Processo ultrà Genoa, Cataldi: "Non ho mai minimizzato aggressione a mia moglie"

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Arriva con una storia su Instagram la precisazione del centrocampista della Lazio, sentito a Genova come testimone al processo a 15 ultrà del Genoa, per i ricatti alla società

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"Gli articoli e le notizie pubblicate in serata sul mio conto riportano ricostruzioni parziali, strumentali e sensazionalistiche, oltre che lesive della mia persona, relativamente ad una vicenda, accaduta nel 2017 dopo una partita di calcio e che oggi mi vede come testimone di un processo penale. Per chiarezza: non ho minimizzato l'episodio in cui è stata coinvolta mia moglie, la persona che amo e stimo di più al mondo". Arriva con una storia su Instagram la precisazione del centrocampista della Lazio, Danilo Cataldi, sentito a Genova come testimone al processo a 15 ultrà del Genoa, per i ricatti alla società. "Far passare un messaggio diverso è quanto di più offensivo e diffamatorio nei miei confronti, soprattutto in una vicenda del genere - si legge nel posto - Credo fermamente nella giustizia e anche per questo mi riservo di agire in ogni sede per tutelare la nostra famiglia". (SCONTRI TRA TIFOSI NAPOLI E UNION BERLINO)

La ricostruzione dei fatti

La ricostruzione che contesta il giocatore si basa su queste parole diffuse dagli organi di stampa: "Il calcio a mia moglie? Fu una contestazione minima dei tifosi". A sferrare il calcio alla moglie del calciatore, secondo la Procura, è stato il 7 maggio 2007 l'ex capo ultrà del Genoa Massimo Leopizzi, che costrinse "Cataldi e la moglie a non farsi fotografare da una famiglia di tifosi del Genoa al termine della partita Genoa-Inter perché 'indegno'". L'affermazione di Cataldi, da testimone, ha lasciato perplessi i giudici, tanto che il presidente ha esclamato: "Se le sembra una cosa normale che un tifoso tiri un calcio a sua moglie".

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