Chip per l'Ia, il "risveglio" di Google e la sfida a Nvidia

La scorsa settimana Google ha rilasciato Gemini 3, il suo ultimo modello linguistico, considerato da molti non solo paragonabile ma addirittura superiore a ChatGPT di OpenAI. La grande novità è che il modello dei gruppi di ricerca non è stato addestrato impiegando i chip Nvidia , ma utilizzando le TPU progettate dal colosso di Mountain View. L’acronimo sta per Tensor Processing Unit e indica dei particolari chip che sono acceleratori di AI specializzati e che si distinguono dalle GPU prodotte da Nvidia fondamentalmente per la filosofia di progettazione e – parrebbe - per un decisivo minor consumo energetico. Sono entrambe componenti-chiave, e dirette rivali, per l’AI. Quello che ha fatto preoccupare, o almeno che ha determinato turbolenze in borsa per il colosso tecnologico guidato da Jensen Huang e per i titoli ad esso legati come ad esempio Oracle e Super Micro Computer, sono state le indiscrezioni degli ultimi giorni. Secondo The Information, Google avrebbe proposto ai suoi potenziali clienti, tra cui Meta, di utilizzare i suoi chip TPU dal 2027 nei propri data center, al posto dei chip Nvidia. Fino ad oggi le TPU di Google sono stati disponibili solo a noleggio, tramite un servizio di cloud computing. Il vociferato accordo tra il colosso di Mountain View e Meta significherebbe un ingresso a gamba tesa nella partita dei chip necessari a vincere la sfida dell’AI, la grande rivoluzione industriale in corso. LA CHIAVE DI LETTURA Siamo di fronte a un ridisegno del mercato dei chip per l’AI? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes e autore di “Geopolitica dell’intelligenza artificiale”, libro dedicato ai nuovi equilibri di potere legati all’AI. “I data center per l’intelligenza artificiale sono attualmente dominati dai vari sistemi di NVIDIA, azienda che ormai non realizza solo un chip, ma soluzioni complete e molto sofisticate. La rivoluzione dell’intelligenza artificiale è la realizzazione di una tesi di investimento di NVIDIA, costruita in vari tasselli, a partire da 20 anni fa. Nei sistemi di Nvidia, i chip sono prodotti dalla taiwanese TSMC, le memorie sono fatte da aziende coreane, poi ci sono assemblaggio e interconnessione. Tutti questi elementi non cambiano, ma Google ha un’arma in più rispetto a tutti gli altri clienti di Nvidia: ha già costruito da anni un’infrastruttura di calcolo personalizzata, TPU, in collaborazione con Broadcom, che è sempre prodotta da TSMC e può affiancarsi alle GPU di Nvidia. Per questo Google paga meno Nvidia rispetto, per esempio, a Microsoft”. In sostanza, la posizione dominante di Nvidia resta ancora la medesima, ma qualcosa sta cambiando e oggi è finalmente evidente. “Google – riprende Aresu - ha semplicemente mostrato il suo vantaggio rispetto a OpenAI. Un vantaggio che peraltro è molto consistente: ha migliore capitale umano, migliori talenti, un investimento di anni e anni sull’infrastruttura, potere di distribuzione, basi di dati notevoli, e tutto questo in una società che fa profitti. In sostanza, Google è stata a lungo sottovalutata e il rapporto tra il suo titolo e quelli di aziende tecnologiche simili non corrispondeva a questa realtà scientifica e tecnologica. Il lancio dell’ultima versione di Gemini ha mostrato meglio le capacità di Google e ha contribuito a correggere questa percezione”. LE VALUTAZIONI DI MERCATO Nelle ultime settimane i titoli tecnologici legati all’intelligenza artificiale hanno vissuto qualcosa che è paragonabile a un giro sulle montagne russe. Questo è valso soprattutto per Nvidia, la più importante società al mondo di processori per l’intelligenza artificiale, che peraltro a fine ottobre aveva raggiunto, e superato, una capitalizzazione di mercato di 5.000 miliardi di dollari. Il recente tonfo delle azioni, a cui è seguita nella seduta di metà settimana una parziale stabilizzazione, è legato all’ottimismo degli operatori di mercato nei confronti di Google, visti i suoi progressi nel campo dell’AI. Non è un caso che, di converso, il titolo della società madre Alphabet sia cresciuto di oltre il 20% nell’ultimo mese, portando il gruppo ad un passo da una capitalizzazione di mercato di 4.000 miliardi di dollari. “Nvidia – secondo Aresu - è riuscita a costruire un’intera filiera industriale sull’intelligenza artificiale e ha un potere di ecosistema che nemmeno Google può raggiungere. Nel mercato, però, la diversificazione di Google può avere un impatto, e la risposta di Nvidia finora è stata difensiva.” AI IN BOLLA? Le indiscrezioni di un accordo Google-Meta, potenzialmente alternativo a Nvidia, si aggiungono a una grande domanda di fondo: i titoli tech legati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale sono in bolla? Le loro valutazioni sono cioè esagerate? Il titolo Nvidia è sceso del 14% dall'inizio del mese, cancellando più di 700 miliardi di dollari di valore di mercato, proprio per i timori di una bolla nella spesa per l'IA e per gli investimenti circolari di Nvidia in startup come OpenAI . A inizio mese il gigante tecnologico guidato da Jensen Huang scambiava sui mercati finanziari con un rapporto tra il prezzo dell’azione e gli utili stimati di 34 volte, oggi il P/E è sceso a quota 25 volte. Si sono fatti largo cioè i timori legati alla quota di mercato di Nvidia - ora enorme, ma potenzialmente intaccata da attori come Google - che con l’aumentare della concorrenza e della sofisticazione dei prodotti sviluppati dai competitor potrebbe notevolmente ridursi. Preoccupazioni che per ora, va sottolineato, restano marginali. “Bisogna distinguere tra le implicazioni dell’intelligenza artificiale, che saranno profonde, e le valutazioni delle aziende, che viaggiano su multipli molto significativi e richiedono un’analisi attenta sui ritorni, che sarà basata anche su quanto durerà il ciclo dei data center e con quali curve di crescita. Aziende come le “Magnifiche Sette” – conclude Alessandro Aresu di Limes - continueranno a essere protagoniste del mondo tecnologico, non saranno certo sostituite – ad esempio - da aziende europee, semplicemente perchè non ne esistono di paragonabili. Non è detto però che tra un anno o tra due anni le valutazioni delle cosiddette “Mag 7” saranno le stesse di quelle attuali. Dipenderà da molti fattori: economici, tecnologici e, non da ultimo, politici”.

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Irene Elisei