Un editorialista del prestigioso giornale promuove Red Dead Redemption 2 ai livelli dei classici della filmografia western
Che Red Dead Redemption 2 fosse un capolavoro ve l’avevamo detto anche noi, ma il New York Times si è spinto più in là definendo l’ultima fatica di Rockstar Games “vera arte”, ed estendendo il concetto al videogioco in generale come forma di espressione.
Il columnist del prestigioso giornale americano Peter Suderman in un articolo (LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO) abbatte infatti così i pregiudizi atavici nei confronti di quello che è sempre stato considerato un prodotto dell’industria culturale al di sotto, ad esempio, di quello musicale e cinematografico: “Nell’intrattenimento di massa, non c’è nulla di più ambito dei videogiochi. E durante le festività natalizie, molte delle uscite più attese dell’anno sbarcano nei negozi… Eppure, i videogiochi sono in qualche modo snobbati sul piano culturale, sebbene la “cultura geek” sia stata sdoganata… I videogiochi sono ancora criticati, nel migliore dei casi sono considerati uno sfizio peccaminoso. Nel peggiore dei casi, sono considerati un hobby dannoso a livello psicologico per i giovani di sesso maschile con problemi sociali. Così è percezione comune che i videogiochi non contino davvero perché in realtà non hanno niente di importante da dire… Questo approccio è comprensibile ma errato. È vero, molti videogiochi sono violenti e frivoli. E i giocatori più appassionati tendono a essere giovani e di sesso maschile. Ma i migliori videogiochi rappresentano un mezzo culturale di massa che ha preso una forma propria, è fiorito artisticamente in maniera analoga all’evoluzione dell’industria cinematografica nel 20esimo secolo e di quella televisiva negli ultimi 20 anni. Da “Sentieri selvaggi” a “Il Padrino”, da “I Soprano” a “The Americans”. Ciò che accomuna queste epoche e le loro opere più preminenti è l’ambizione condivisa, il desiderio di essere sia maestosa che ruvida, raccontando storie individuali sullo sfondo dell’identità nazionale e culturale, decostruendo i generi mentre si fa progredire la forma.”
“Se c’è un videogioco che ha raggiunto i livelli di quei classici, è proprio Red Dead Redemption 2 – prosegue Suderman - Come i classici western o film sulla mafia da cui trae ispirazione, può essere violento. Ma è anche cinematografico e letterario: una nuova Epica Americana per l’era digitale”.
E il giornalista non si limita al titolo western di Rockstar Games, ma allarga il discorso ad altri giochi, come Fallout ’76. "Sia in Red Dead Redemption 2 sia in Fallout 76, un ambizioso videogioco ambientato in una West Virginia post-apocalittica, uscito questo mese, si enfatizza il bisogno di restare in vita: mentre giochi, devi gestire dei campeggi virtuali, mangiare e bere per evitare punizioni all’interno del gioco. Queste attività sembrano delle compitini fastidiosi ma spingono anche gli utenti a giocare in maniera più riflessiva. Questi giochi sono percorsi esistenziali costruiti sulle necessità della sopravvivenza…. La cattiva reputazione dei videogiochi si deve in parte all’idea che giocare sia un modo per evitare responsabilità. Rifugiarsi in mondi virtuali dove nulla ha importanza. Ma Red Dead Redemption 2 è un gioco incentrato sul concetto di fare scelte e conviverci. Prendersi le responsabilità per come si è vissuto... È un gioco, in altre parole, che dice implicitamente ai suoi giocatori di crescere. Ed è segno che molti altri videogiochi seguiranno questa strada”.
Si tratta ovviamente di un approccio nuovo al prodotto videogioco, simile a quello che ha spinto il Victorian and Albert Museum a dedicare una mostra a questa forma espressiva non per la sua evoluzione nella storia (esperimento già tentato anche in Italia), ma dal punto di vista del design o quello che nel 2013 portò il Moma di New York ad aprire per la prima volta le sue porte a 14 videogiochi (tra cui icone pop come Pac Man, Donkey Kong, Street Fighter, Super Mario Bros. e Pong) nell’ambito di una sua esposizione.
Comunque sia, dopo l’articolo del New York Times, i ragazzi alle accuse dei genitori di entrare in trance davanti ai videogiochi potranno provare a giustificarsi dicendo che non si tratta di un segnale di alienazione, ma di sindrome di Stendhal.
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