Trump, Satana e spot di propaganda: così South Park riaccende la sua fiamma
Serie TV
La serie animata creata da Trey Parker e Matt Stone torna dopo due anni con una puntata che ha già acceso il dibattito: Donald Trump è protagonista di una narrazione surreale tra religione, cause miliardarie e dinamiche mediatiche. Un ritorno alle origini per una satira che non rinuncia alla provocazione
Un letto, Satana e Donald Trump. No, non è una metafora, ma la scena d’apertura di Sermon on the Mount, la nuova e attesissima puntata che inaugura la 27ª stagione di South Park. Dopo due anni di silenzio, la serie creata da Trey Parker e Matt Stone torna con il piede premuto sull’acceleratore – e lo fa mettendo al centro della narrazione una figura che è già storia e polarizzazione: Donald J. Trump, stavolta rappresentato direttamente, senza più maschere o avatar.
Trump è davvero Trump
Dimenticate Mr. Garrison ovvero uno dei personaggi principali di South Park, inizialmente insegnante dei protagonisti e noto per il suo comportamento eccentrico e provocatorio che nel corso della serie cambia più volte identità sessuale e genere, diventando simbolo della satira sulle questioni di identità e politica (dalla stagione 19 interpreta una caricatura di Donald Trump, arrivando a diventare presidente degli Stati Uniti nella serie e nella stagione 27, Trump appare per la prima volta come personaggio separato, segnando la fine di questa fusione satirica). Ok, niente Mr. Garrison, dunque. Il presidente appare nella sua versione esplicitamente animata, sdraiato tra le lenzuola con un Satana dal cipiglio quasi affettuoso. I due discutono, si punzecchiano, e tra un riferimento ai documenti del caso Epstein e battute sull’anatomia presidenziale, la scena diventa un concentrato di umorismo crudo e simbolismo mediatico. Il tono? è eccessivo, ma mai casuale, come sempre in stile South Park.
Cause da miliardi e uno spot obbligato
Nel corso dell’episodio, il personaggio ispirato a Donald Trump intenta una causa contro l’intera cittadina di South Park, inizialmente chiedendo un risarcimento di 5 miliardi di dollari, poi ridotto a 3,5 milioni. Per evitare il fallimento economico, gli abitanti accettano un accordo che prevede anche la realizzazione di uno spot pubblicitario a sostegno del presidente. Tra le sequenze più discusse, compare una figura religiosa che, in tono solenne, invita i cittadini a non opporsi e ad accettare la nuova situazione. L’episodio si muove sul piano della satira, trattando il tema del consenso e del potere comunicativo attraverso iperboli narrative. Come spesso accade nella serie, il bersaglio è sempre la narrazione, non la fazione. In passato ha colpito Al Gore, Hillary Clinton, Biden, Hollywood, la cancel culture e l’intera industria dello spettacolo. Ma questa volta l’episodio sembra particolarmente centrato su un tema preciso: quanto può influenzare il potere mediatico la rappresentazione della realtà? E quanto siamo disposti ad accettare, pur di evitarne le conseguenze?
Uno sguardo all’industria: nel mirino anche Paramount
C’è un altro livello di lettura nell’episodio: la satira sul controllo dell’immagine e sulla propaganda sembra riflettersi anche sull’industria dell’intrattenimento stesso. La tempistica non è casuale: pochi giorni prima del debutto della nuova stagione, Paramount ha concluso un nuovo accordo con Trey Parker e Matt Stone per portare South Park in esclusiva su Paramount+. Il contratto quinquennale avrebbe un valore compreso tra 1,25 e 1,5 miliardi di dollari e prevede la distribuzione in streaming delle stagioni precedenti, dei nuovi episodi e dei film originali.
Un ritorno che sa di vintage (ma affila il coltello)
Sermon on the Mount è un episodio che ha il sapore delle stagioni d’oro: quelle in cui Saddam Hussein cantava I can change e Mel Gibson si faceva rincorrere in mutande. C’è ritmo, c’è struttura, c’è quel gusto per l’assurdo che rende South Park unico nel suo genere: abbastanza folle da portarti in territori imprevisti, abbastanza lucido da farti restare. Il messaggio, se c’è, non è tanto su Trump quanto su noi spettatori. Su cosa siamo disposti a ridere, su cosa ci mette a disagio e su quanto il potere delle immagini – anche quelle animate – possa ancora sorprendere, irritare o far pensare. South Park non vuole convincere nessuno, vuole solo che nessuno si senta al sicuro. Ed è forse proprio per questo che, 27 stagioni dopo, continua a far discutere.