelli capaci di suggerire soluzioni complesse e contribuire pesantemente alla fase ideativa, oltre che allo sviluppo pratico a sempre in mano a sistemi più o meno complessi. Il principio espresso dall’USPTO è netto: l’IA è uno strumento, non un soggetto creativo. La paternità di un’invenzione deve quindi necessariamente restare umana, anche se il contributo della macchina può essere sostanziale. Il direttore John Squires ha sottolineato che la “conception”, cioè proprio il concepimento di un’invenzione deve essere attribuibile a una persona fisica capace di comprendere, valutare e controllare ciò che la macchina propone. “I sistemi di intelligenza artificiale, inclusa l’IA generativa e altri modelli computazionali, sono strumenti utilizzati dagli inventori umani - ha scritto il sottosegretario al Commercio Usa che guida anche l’Uspto - possono fornire servizi e generare idee, ma restano strumenti nelle mani dell’inventore umano che ha concepito l’invenzione rivendicata”. Proprietà intellettuale e IA: perché oggi la legge resta antropocentrica L’idea che solo un essere umano possa essere autore o inventore è radicata nei sistemi giuridici attuali ma viene messa fortemente alla prova dall’avanzata dei modelli generativi. Nel diritto d’autore, la maggior parte delle giurisdizioni esclude che un’opera prodotta interamente da un sistema automatico possa essere tutelata: manca l’intenzionalità creativa. Diverso il caso delle opere ibride, nate dalla collaborazione uomo-IA. Qui la protezione è possibile ma solo se il contributo umano è autenticamente creativo: scegliere, rielaborare, filtrare gli output, definire parametri in modo significativo. Dev’essere insomma preponderante. In Europa il contesto normativo si muove nella stessa direzione, anche grazie all’AI Act, che riafferma il principio di responsabilità e centralità dell’intervento umano. Ma anche grazie a una serie di pronunciamenti dell’EPO, l’Ufficio europeo dei brevetti, che ha mantenuto nel tempo una posizione altrettanto chiara: un sistema di intelligenza artificiale non può essere indicato come inventore in una domanda di brevetto. Le decisioni emerse dai celebri casi legati all’IA Dabus, per esempio, hanno confermato che, secondo la Convenzione sul brevetto europeo, l’inventore deve essere necessariamente una persona fisica dotata di capacità giuridica. Le invenzioni sviluppate con il supporto dell’IA restano quindi brevettabili, come detto, solo se è possibile attribuire a un individuo umano il contributo tecnico e creativo determinante. L’IA può partecipare al processo ideativo, anche in modo rilevante, ma resta giuridicamente uno strumento nelle mani dell’autore, non un soggetto titolare di diritti. Tra Usa ed Europa: due modelli simili, un futuro incerto La posizione americana rispecchia dunque quella appena vista dell’Ufficio europeo dei brevetti, che da tempo richiede che l’inventore sia una persona fisica. Tuttavia, sotto la superficie formale, il dibattito internazionale è in fermento. Molti sistemi di IA generativa sono già in grado di produrre soluzioni ingegneristiche, informatiche o creative difficili da ricondurre con certezza a un singolo autore umano. Ci si chiede quindi se sia corretto paragonarli a strumenti tradizionali o se, nell’arco di pochi anni – o forse mesi? - sarà necessario introdurre nuove categorie giuridiche per riconoscere quantomeno un ruolo alla macchina nel processo creativo. E una tutela a una certa tipologia di opere. Per università, aziende tecnologiche e centri di ricerca, stabilire chi detenga i diritti comincia per esempio a non essere più soltanto una questione teorica ma un tema di competitività industriale. Se oggi la legge chiude la porta a IA autrici e inventrici, il futuro resta apertissimo. Alcuni studiosi propongono, in una delle soluzioni che al momento appaiono più sensate, forme intermedie di riconoscimento, altri temono che attribuire troppi diritti alle macchine possa alla fine svuotare di senso la creatività umana. È certo però che, man mano che gli strumenti generativi diventano più sofisticati, la questione tornerà ciclicamente al centro del panorama politico, industriale, creativo ed economico. La domanda “può una macchina essere considerata autrice o inventrice?” sarà uno dei temi più divisivi e cruciali del prossimo decennio. Forse più di molti altri che oggi abbiamo sempre in testa. Per ora l’IA resta ancora, a tutti gli effetti, uno strumento. Potente, rivoluzionario, sempre più autonomo – ma bisognerà poi intenderci su cosa intendiamo davvero per autonomo - ma pur sempre subordinato all’iniziativa e alla responsabilità degli esseri umani. Resta da vedere per quanto ancora questo confine reggerà sul piano normativo mentre il mondo della tecnologia e dell’innovazione accelera verso una nuova stagione in cui la creatività umana e quella artificiale saranno sempre più difficili da distinguere. Sia dal lato della produzione che da quello della fruizione.

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Simone Cosimi