L’11 agosto 2016 il Tas di Losanna condanna l’atleta italiano a otto anni di squalifica per recidività. L’altoatesino però parla di provette manomesse e di complotto nei suoi confronti dopo il test fatto a gennaio. Da lì nuove indagini che oggi attendono una svolta
La medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, la prima positività alla vigilia dei giochi di Londra, il rientro e il secondo test antidoping fallito proprio nell’anno di Rio 2016. Una vicenda, quella del marciatore italiano Alex Schwazer, che però non è ancora stata chiarita: lui parla di complotto e di manomissione delle provette nel gennaio del 2016, oggi il Ris di Parma e il tribunale di Bolzano potrebbero dargli ragione.
La prima positività nel 2012
È il 6 agosto 2012, a pochi giorni dalla gara dei 50 km che si sarebbe svolta l’11 agosto, quando Alex Schwazer, classe ’84 di Vipiteno, viene trovato positivo all'eritropoietina ricombinante in un controllo antidoping a sorpresa effettuato dall'Agenzia mondiale antidoping il 30 luglio. Il Coni lo esclude immediatamente dalla competizione. Il 23 aprile 2013 il Tribunale Nazionale Antidoping infligge al marciatore azzurro una squalifica di tre anni e sei mesi: Schwazer può tornare a gareggiare dal 30 gennaio 2016.
Il mancato controllo nel 2015
La squalifica dell’aprile 2013 viene però aumentata il 12 febbraio 2015, quando il Tribunale Nazionale Antidoping del Coni gli infligge altri tre mesi di squalifica per aver evitato un prelievo dei campioni biologici violando l'articolo 2.3 delle Norme sportive antidoping. Secondo i giudici, il 30 luglio 2012 l'atleta avrebbe "eluso o si sarebbe rifiutato senza giustificato motivo di sottoporsi al prelievo dei campioni biologici". Nella vicenda viene coinvolta anche la campionessa di pattinaggio Carolina Kostner, allora sua fidanzata: fu chiesto proprio a lei di negare la sua presenza in casa. Schwazer resta così fuori dalle gare fino al 29 aprile 2016.
Il ritorno alle gare e la seconda positività
È nell'aprile 2015 che Schwazer riprende gli allenamenti con Sandro Donati, un simbolo di professionalità e di lotta al doping. Con lui, al termine della squalifica, rientra in gara e lo fa marciando i 50 km ai Mondiali a squadre di marcia a Roma l’8 maggio del 2016. È proprio l’italiano a vincere con un tempo di 3h39'00". Pronto per la conquista di un’altra medaglia d’oro olimpica, dopo quella di Pechino nel 2008, il 21 giugno 2016 risulta una nuova positività. Nello specifico, si tratta di un campione di urine prelevato l’1 gennaio di quello stesso anno. Il test, in realtà, era risultato negativo ad una prima analisi standard, ma controlli più approfonditi rivelano la presenza di metaboliti di testosterone nelle urine di Schwazer. Il team del marciatore però respinge ogni tipo di accusa e nella conferenza stampa convocata lo stesso giorno parla di invenzioni "false e mostruose".
La nuova squalifica e l’addio ai giochi di Rio
Nonostante la proclamazione d’innocenza da parte di Schwazer, dopo le controanalisi positive, l'8 luglio 2016 la IAAF lo sospende con effetto immediato in via cautelare. Lo stesso giorno, il legale di Schwazer annuncia un ricorso denunciando una manipolazione esterna sul campione di urine prelevato a gennaio. Un mese dopo, l'8 agosto 2016, in sede olimpica a Rio de Janeiro, il Tas analizza e respinge, dopo qualche giorno, il suo ricorso: l’atleta viene dunque squalificato per altri anni, mettendo così fine alla sua carriera.
Le incongruenze nel test di Schwazer
Al di là della vicenda sportiva, il caso Schwazer ha risvolti anche dal punto di vista giudiziario. Numerose sono state infatti le testimonianze e le prove che l’atleta altoatesino ha cercato di produrre per confermare la sua innocenza. Tra queste, il fatto che le provette analizzate non sono anonime, come da prassi, ma hanno la scritta Racines, comune di residenza del marciatore. Sono le stesse provette che, dopo il controllo effettuato il primo gennaio 2016 a casa di Schwazer, rimangono quasi un giorno intero a Stoccarda perché il laboratorio di destinazione, a Colonia, è chiuso per feste. Inoltre, quando il Gip del Tribunale di Bolzano chiede un campione delle urine, da Colonia consegnano anche un campione che non è quello richiesto. Soltanto dopo diversi mesi le urine dell’ex medaglia d’oro arrivano in Italia e nel febbraio 2018 vengono affidate ai Ris di Parma per una perizia sul Dna. Una volta analizzate le provette di Schwazer, il Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri riscontra nelle urine "delle discordanze non compatibili con la fisiologia dell'atleta". Spetta al tribunale di Bolzano adesso stabilire se le provette del campione azzurro sono state manomesse nel laboratorio di Colonia.