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Lucio Dalla, 4 marzo 1943: storia e significato della canzone

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Terza al Festival di Sanremo nel 1971, inizialmente intitolata "Gesubambino", la canzone racconta la storia di una ragazza madre, rimasta incinta di un soldato alleato

4 marzo 1943 è senza ombra di dubbio una delle canzoni più amate del repertorio di Lucio Dalla.

 

Un brano rimasto impresso nella sua carriera e nella sua storia di cantautore a tal punto che il 4 marzo è una giornata di festa per la sua nascita e per un titolo che gli è rimasto addosso anche dopo la sua scomparsa.

 

4 marzo 1943 è stata presentata al Festival di Sanremo del 1971 e si è classificata al terzo posto. Inizialmente il titolo del brano doveva essere Gesubambino, ma la censura costrinse Lucio Dalla e Paola Pallottino, coautrice, a cambiare sia il titolo che gran parte della canzone. Proprio Pallottino ha spiegato più volte il significato della canzone e l’incontro nato con Lucio Dalla e che ha portato alla creazione di 4 marzo 1943. I due si sono conosciuti grazie ad alcuni amici comuni che consigliarono alla donna di proporre alcuni dei suoi testi al cantautore bolognese.

La storia di 4 marzo 1943

4 marzo 1943 non è una canzone autobiografica, come spesso si è pensato, ma un ideale risarcimento a Lucio Dalla. Paola Pallottino aveva pensato ad una canzone sull’assenza del padre (il cantautore è rimasto orfano all’età di 7 anni), ma durante la stesura si è trasformata in un brano sull’assenza della madre. Racconta la storia di una ragazza madre che aveva avuto un figlio con un soldato alleato.

 

Il brano venne prima cantato da Lucio Dalla nel dicembre del 1970 al teatro Duse di Bologna poi portata sul palco del Festival di Sanremo dallo stesso cantautore e dall’Equipe 84. La versione presentata durante la kermesse musicale venne modificata per l’intervento della censura così la frase "E anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino" divent "E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino".

 

Della canzone esistono numerose versioni pubblicate all’estero e amate soprattutto dai Paesi in lingua spagnola (dove fu portata al successo da Maria Betania e Chico Buarque de Hollanda). Il brano venne inciso anche da Dalida. Tra le versioni presenti c’è anche quella firmata da Francesco De Gregori. Il cantautore ha pubblicato nell’album live Sotto il vulcano la versione censurata di 4 marzo 1943.

Il testo di 4 marzo 1943

Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare

parlava un’altra lingua, però sapeva amare

e quel giorno lui prese a mia madre, sopra un bel prato

l’ora più dolce, prima d’essere ammazzato.

Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto

con l’unico vestito, ogni giorno più corto

e benchè non sapesse il nome e neppure il paese

mi aspettò come un dono d’amore, fino dal primo mese.

Compiva sedici anni, quel giorno la mia mamma

le strofe di taverna, le cantò a ninna nanna

e stringendomi al petto che sapeva, sapeva di mare

giocava a far la donna, col bambino da fasciare.

E forse fu per gioco, e forse per amore

che mi volle chiamare, come Nostro Signore

della sua breve vita il ricordo, il ricordo più grosso

è tutto in questo nome, che io mi porto addosso

e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino

per la gente del porto io sono, Gesù Bambino

e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino

per la gente del porto io sono, Gesù Bambino.

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