Paolo Ruffini presenta "Up & Down - Un Film Normale". L'intervista

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Barbara Ferrara

Paolo Ruffini
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L'appuntamento con "Up & Down - Un Film Normale", ti aspetta in prima tv assoluta sabato 26 gennaio alle 15.45 su Sky Uno (canale 108) e su digitale terrestre al canale 311 o 11, nell'attesa e per saperne di più, continua a leggere e scopri cosa ci ha raccontato Paolo Ruffini. L'INTERVISTA 

Che film è Up&Down? Lo abbiamo chiesto a chi questo film lo ha diretto insieme a Francesco Pacini, a chi questo film lo ha fatto e fortemente voluto. Nel cast oltre allo stesso Paolo Ruffini, Lamberto Giannini e gli attori della compagnia teatrale livornese Mayor Von Frinzius: Erika Bonura (“la primadonna perfetta”), Simone Cavaleri (“miglior intrattenitore”), Andrea Lo Schiavo (“grandissimo imitatore”), Federico Parlanti (“una maschera di per sé”), David Raspi (“il nostro cantante”) e Giacomo Scarno (il più spudorato). Up&Down “non è un film sulla sindrome di down, sulla condizione genetica, ma sulla normalità, con persone down. Tra l’altro c’è anche un ragazzo autistico, proprio perché non ci siamo posti limiti né confini. E’ un film sull’idea di essere normali”. Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo partire da un assunto fondamentale: “La vita non ci chiede di essere normali, la vita è un inno alla diversità: siamo tutti diversamente normali e ugualmente diversi”. Detto questo, non resta che goderci la vita e un film che, senza alcuna forma di buonismo, fa ridere, commuove e fa riflettere. Divertente e ironico quanto basta per farci star bene, Up&Down è il racconto di un’esperienza artistica e umana unica in cui cinque attori con sindrome di Down e uno autistico ci dimostrano che solo la pietà rischia di intaccare il senso di uguaglianza e ciascuno di noi, dal primo all’ultimo, merita rispetto e amore.

Parlare di disabilità non è mai semplice, specie a teatro.
A teatro la disabilità c’è sempre stata, non siamo stati certo i primi a parlarne ma la rivoluzione che abbiamo compiuto è stata nel voler declinare la disabilità nel pop. In antitesi a un discorso elitario, impostato e molto chic, abbiamo voluto portare lo spettacolo nei circuiti commerciali.
Una scelta rivoluzionaria.
Sì, inizialmente ci chiedevano se si trattasse di uno spettacolo di beneficenza, ma gli attori erano come tutti gli altri e come tali venivano pagati, in questo senso la rivoluzione, spostarci nel pop. Stesso discorso per il documentario, non volevamo percorrere la strada talvolta tortuosa dei festival, ma scegliere un percorso pop, quindi siamo felicissimi che Sky trasmetta il film, è quello a cui ambivamo. Siamo convinti che la disabilità sia un argomento che tocca tutti. Nel film trattiamo parliamo di normalità.
Qual è la difficoltà nell’approcciarsi alla disabilità e conseguentemente alle persone che definiamo tali?
Deriva dai nostri retaggi culturali, fondamentalmente siamo terrorizzati dal diverso. Siamo un Paese che è passato dal confinare i diversi nei manicomi, a considerarli oggi secondo la morale comune dei “poverini”.
C’è bisogno di rispetto e dignità più che di commiserazione.
Stiamo parlando di persone che non hanno bisogno di sentirsi dire “poverino”, ma al contrario di qualcuno che dica loro “tu vali quanto me”. Questo è un periodo storico assurdo in cui si parla molto più di social che di sociale, di reality che di reale e si fa molta confusione con le parole.
Ricordiamo che la parola down non è solo sinonimo di sindrome, ma di stato d’animo.
Molto spesso non abbiamo voglia di pensare o di affrontare certe cose, quello che abbiamo fatto noi è una riflessione su come tutti possano essere abili o disabili alla felicità, e lo abbiamo fatto attraverso un gioco di parole. Chi ha scoperto questa sindrome si chiamava Down e il pensiero che abbiamo fatto è che ci sono molte persone che incontri ogni mattina in down ma non sono persone down, mentre, paradossalmente persone down hanno la sindrome di up.
Ci racconti meglio della “sindrome di up”.
Le persone down hanno una confidenza con la felicità che molto spesso chi le emargina non ha. Incredibilmente chi li discrimina è molto più infelice di loro. In questo mondo competitivo c’è chi è molto più interessato al numero di like o di followers, e chi tra gli ultimi non aspira a essere primo perché non è interessato né alla competizione né alla medaglia, ma ha voglia di avere rispetto e integrità.
Federico, Andrea, Erika, Giacomo, Simone e David di lei hanno detto che è il numero uno: lei cosa dice di loro?
Dico che sono persone che mi hanno creato diversi problemi: adesso è difficile lavorare con la gente normale, non riesco più a stare negli ambienti di lavoro dove stavo prima. Lavorare con loro significa avere a che fare con persone che non sono interessate ai soldi, non conoscono le invidie. La prima mezzora in cui ci si incontra la si passa ad abbracciarsi, quando vado a fare altri tipi di lavoro, quella umanità non c’è. Sto diventando un razzista al contrario.
Cosa le hanno insegnato?
Mille cose, ad affrontare la vita in modo diverso, e soprattutto la resilienza, la capacità di trasformare il limite in opportunità. L’idea di tenere il cellulare un po’ più in tasca e di guardare le nuvole.
Cosa crede di avere insegnato loro?
Io sono stato solo un vettore che li ha messi in collegamento con il teatro ed più che altro il teatro che ha insegnato loro come ha insegnato a me: la disciplina, innanzitutto. Per loro è terapeutico anche scandire delle frasi, come si dice anche nel film, non fanno delle cose perché nessuno gliele ha mai chieste. E il teatro chiede.
Eduardo De Filippo diceva che “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”, è d’accordo? 
Sì, penso sia una bellissima frase; credo che il senso della vita sia migliorarsi, nel teatro come nella vita, bisognerebbe che qualcuno, a corollario di quanto detto da De Filippo pensasse di recitare anche mentre vive per potersi migliorare e dare il meglio di se. Molto spesso non diamo il meglio, il senso della vita invece penso stia nel darlo, praticando generosità a casaccio e atti di bellezza privi di senso.
Progetti futuri?
Sono al cinema con L’agenzia dei bugiardi di De Biasi. e il 21 febbraio uscirà un film scritto da me e Fausto Brizzi diretto da Brizzi che si chiama Modalità aereo mentre dal 3 febbraio torno a teatro con Sogno di mezza estate di Massimiliano Bruno con Giacomo Fresi e poi a marzo farò Colorado.
 

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