Lo switch-off del rame: un emendamento tra accelerazione digitale e criticità operative

Oltre 25 anni: la durata della transizione dal doppino in rame alla fibra ottica in Italia travalica ormai il quarto di secolo. Dalle prime esperienze nelle grandi metropoli, spesso frutto di iniziative locali, si è passati lentamente, con diversi tentativi non sempre fecondi, a un approccio nazionale. Il processo di ammodernamento infrastrutturale delle telecomunicazioni ha infatti coinciso a fine anni Novanta con la privatizzazione dell’operatore di telefonia nazionale, fino a poco tempo fa proprietario e gestore della rete fonia e dati sul territorio italiano, e con l’ingresso sul mercato di numerosi altri operatori: tutto ciò, insieme alle caratteristiche orografiche del nostro territorio che rende complicato ed antieconomico raggiungere con la fibra le aree interne del Paese, ha portato a comprensibili ritardi, data la portata dell’ingente investimento necessario a dotare l’Italia di una struttura digitale essenziale e la mancanza di una visione strategica complessiva su di un asset che a pieno titolo fa parte dei cardini della sovranità nazionale. Proprietà e controllo della rete attraverso cui passano dati sensibili di cittadini e istituzioni non sono infatti elementi irrilevanti per la sicurezza del Paese. Tanto più in un mondo come l’attuale, sempre più legato alla dimensione digitale. Ritrovarsi dopo 25 anni con solo il 59,6% del territorio coperto dalla fibra ottica obbliga le famiglie a notevoli disagi nella fruizione di servizi e contenuti, riduce significativamente la competitività delle imprese, limita notevolmente le funzioni della pubblica amministrazione ed espone l’Italia nel campo del quinto dominio del confronto militare, quello cyber. Inoltre diminuisce l’attrattività degli investimenti esteri, che cercano siti per la realizzazione di infrastrutture digitali avanzate come i data center o i supercomputer che necessitano di connessioni in fibra, oltre a ingenti quantità di energia. Senza, per l’Italia è impossibile proiettarsi verso gli sviluppi futuri, quali il cloud computing o l’intelligenza artificiale, o sostenere la crescita dell’Internet of Things. L'emendamento Per questo motivo è cruciale colmare il divario che ci separa dalle altre realtà europee e favorire il salto a infrastrutture digitali rispondenti alle esigenze dei nostri tempi, abbandonando dove possibile il rame per passare alla fibra ottica e adottando soluzioni tecnologiche alternative per assicurare l’accesso alla banda ultralarga dove il cablaggio è a tutti gli effetti irrealizzabile. L’emendamento alla Legge di Bilancio del deputato Carmine Raimondo di Fratelli d’Italia va in parte in questa direzione: attraverso l’introduzione di un aumento del 10% dei costi per i servizi su rete in rame a partire dal 1° gennaio 2025, il provvedimento mira a costituire un fondo per lo switch-off delle reti in rame al fine di contribuire a sostenere gli oneri degli operatori per la migrazione degli utenti verso reti a banda ultra larga ad altissima velocità. Una forte scossa per sbloccare l’immobilismo, al quale va tuttavia affiancata un’azione per garantire ai territori delle aree interne del Paese, difficilmente raggiungibili dalla fibra, un servizio capace di fornire connessione digitale ad alta velocità. Una possibile soluzione arriva dal cielo: l’utilizzo di satelliti può sopperire all’assenza di cavi. Le reti satellitari, grazie alla loro capacità di copertura universale, possono fornire connettività anche nelle zone più isolate, superando i limiti fisici delle infrastrutture terrestri. Questo aspetto le rende preziose per garantire continuità operativa in situazioni di emergenza o come backup in caso di guasti alle reti in fibra. Se è un bene procedere spediti verso il cablaggio in fibra della maggior parte del territorio, è doveroso quindi riflettere su di una più ampia integrazione di tecnologie diverse per creare un ecosistema digitale resiliente. Un cambiamento che coinvolge tutti Il successo dello switch-off del rame dipenderà dalla capacità di attuare la transizione in modo equo ed efficace, senza approcci dogmatici ma essendo concreti e piuttosto flessibili rispetto alle soluzioni da adottare per raggiungere lo scopo. Occorre inoltre accompagnare i cittadini e le imprese nella migrazione, evitando di creare nuove disuguaglianze. Si può pensare a offrire ad esempio incentivi economici per agevolare l’adozione della fibra o di soluzioni satellitari nelle aree meno servite o agevolazioni fiscali per chi investe nella realizzazione di tale infrastruttura. L’auspicio è che l’emendamento non si esaurisca in una misura calata dall’alto, ma diventi un propulsore di un vero e proprio piano d’azione integrato che coinvolga tutti gli attori interessati: governo, operatori di telecomunicazione, amministrazioni locali, imprese tecnologiche, rappresentanze dei consumatori e centri di ricerca. Un approccio concertato, concreto e realistico consente di scongiurare ritardi, sovrapposizioni di competenze e iniziative non coordinate, trasformando la modernizzazione dell’infrastruttura digitale da semplice aspirazione a traguardo tangibile. In questo modo, l’Italia può consolidare la propria posizione di rilievo nel contesto europeo, sfruttando a pieno il potenziale della connettività avanzata come fattore di sviluppo, competitività e crescita sostenibile.

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