Dai droni alle armi autonome: l’AI sta ridisegnando il futuro della guerra

Chi l’avrebbe detto. Dopo decenni in cui le grandi aziende tecnologiche, al grido di “don’t be evil” hanno cercato, almeno a parole, di tenersi lontano da qualsiasi accostamento con armi e violenza in generale, il vento è drasticamente cambiato. Non solo si contendono, comprensibilmente, contratti miliardari con la Difesa degli Usa, ma alcuni dei loro manager, provenienti da Meta, OpenAI e Palantir, sono stati addirittura cooptati nell’esercito, col grado di tenente colonnello. Se i legami con la Difesa in realtà ci sono sempre stati, il loro intensificarsi si spiega anche con la crescente importanza dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale sul campo di battaglia. Dalla raccolta di informazioni alla logistica, dai sistemi di guida di missili e droni alle armi a guida autonoma, dai simulatori per l’addestramento alla disinformazione, non c’è quasi ambito militare in cui l’AI non giochi un ruolo di primaria importanza. Ucraina e Gaza, palestre di guerra hi-tech I due principali conflitti attuali, l’invasione russa dell’Ucraina e l’occupazione di Gaza stanno fungendo da tragica “palestra” per il perfezionamento di queste soluzioni digitali, che si basano su algoritmi AI. Israele, avanzatissima dal punto di vista tecnologico, ne sta testando diverse. Una, battezzata Gospel, analizza in automatico i flussi di dati provenienti dalle apparecchiature di sorveglianza per riconoscere strutture, mezzi e individui da eliminare. Spetta poi a un operatore umano dare il via libera al bombardamento. Parallelamente, viene impiegato un sistema noto come Lavender: si tratta di un vasto archivio digitale, costruito e aggiornato da algoritmi di IA, che cataloga decine di migliaia di uomini palestinesi in base alla loro presunta associazione, individuata dall'algoritmo, con gruppi militanti. Il margine di errore, secondo alcune inchieste, è del 10%. Anche questo database serve a decidere chi ammazzare. L’Ucraina è anch’essa una nazione di abili programmatori, e la situazione di emergenza e la relativa scarsità di risorse hanno incentivato la creazione di strumenti innovativi. Una startup locale, per esempio, ha lanciato Clarity, un software il cui algoritmo può ridurre anche del 90% i tempi di analisi delle immagini provenienti dai droni mandati in ricognizione. Individuare e classificare rapidamente ogni presenza ostile sul territorio consente ai soldati ucraini di reagire in maniera più efficace. Un’altra applicazione chiave dell’AI è la sua funzione di guida e coordinamento di sciami di droni da combattimento. L’Ucraina li sta usando per colpire le postazioni russe. “Tu imposti l'obiettivo e i droni fanno il resto. Lavorano insieme, si adattano”, ha spiegato al Wall Street Journal l’amministratore delegato della startup ucraina Swarmer, Serhii Kupriienko. La guida autonoma non è solo più efficace, ma diventa anche necessaria per ovviare alle tattiche dei nemici di mandare in tilt il drone disturbando, con il jamming delle frequenze, la comunicazione fra l’apparecchio e l’operatore. Armi a guida autonoma Qua si entra su un terreno ancora più delicato e controverso: quello delle armi a guida autonoma. Sono ormai diversi anni che, alle Nazioni Unite, si discute della regolamentazione, o addirittura, della messa al bando dei “killer robots”, un altro nome per le armi autonome letali . Troppi i dubbi etici e le possibili controindicazioni della rimozione degli esseri umani dal processo decisionale. Fra tutte: se il software sbaglia e uccide un civile, di chi è la responsabilità? Dato che è difficile pensare di portare un software di fronte a un tribunale di guerra, diversi commentatori sottolineano come l’impiego di questo tipo di armi possa facilmente condurre a un degrado morale, incoraggiato dal senso di impunità. Al momento però le discussioni all’Onu di Ginevra non hanno condotto a molto, anche perché Stati come Russia, Usa, Israele e, in parte, la Cina, hanno sempre bloccato le delibere. Dal punto di vista dei militari, il problema è quello di ottimizzare i tempi di azione e risposta, sia nella difesa che nell’attacco. Più la guerra diventa uno scontro fra “intelligenze” capaci di analizzare migliaia di dati in pochi secondi, più gli esseri umani fanno fatica a tenere il passo. Questo non significa che non esistano regolamentazioni o dubbi etici in materia, e per il momento la supervisione umana è ancora predominante, ma la spinta all’adozione di intelligenze artificiali autonome, o semi-autonome è forte. Non solo nei sistemi di armamento, ma anche nei centri di comando. Secondo alcuni analisti, stiamo andando verso l’era dei comandi “centauro”, in cui ufficiali umani e sistemi AI collaborano insieme per prendere decisioni relative al combattimento.

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Federico Guerrini