Satantango, l'album Satantango: "Le nostre sono canzoni per stimolare ragionamenti"
Musica
Il duo della provincia di Cremona, formato da Valentina Ottoboni e Gianmarco Soldi, ha pubblicato un album, che porta il loro nome, che racconta il mondo filtrato dalla Pianura, duque con uno sguardo sterminato e lungimirante verso l'orizzonte. L'INTERVISTA
Satantango è il ritratto lucido e inquieto di una periferia immobile e sospesa, romantica e decadente. Come quella ai confini di Cremona, tra la nebbia e i prefabbricati dove è nato e ha scelto di restare il duo formato da Valentina Ottoboni e Gianmarco Soldi, il cui nome, Satantango (come l'album) è un omaggio all’omonimo film ungherese del 1994 di Béla Tarr, tratto dal libro del Premio Nobel per la Letteratura László Krasznahorkai, che racconta il declino di un villaggio sperduto in una terra grigia, solitaria, desolata e fangosa tanto simile alla loro. In Satantango atmosfere struggenti e oniriche si alternano a muri di suono travolgenti su cui galleggiare e viaggiare lontano: un’ipnotica bolla sonora da cui lasciarsi catturare, stordire e cullare. Ovviamente per fare questa intervista era necessario respirare la Pianira che Valentina e Gianmarco vivono e dipingono nella loro arte. E lo abbiamo fatto in un pranzo padano da Franca e Luciano, a Castelverde. Ironia della sorte, quel giorno la nebbia si è nascosta al cospetto di un sole timido. Ma la Pianura, anche pallida, ha toccato i sogni, le speranze e le disillusioni.
Valentina e Gianmarco partiamo dalla storia di Satantango: avete scelto il titolo eponimo per raccontare la provincia romantica e decadente. Come lo avete costruito? Come ci avete lavorato?
Abbiamo scelto quel nome perché rappresentava bene l'album, non poteva avere un altro nome. La cascina da cui parte l'immaginario ricorda quella nostra e la nebbia porta lo stesso clima. Non c'è un ruolo definito tra noi e sulla durata dipende, alcuni si completano in pochissimo tempo altri hanno una gestazione più lunga.
Il vostro nome viene dal film omonimo di Béla Tarr tratto dal libro di László Krasznahorkai: cosa vi ha affascinato del film, in cosa vi ci riconoscete e in cosa ritrovate elementi della vostra provincia?
L'atmosfera e l'ambiente, una Bulgaria simile alla pianura Padana. Non c'è differenza rispetto a questa zona di Padana, solo siamo più rurali. Ci sono figure grottesche nell'abum mentre nel film sono più eleganti; poi c'è un po' di mistero.
Il disco parla di una provincia che da una parte è fascino e dall'altra e un recinto: il vostro progetto mi ricorda molto al mondo di Cesare Zavattini, soprattutto al suo periodo del realismo: è un periodo nel quale vi riconoscete?
A volte ci sarebbe piaciuto avere la nostra età negli anni Settanta italiani. Però poi bisogna ritrovarsi nell'epoca in cui vivi e quindi l'album racconta la nostra vita e con l'ambientazione in un'altra epoca non sarei più noi. Siamo una generazione di mezzo tra l'analogico e il digitale che ci lega maggiormente alle persone più grandi.
Il senso di isolamento della provincia è quello che vi ha spinto a fare tutto da soli? Al Do it Yourself?
In città è più facile fare rete, ma la differenza la fa la persona. Noi siamo autonomi per vogliamo il controllo autoritario su tutto il processo, avevamo l'idea di come volevamo Satantango. In studio avremmo avuto una resa più in alta definizione ma con una perdita della magia.
Aprite l'album con 9.11, una data che nel 2001 ha cambiato la storia del mondo: perché un inizio così evocativo?
Uno di noi (Gianmarco, ndr) stava guardando alla la Melevisione e intanto c'erano la distruzione dell'infanzia e una mamma che piange davanti alla tivù perché le Torri gemelle le aveva visitate. Quel giorno è un simbolo di quello che è successo dopo, siamo cresciuti zigzagando le sfighe.
"Non ci sentiamo a casa da nessuna parte": in cosa la vostra generazione è apolide? Quale la vostra idea di radici?
Ci sentiamo a casa qui. La nostra generazione era esterofila, si guardava a Londra, all'America. Dopo il covid, anche se noi qui nella campagna di Cremona riuscivamo a uscire grazie all'immensità della pianura, molti si sono riequilibrati: ok la performance ma è bello vivere a casa. E ci aggiungiamo che è reale che ce ne sono molte di più ma le opportunità della metropoli bisogna saperle cogliere.
Permafrost è sabbia e roccia che il ghiaccio solidifica e plasma, quindi un qualcosa di concreto, palpabile. Il vostro è indefinito, è tutto un come se: se vi guardate intorno è come se aveste un senso di incompletezza?
Quando la abbiamo scritta ci sentivamo che mancava qualcosa, c'era una frustrazione. Ora pesa molto meno. Oggi siamo più definiti, c'è tanto della nostra vita nelle nostre canzoni, del vissuto, di cosa eravamo, ci siamo sfogati. La società è così caotica e veloce che ha insita in sé l'incertezza.
Gioventù Amore e Rabbia oltre a essere una fucina di citazioni è un invito a non arrendersi, è un boys don't cry: e a proposito di piangere quanto queste canzoni vi hanno aiutato a esorcizzare le vostre fragilità?
Parla di tantissime persone diverse, parla di noie di amici e abbiamo messo insieme i problemi e le insicurezze, comprese le nostre. L'autosabotaggio del film è in noi e negli amici. Noi lo abbiamo raccontato attraverso delle dipendenze e il fermarsi prima di raggiungere un obiettivo.
Quale è la strada provinciale 6 "che ingoiava la pianura"? E' per voi appartenenza?
Per noi è importante perché passa vicino al nostro paese ed è quella che, quando prendiamo la macchina e partiamo, ci accompagna altrove. E' l'evasione domestica. Vai lontano ma guardi i campi e ti senti a casa; poi attraversa la ciclabile e alla fine c'è la centrale elettrica che purtroppo hanno ristrutturato e funziona eliminando quel suo fascino decadente.
In Villa Alluvioni citate Hindenburg: intendete lo statista tedesco della prima guerra mondiale o il dirigibile? E comunque avete rafforzato gli argini dell'anima?
E' il dirigibile. Volevamo dare una immagine dell'aerostato che da simbolo di progresso diventa un disastro. Negli anno Novanta accadevano cose incredibile e invece oggi vediamo tutto un disastro. Più che rafforzare argini qui ci sono gli anticorpi.
In Cinema Tognazzi c'è chi veniva chiamato sognatore: voi siete dei dreamer? Temete la fine del film perché finisce il sogno oppure quel buio fa davvero sentire sicuri?
E' una delle canzoni più autobiografiche. Il titolo si riferisce al cinema chiuso di Cremona il buio è quello alla fine del film, quando ti attardi in sala. E' una canzone sinistra in alcune cose: il messaggio che alla fine del film non lascio la sala.
Siete dei sognatori?
Nel pezzo non lo siamo più per come vanno le cose ma un po' sì. Negli anni Sessanta e Settanta la musica era davvero un veicolo sociale, oggi un inno pacifista come quello che cantavano i Creedence Clearwater Revival sarebbe più difficile da trasmettere, oggi la musica è più intrattenimento che vessillo. Noi vogliamo mettere la scintilla. Gioventù Amore e Rabbia un nostro inno generazionale: noi non guidiamo un movimento, cerchiamo di portare a pensare attraverso i ragionamenti
Che accadrà nelle prossime settimane della vostra vita artistica?
Il 20 dicembre faremo un concerto a Milano e poi a gennaio il 14 a Ravenna e il 17 a Milano di nuovo. Le altre date sono in via di definizione.