Cento anni fa nasceva Coppi, storia di un Campionissimo

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Cristian Paolini

Un uomo che è diventato leggenda per quello che ha fatto in sella alla bici e passato alla storia per quello che ha rappresentato nel dopoguerra del nostro Paese

“Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”. La voce era del giornalista radiofonico Mario Ferretti, l’impresa di quello che sarebbe passato alla storia come il Campionissimo del ciclismo italiano e mondiale: Fausto Coppi. Una delle tante imprese. Perché quella fuga nella tappa Cuneo-Pinerolo del Giro ’49 fu solo l’occasione che fornì il pretesto a una delle frasi entrate nell’immaginario collettivo del nostro Paese, e non solo per gli appassionati di sport. 

 

Il Campionissimo che vinse tutto

L’Airone, l’altro soprannome dell’asso nato a Castellania, oggi Castellania Coppi, in provincia di Alessandria il 15 settembre 1919, in carriera di imprese ne realizzò tante da collezionare 151 successi in gare su strada e 83 su pista, cinque Giri d’Italia, due Tour de France, due Mondiali (uno su pista e uno su strada) e il record dell’ora. Numeri che non dicono però tutto di una personalità destinata a rivoluzionare un’Italia che usciva dal secondo conflitto mondiale e voleva mettersi alle spalle quell’incubo per tornare a sognare. E aveva bisogno di eroi che la aiutassero a farlo, cancellando le divisioni di colore ancora vive per unirsi sotto un’unica bandiera, quella dello sport. Coppi era perfetto perché dava da scrivere ai rotocalchi e alimentava un nuovo mondo tutto da immaginare sia per quello che costruiva sui pedali che quando ne scendeva. 

 

Lo scandaloso amore per la Dama Bianca

Fece scandalo e insieme costituì un mattone fondamentale verso un Paese che si affacciava a nuove battaglie per i diritti civili, la sua relazione con Giulia Occhini, definita dalla stampa la Dama Bianca, che lo portò a separarsi dalla moglie Bruna che gli aveva dato una figlia, Marina. Dal rapporto con la Occhini ebbe un figlio Faustino, ma anche una serie di disavventure che nella cattolicissima Italia dell’epoca costò ai due la condanna morale di Papa Pio XII e quella dei giudici al carcere, mai scontata per la sospensione condizionale della pena. 

 

Una vita bruciata in fretta come andava sulla bici  

Ma Coppi fu soprattutto un grande atleta, segnalandosi come tra i primi ad avere attenzione a preparazione, dieta e tecniche di preparazione all’avanguardia per quei tempi. Una vera e propria star dell’epoca che delle stelle più brillanti ebbe il destino di consumarsi in fretta concludendo troppo presto la sua vita, a soli 40 anni, a causa di una malattia contratta in Alto Volta, l’attuale Burkina Faso, dove era stato ingaggiato per una corsa-esibizione con la sua squadra, appena costituita dal rivale di sempre e amico, Gino Bartali. Anche il dualismo con il toscano fece epoca e divenne proverbiale dividendo la passione del pubblico. Salvo poi unire tutti come l’immagine consegnata alla storia del passaggio di borraccia tra i due sul Galibier nel corso del Tour del ’52. Ancora oggi ci si interroga chi passò l’acqua per dare sollievo al rivale. Ma in fondo non ha importanza, perché quel passaggio è come il contatto tra il divino e il mortale, la creazione di quel ponte che collega l’uomo al mito e lo trasforma in paradigma per ogni impresa che è stata e stimolo per ogni impresa che verrà. 

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