Il New York Times blocca ChatGPT e ipotizza una causa contro OpenAI: ecco perché

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La trattativa fra il quotidiano statunitense e l’azienda, che vorrebbe utilizzare l’archivio del giornale per alimentare il software di intelligenza artificiale, potrebbe finire in tribunale. La più grande preoccupazione del Nyt è che ChatGPT possa diventare un diretto concorrente fornendo agli utenti risposte costruite sui materiali - anche esclusivi - creati dallo stesso giornale, senza citare le fonti, con un evidente problema in termini di copyright e proprietà intellettuale

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Dopo settimane di trattative Il New York Times potrebbe portare OpenAI - l’azienda che ha creato ChatGPT - in tribunale, in quella che potrebbe diventare la disputa legale di più alto profilo in tema di protezione del copyright e proprietà intellettuale dell’era dell’intelligenza artificiale. Come riporta The Verge, il quotidiano statunitense ha già bloccato il web crawler di OpenAI la quale quindi, al momento, non può usare i contenuti pubblicati per “alimentare” il software di intelligenza artificiale. Inoltre, all’inizio di agosto il Nyt ha aggiornato i suoi termini di servizio vietando l’uso dei suoi contenuti per l’addestramento dei modelli di IA.

Microsoft e Bing

All’origine della vicenda c’è l’investimento di 20 miliardi di dollari fatto da Microsoft in OpenAI: l’obiettivo è aumentare le capacità del motore di ricerca Bing. È a quel punto che l’attenzione della società si sarebbe spostata sull’archivio del New York Times che, se incorporato negli algoritmi di ChatGPT, permetterebbe a Bing di rispondere alle domande degli utenti con testi formulati sulla base degli articoli pubblicati dal quotidiano.

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La trattativa

Ne è quindi nata una trattativa fra il New York Times e OpenAI, quest’ultima disposta a pagare il quotidiano per le sue storie, ma - riporta la radio americana Npr - la discussioni sarebbero diventate così controverse da evocare lo spettro di un’azione legale. Non sono emersi dettagli precisi, ma alla base dello scontro potrebbe esserci la difficoltà di dare un prezzo a una banca dati così grande e immateriale.

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Cosa teme il New York Times?

Secondo quanto riporta Npr, la più grande preoccupazione del Nyt è che ChatGPT possa diventare un diretto concorrente del quotidiano fornendo agli utenti risposte costruite sui materiali - anche esclusivi - creati dallo stesso giornale, senza citare le fonti. Una fonte coinvolta nei colloqui ha spiegato alla radio americana che se una persona effettua una ricerca online e riceve una risposta da uno strumento di intelligenza artificiale, la necessità di visitare il sito web dell'editore chiaramente diminuisce. In sostanza non accadrebbe più quello che si verifica adesso, ovvero il meccanismo per cui un motore di ricerca replica a una richiesta fornendo una serie di link a siti che potrebbero contenere la risposta.

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Cosa rischia OpenAI?

La questione è del tutto aperta perché modelli come ChatGPT hanno già preso a piene mani da Internet materiali per addestrare i loro chatbot a rispondere: un’estrazione di informazioni che al momento avviene senza autorizzazione. Tuttavia, spiega Npr, se si scoprisse che OpenAI ha violato il diritto d’autore copiando articoli del New York Times un tribunale federale potrebbe ordinare la distruzione del set di dati costringendo ChatGPT a ricrearlo da zero con solo ciò che è autorizzata a utilizzare. Inoltre, la legge federale sul copyright prevede anche severe sanzioni pecuniarie, con i trasgressori che rischiano multe fino a 150.000 dollari per ogni violazione "commessa intenzionalmente".

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I precedenti

Una causa legale contro OpenAI è già stata avviata a luglio dalla comica Sarah Silverman e dagli autori Richard Kadrey e Christopher Golden. Secondo i tre, l’azienda - citata insieme a Meta - ha violato il diritto d’autore usando alcuni contenuti di libri per replicare conversazioni umane nei modelli di intelligenza artificiale. Stessa accusa mossa anche da due scrittori, Paul Tremblay e Mona Awad.

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