La bolla dell’IA: investimento storico o illusione finanziaria?

Il mondo sta investendo circa 3mila miliardi di dollari nella costruzione e nell’espansione di data center destinati all’intelligenza artificiale. Si tratta di una cifra paragonabile al PIL combinato di Regno Unito e India, destinata a crescere ulteriormente nei prossimi anni. Il dato di Morgan Stanley e relativo al prossimo triennio, riportato dal Guardian, è impressionante. Ma a fronte di questo sforzo titanico, emergono due narrazioni opposte che dovremo trovare il modo di conciliare, nel medio periodo. Se ci riusciamo. Da un lato, quella di chi vede nell’IA il motore di una nuova rivoluzione industriale, capace di ridefinire produttività, servizi e conoscenza. Ma di cui per ora, fra le notizie confortanti spesso legate per esempio alla salute, vediamo solo sanguinosi tagli al personale dai colossi internazionali alle realtà più piccole. Dall’altro, quella di chi teme una bolla speculativa gonfiata dall’hype e da un’euforia da mercato simile a quella delle dot-com a cavallo fra la fine degli anni Novanta e Duemila. Le grandi aziende - da OpenAI a Google, da Anthropic a Microsoft - stanno letteralmente bruciando miliardi per potenziare infrastrutture e capacità computazionali ma i ricavi non crescono con la stessa velocità. I chatbot e i modelli generativi, per ora, non hanno trovato un autentico modello di business sostenibile: i costi energetici e informatici sono esorbitanti mentre i ritorni economici restano all’apparenza importanti ma nella sostanza incerti. Lo stesso Sam Altman, CEO di OpenAI, ha più volte ammesso che addestrare modelli sempre più grandi richiede quantità di energia e denaro che “non possono crescere all’infinito”. Eppure il produttore di chip Nvidia è diventato la prima azienda al mondo da 5mila miliardi di dollari mentre Microsoft e Apple hanno toccato i 4mila miliardi di capitalizzazione, un record assoluto per quest’ultima. Una recente ristrutturazione della stessa OpenAI ha portato la sua valutazione a 500 miliardi, con la quota di Microsoft stimata oltre i 100 miliardi. Antipasto, secondo alcuni analisti, a una possibile quotazione in Borsa da mille miliardi già nel 2026. Tra entusiasmo e rischio sistemico Secondo il Guardian, molti degli investimenti in corso si basano su debito privato e finanziamenti a leva – cioè quelli in cui si prende in prestito denaro per investire una somma maggiore di quella del proprio capitale iniziale, sperando che il rendimento dell'investimento superi il costo del debito: aiuto! - una dinamica che non a caso ricorda quella delle devastanti bolle del passato. Le aziende costruiscono data factory nella speranza che la domanda di IA “pagante” arriverà, e dunque nel tentativo di farsi trovare pronte, ma il rischio è che l’offerta dei servizi cresca più rapidamente della redditività. Dunque della domanda. Anche qui, però, serve un “eppure”: alla base di gran parte di questi investimenti ci sono stime molto ambiziose sempre firmate da Morgan Stanley, secondo cui i ricavi dell’intelligenza artificiale generativa - chatbot, agenti virtuali, generatori di immagini e chi più ne ha più ne metta, OpenAI sta per lanciarsi anche nella musica - cresceranno dai 45 miliardi del 2024 a mille miliardi entro il 2028. Le aziende tecnologiche puntano su imprese, pubbliche amministrazioni e utenti finali perché generino una domanda sufficiente e disponibile a sborsare decine o centinaia di dollari al mese. Ma chi li pagherà se il mercato del lavoro si inceppa fra licenziamenti e mancata riqualificazione? Vedremo. Il parallelo con la bolla dot-com è inevitabile. Anche allora, a fine anni Novanta, il web era visto come il futuro inevitabile, e in effetti lo è stato. Ma nel frattempo migliaia di società fallirono, lasciando sul terreno investitori, risparmi e intere infrastrutture inutilizzate. Oggi la domanda è simile: il progresso tecnologico è naturalmente reale, e l’IA sta davvero cambiando connotati praticamente a ogni segmento industriale e commerciale, ma la tempistica e la scala economica potrebbero essere sopravvalutate. Solo quattro dei maggiori player dell’intelligenza artificiale - Amazon, Meta, Google e Microsoft – prevedono di investire nei prossimi due anni oltre 750 miliardi di dollari in infrastrutture legate all’IA, come data center, chip e server, escludendo i costi del personale. Nel mondo ci sono al momento 11mila data center, con una crescita del 500% negli ultimi vent’anni. E ne arriveranno altre migliaia. Un ciclo “circolare” Come osserva Il manifesto in un’analisi recente, il meccanismo finanziario dell’IA è diventato “circolare”: le big tech raccolgono capitali per sviluppare IA, usano l’IA per sostenere la propria immagine in Borsa, e la crescita in Borsa a sua volta alimenta nuovi investimenti nell’IA. Un ciclo che può durare a lungo, finché naturalmente non si inceppa. Nel frattempo, però, il capitale di rischio e i fondi infrastrutturali stanno dirottando risorse colossali verso server farm, fabbriche di chip e impianti di produzione energetica dedicati. È una trasformazione fisica e ambientale senza precedenti ma con un impatto ancora poco misurabile – per quanto potenzialmente epocale - in termini di reale valore aggiunto per le imprese o per i cittadini. Rivoluzione o illusione? La verità, forse, sta nel mezzo. È improbabile che l’intelligenza artificiale si riveli una semplice bolla ma è altrettanto improbabile che la traiettoria finanziaria attuale sia sostenibile nel lungo periodo. Le tecnologie più promettenti richiedono ottimizzazione, regolamentazione e modelli economici coerenti, non solo entusiasmo e capitali a pioggia. Come accadde per il world wide web, dopo la fase di euforia arriverà quella di consolidamento. Molte startup svaniranno, alcune diventeranno colossi, di altri nomi non sentiremo più parlare fra poco tempo mentre alcune sigle sostituiranno nell’immaginario comune quelle di un recente passato che ci sembra già terribilmente ingiallito. Nel frattempo, l’IA avrà comunque riscritto le regole dell’infrastruttura tecnologica globale. L’unica certezza è che la corsa non si fermerà: anche se una parte del capitale dovesse evaporare, l’intelligenza artificiale - nelle sue forme più concrete e meno da storytelling lungoterminista - continuerà a infiltrarsi ovunque, dal software alla sanità, dall’energia ai trasporti. Ma non sarà un pranzo di gala.

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Simone Cosimi