Carmen Consoli, presenta album Amuri Luci pensando a Gaza: "Partirei subito"
MusicaIl progetto, che lega musica e impegno civile è il primo capitolo di una trilogia: tre visioni autonome un unico progetto
La cantantessa sorride amaro. È a Milano, in Triennale, per parlare di Amuri Luci, il primo disco di una trilogia che indagherà le tre anime che hanno definito la sua carriera e la sua scrittura: ovvero le radici mediterranee e linguistiche, la matrice rock e il cantautorato. Ma il pensiero di Carmen Consoli è alla Flotilla e si schiera al fianco della sua amica e collega Elisa (GUARDA IL VIDEO):
"Oggi prenderei la mia imbarcazione e raggiungerei Gaza. Sono stata sveglia fino alle 4 stanotte a seguire le manifestazioni, e mio figlio di 12 anni ha partecipato".
Poi la stoccata alla premier Giorgia Meloni e alla sua maggioranza:
"Sono conscia che ci metterei tempo, perché non ho i mezzi del governo, ma lo farei essendo convinta di avere il diritto di navigare in acque internazionali".
Ma bisogna anche, anzi soprattutto, parlare di musica. Ricordo che molti anni fa, presentando un suo precedente progetto, Carmen Consoli disse:
"Se avessi il tempo, mi piacerebbe trascorrere un mese in ogni regione d’Italia per conoscere un po’ di quei dialetti".
E parte dalla sua Trinacria, da quel siciliano che si è arricchito da secoli di contaminazioni, di stratificazioni.
► Carmen, partiamo dalla scelta linguistica.
Come sai, da tanti anni sono un’estimatrice dei dialetti, non solo di quello siciliano che mi appartiene. Per farti un esempio, mia madre è veneta e io amo Carlo Goldoni e le sue opere.
L’Italia, peraltro, accoglie un’infinita fioritura di idiomi.
È una ricchezza che talvolta ci sfugge. Per me, confrontarmi con i dialetti significa cercare la verità. La ricerca è per me fonte infinita di soddisfazione.
► Cosa non ti piace?
Farei fatica a scrivere di temi in cui non credo. E non lo faccio.
Ci aggiungo che oggi, quando ci si riferisce al greco e al latino, si parla di lingue morte: invece sono lingue vivissime!
► Come hai lavorato ad Amuri Luci?
Tutto in presa diretta, arrangiato e suonato a casa mia. L’approccio è quello live.
La ricerca è stata anche negli strumenti: mi è capitato di suonare una chitarra di metà Ottocento che era appartenuta a una mia antenata. È stato come ritrovare le mie radici.
E, a proposito di famiglia, mentre noi lavoravamo al disco, mia madre cucinava per tutti.
► Nei tuoi testi si parla di migrazioni, di guerre: hai attualizzato il siciliano?
In realtà è un tema che anche per me resta senza risposta: ricorrere al siciliano mi porta a essere più polemica e meno introspettiva.
► Perché hai scelto come titolo Amuri Luci?
L’amore, quello autentico e vero, è un valore sul quale i governi non investono, in quanto non genera profitto.
La luce è conoscenza e bellezza, e l’epilogo è lo stesso di amuri: non è una priorità a livello politico.
► Racconta le collaborazioni.
Mahmood è presente nel brano La Terra di Hamdis, un dialogo con il poeta arabo-siculo Ibn Hamdis che diventa riflessione sulle migrazioni e sul dolore universale degli esiliati.
Jovanotti è in Parru cu tia, un inno alla ribellione e all’azione, dove la parola si fa gesto politico e poetico.
Leonardo Sgroi, giovane tenore del Maggio Musicale Fiorentino, in Qual sete voi? dialoga con me sulla scia di Nina da Messina, la prima donna a scrivere in volgare.
► Tu ci affascini col greco, col latino e anche con l’arabo, e noi quotidianamente cerchiamo risposte alla vita con l’intelligenza artificiale: cosa ne pensi?
In tanti ambiti può essere determinante, penso a quello sanitario.
Ma se l’essere umano è sostituito nel proprio sentire, allora si annichiliscono i sensi.
► Temi che canzoni come le tue possano essere sconfitte dall’AI?
Premesso che un album come Amuri Luci non so se venderà, e neanche se le radio passeranno i pezzi, posso aggiungere che mio figlio Carlo si è rifiutato di cantare una canzone fatta con l’intelligenza artificiale.
Ma che saremmo arrivati a questo punto c’era da aspettarselo, i segnali c’erano.
► Che intendi?
Ricordo che negli anni Novanta si imputava a certa musica di essere scritta a tavolino.
Evidentemente c’era già un algoritmo che veniva utilizzato dalla categoria dei mestieranti.
Magari sono meglio le canzoni scritte dall’AI di quelle scritte a tavolino.
► Dici?
Conta poco, per chi come me si è sempre ribellata a entrambe le modalità.
► Infine, cosa ti senti di dire oggi come cittadina italiana?
Sono parte di questa comunità e voglio essere utile alla comunità.
Vivere e dedicarmi al mio lavoro con il massimo impegno è un atto politico.