1994, Guido Caprino racconta il personaggio di Pietro Bosco VIDEO

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Paolo Nizza

Dall’incontro con Leonardo Notte e Silvio Berlusconi, alla passione mai sopita per Veronica Castello, Guido Caprino ci svela i segreti di Pietro Bosco in 1994, il capitolo finale della serie ambientata a cavallo tra la Prima e la Seconda Repubblica

 

“Se Sisifo fosse felice, troveremo altrove l’inferno.” Così scriveva il poeta e rivoluzionario greco Alexandros Panagulis. E in fondo il mito del re di Corinto, condannato per l’eternità a sospingere un grosso macigno fino alla sommità di un monte, si rispecchia nella vicenda umana e politica di Pietro Bosco. Un uomo tormentato da pesi sempre più onerosi e gravi a cui l’interpretazione di Guido Caprino offre un’autenticità dolorosa, una fisicità tracimante. A vederlo recitare egregiamente in 1994 ti viene in mente la famosa domanda posta da Antonine Artaud: “È il corpo ad avere un’anima o l’anima ad avere un corpo?” La risposta, probabilmente non c’è. Quello che è noto, invece, oltre all’indiscutibile bravura, è la contagiosa ironia di Guido. Un autentico mattatore, schietto quanto il suo personaggio, ma decisamente più solare e amabile di Bosco. Insomma, “eccezziunale veramente”, per citare la mitica canzone di Abatantuono che Pietro canta in una degli episodi più riusciti di 1994.  Caprino, è l’incarnazione del celebre aforisma di Lee Strarsberg: “L’attore crea con la sua carne e il suo sangue tutte quelle cose che le altre arti, in qualche modo, tentano di descrivere“

Come è nata la voce di Pietro Bosco, così profondamente diversa dalla tua? Un lamento intriso di terra e catrame, come se provenisse dalle memorie di un sottosuolo, impastato di rabbia e dolore. Mi ha ricordato il lavoro fatto da Joaquin Phoenix per la risata di Joker.

Lavorando su questo personaggio, ho avuto la fortuna di poter cambiare tutto.  Konstantin Sergeevič Stanislavski all’inizio de suoi studi sulla recitazione diceva di partire dalla psiche per poi arrivare al corpo. Alla fine, invece è arrivato alla conclusione che è il corpo a formare la psiche. Quindi per costruire Pietro Bosco sono partito più da un cambiamento fisico. Un lavoro che mi ha reso più lento, ho cambiato il modo di respirare. In fondo grazie anche al lavoro riuscito degli sceneggiatori, Pietro, nel corso delle stagioni della serie, non fa che caricarsi sempre più pesi. Un uomo in continua lotta per non farsi schiacciare, alla ricerca di un presunto riscatto sociale. E tutti questi fardelli, questo appesantimento si riflettono anche sulla voce del personaggio.

Da Roberto Maroni a Umberto Bossi, passando per Silvio Berlusconi, Bosco interagisce spesso e volentieri nella serie 1994 con persone realmente esistite. Hai rivisto qualche filmato d’epoca per preparati a recitare in queste scene?

La documentazione e il lavoro di ricerca sono fondamentali sia per gli attori, sia per gli sceneggiatori. Anche se il mio è un personaggio di fantasia, le suggestioni provenienti dalla realtà sono importanti. Quindi ho studiato i documenti dell’epoca e ho attinto anche ai miei ricordi personali, visto che in quel periodo ho vissuto a Milano.

Come hai recepito la presenza sul set di 1994 degli sceneggiatori?

È stata molto utile. È un privilegio potersi confrontare quotidianamente con chi ha scritto la serie. A volte cambiare una battuta, modifica il senso dell’intera scena. Insomma, siamo cresciuti insieme agli sceneggiatori. Siamo stati sempre un gruppo affiatato e non è la solita frase di circostanza.

In 1994, ci sono molti riferimenti al calcio dal Milan ai Mondiali del Messico. Che rapporto hai con il football?

È una sorta di specchio dell’Italia, un’arena in cui si sfidano anche i protagonisti della serie. Però non dimentichiamoci che Pietro Bosco è stato un soldato e anche un rugbista. E nella prima parte della trilogia il rugby era una sorta di metafora del personaggio, un puro che, nel corso del tempo, è costretto a sporcarsi le mani e non solo.

In 1994 per la prima volta Bosco incontra il personaggio interpretato da Stefano Accorsi. Perdona il calembour, ma siete come il giorno e la notte.

Dal punto di vista professionale lavorare con Stefano è stato fantastico e molto piacevole. È un attore rispettoso è per nulla prevaricante. Certo, i personaggi che interpretiamo nella serie sono agli antipodi. Quindi è interessante vederli interagire, anche perché tra loro si pone Veronica Castello (Miriam Leone) una sorta di fulcro per entrambi.

C’è una battuta chiave in 1994 che definisce il tuo personaggio?

Sì, quando Maroni chiede un parere a Bosco. Pietro risponde con queste parole: “L’occasione di stare al governo di questo Paese non ci capiterà mai più nella vita.” Insomma, il fine giustifica i mezzi.

Infine, perché guardare 1994?

Perché tra finzione e realtà, raccontiamo la Storia di questo Paese. È un periodo fondamentale per capire l’Italia di oggi.  Descriviamo una rivoluzione, fallita o riuscita non si sa. E non ci sono molti esempi di questo tipo nel panorama italiano.

 

 

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