L'attivista pakistana Premio Nobel per la Pace ha denunciato a Variety la presenza minima di attori, registi e sceneggiatori musulmani nell’industria cinematografica di Hollywood. Le conseguenze dell’invisibilità televisiva della comunità musulmana rischiano di invadere la società, ma Malala Yousafzai intende sradicare negazioni e stereotipi anche grazie ai progetti inclusivi della sua casa di produzione Extracurricular
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“I musulmani costituiscono il 25% della popolazione, ma nelle popolari serie TV rappresentano solo l’1% dei personaggi”. Ha denunciato la scarsa presenza degli attori musulmani nell’industria cinematografica di Hollywood l’attivista pakistana Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la Pace impegnata sin dall’adolescenza nella lotta per i diritti civili. Sopravvissuta all’attentato sullo scuolabus pianificato dai talebani per ostacolare il suo sostegno alle donne afghane quando aveva solo 15 anni, Malala ha fondato la casa di produzione Extracurricular, che supporta l’inclusività nell’industria dell’intrattenimento: “Mi sento un’attivista e una storyteller”, ha dichiarato in un’intervista a Variety. “Ho fatto attivismo per più di dieci anni finora, e ho realizzato che non dovremmo limitare l’attivismo soltanto al lavoro delle ONG. C’è anche la componente di cambiare la mentalità e le prospettive delle persone”.
I DATI SULLA DISCRIMINAZIONE
L’attivista ha citato i dati raccolti dall’USC Annenberg Inclusion Initiative per combattere la discriminazione dei musulmani nei media in occasione della campagna The Muslim Visibility Challenge, organizzata dall’attore britannico di origini pakistane e vincitore di un Emmy Riz Ahmed (anche istitutore della Pillars Artist Fellowship, borsa di studio a supporto dei registi e sceneggiatori musulmani esordienti, e ispiratore del Riz Test, che verifica gli stereotipi sui musulmani nelle sceneggiature). L’analisi di 200 film campioni di incassi usciti tra il 2017 e il 2019 in Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Regno Unito ha evidenziato la rappresentazione di personaggi musulmani in appena 19 pellicole, mentre nelle restanti 181 non compare alcun soggetto musulmano che pronunci almeno una parola per l’intera durata del film. Inoltre, la maggior parte dei pochissimi personaggi musulmani non invisibili sono vittime di stereotipi: più della metà sono identificati come immigrati, rifugiati o migranti e, in generale, associati a forme di violenza. Infine, i personaggi musulmani sono estranei alla diversità: solo uno appartiene alla comunità LGBTQ e solo uno è affetto da disabilità. L’esclusione riguarda anche i bambini: nessuno dei 23 film d’animazione presenti nel campione racconta la storia di un personaggio musulmano.
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LA NEGAZIONE CINEMATOGRAFICA E SOCIALE
Gli stereotipi negativi e la cancellazione delle persone musulmane sugli schermi producono effetti disumanizzanti nella società. L’invisibilità cinematografica alimenta infatti la mancanza di percezione sociale della comunità nascosta e diminuisce la sua importanza, rendendola vulnerabile e favorendo così la discriminazione dei suoi membri. “A volte sembra che ci dicano semplicemente che non dovremmo essere qui”, ha commentato Malala. “Spesso a Hollywood si dice, implicitamente o esplicitamente, che i personaggi sono troppo giovani, troppo scuri o troppo musulmani, o che se viene girato uno show su una persona di colore, allora è fatta, non c’è bisogno di farne un altro. Questo deve cambiare”.
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I PROGETTI CINEMATOGRAFICI
Malala lotta contro la discriminazione hollywoodiana anche con i progetti sviluppati dalla Extracurricular. “Sono una donna, una musulmana, una pashtun, una pakistana e una persona di colore. E ho guardato Succession, Ted Lasso e Severance, in cui i protagonisti sono persone bianche – e in particolare molti uomini bianchi. Se possiamo guardare questi show, allora credo che il pubblico sarebbe in grado di guardare show che sono fatti da persone di colore, e prodotti e diretti da persone di colore, con persone di colore come protagonisti. Questo è possibile, e io ho intenzione di farlo accadere”. Dal documentario sulla società matriarcale delle anziane pescatrici sudcoreane Haenyeo alla serie su una donna in cerca di accettazione nel secondo dopoguerra giapponese, fino a un film satirico in collaborazione con il regista di Don’t look up Adam McKay sulla dissertazione su un giovane poeta di uno studente universitario, le produzioni in programma includono una grande varietà di personaggi, nella speranza di far sentire non solo le loro voci, ma anche quelle di donne di colore, sceneggiatori esordienti, registi e sceneggiatori musulmani. “Spero che potremo avere una vasta gamma di prospettive e che sconfiggeremo alcuni degli stereotipi radicati nelle nostre società. E spero anche che il contenuto sia divertente e che le persone si innamorino dei personaggi e si godano il tempo insieme”, ha spiegato Malala. “Quando vedi personaggi diversi, sviluppi una migliore prospettiva del mondo, e tanto ti interroghi e destrutturi quanto impari cose nuove”.