Ozzy Osbourne è morto. Il Principe delle Tenebre ha riportato il metal a casa, per sempre
MusicaOzzy Osbourne è morto a 76 anni, pochi giorni dopo il suo ultimo concerto a Birmingham, la città in cui tutto era cominciato. Con lui se ne va l’anima più profonda e disturbante dell’heavy metal: un artista che ha trasformato gli eccessi in arte, la follia in linguaggio, il dolore in voce. Il suo nome resterà per sempre inciso nel ferro del rock.
Ozzy Osbourne è morto il 22 luglio 2025. Aveva 76 anni. Con lui se ne va un pezzo di eternità, l’ultima voce primordiale dell’heavy metal, il profeta oscuro che aveva trasformato l’abisso in arte e la follia in leggenda. Per decenni aveva sfidato tutto: la morte, la malattia, la logica stessa della sopravvivenza. Ogni volta era riemerso – malconcio, sbilenco, vivo – come un dio sgangherato del rock. Ma stavolta no, stavolta il sipario è calato sul serio.
E forse era già tutto scritto, da settimane. Il 5 luglio, a Villa Park, nella sua Birmingham, Ozzy aveva messo il punto. L’ultimo concerto, l’ultima invocazione. Seduto su un trono nero, stanco ma fiero, aveva detto addio davanti a 40.000 persone. Non era solo un saluto: era un ritorno alle origini, la fine perfetta di un viaggio cominciato mezzo secolo fa tra le strade grigie e operaie dove erano nati i Black Sabbath. E dove, oggi, muore un mito.
L’uomo che ha inventato l’inferno in musica
Nel 1968, insieme a Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward, Ozzy Osbourne ha fondato i Black Sabbath. Nessuno, fino ad allora, aveva osato suonare la paura. Lui sì. Con brani come Black Sabbath, Iron Man, Paranoid e War Pigs, ha creato un suono che non esisteva: oscuro, distorto, teatrale, figlio delle acciaierie, dei brutti sogni e della rabbia repressa. La voce di Ozzy non era raffinata, era disturbante. Sgraziata, rauca, magnetica. Era la voce dei demoni, dei disadattati, degli emarginati. E per questo vera. Ha aperto la strada a tutto: metal, doom, grunge, nu metal, ha influenzato centinaia di artisti. E quando nel 1979 fu cacciato dai Sabbath, si reinventò con una carriera solista che superò ogni previsione e quando tutti pensavano che lui potesse essere mortale. Crazy Train, Mr. Crowley, No More Tears – inni da stadio e confessioni allucinanti. Accanto a lui, talenti assoluti come Randy Rhoads e Zakk Wylde. Accanto a loro, sempre, il delirio.
Il pipistrello, la moglie, il reality
Ozzy non è stato solo musica, è stato simbolo, folklore. Autodistruzione pura. Nel 1982 morse la testa a un pipistrello durante un concerto. Credeva fosse di plastica. Finì in ospedale, ma anche nella storia. Nel 1989 fu arrestato per aver tentato – sotto l’effetto di alcol e tranquillanti – di uccidere sua moglie Sharon. Lei non solo lo perdonò, ma gli salvò la vita. Divenne la sua manager, la sua colonna, la sua unica bussola in mezzo al caos. Nel 2002 spalancò la porta di casa al pubblico con The Osbournes, il primo reality rock della storia. Il mondo scoprì l’altro Ozzy: smarrito, tenero, vero. Divenne meme e icona pop. Ma dietro le risate, c’era sempre il fantasma della morte. E lui, come un clown tragico o un sognatore equilibrista squilibrato, continuava a sfidarlo quel fato, quel confine lo superava ancora e ancora.
Il peso della sopravvivenza
Negli ultimi anni Ozzy era diventato un sopravvissuto a tempo pieno. Una diagnosi di Parkinson annunciata nel 2020, cadute rovinose, operazioni alla colonna vertebrale, dolore cronico. Ogni tanto appariva in pubblico: tremante, sorretto, ma mai spento. Continuava a promettere che sarebbe tornato sul palco. E lo ha fatto davvero. A modo suo. Il 5 luglio 2025, il suo ultimo concerto è stato un evento epocale: Back to the Beginning, con ospiti come Metallica, Guns N’ Roses, Slayer, Pantera. Una celebrazione del metal, ma fors'anche un funerale in anticipo. Ha raccolto milioni per beneficenza. E sul palco, sua figlia Kelly ha ricevuto la proposta di matrimonio. Ozzy ha sorriso. Ha alzato la mano. E poi si è fatto portare via. Un re esausto. Eppure, ancora re.
L’eredità: quando il dolore diventa culto
Ozzy Osbourne non ha lasciato solo canzoni. Ha lasciato un modo di stare al mondo. Ha insegnato che si può essere imperfetti, devastati, fuori controllo – eppure capaci di cambiare tutto come solo l'amore vero sa fare. Con rabbia, con sbavature, con errori oltre misura eppure quasi mai fatali. La sua voce era la voce del buio che, talvolta, cerca redenzione o almeno ristoro. Ozzy non ha mai fatto finta di essere migliore. Era l’eroe tragico per eccellenza: grottesco, ridicolo, potentissimo. Ha trasformato la sua rovina in arte. Ha preso la morte per il bavero e ci ha riso in faccia. Ha dato rifugio a chi non si sentiva rappresentato da nessuno. E lo ha fatto con un microfono, una croce al collo e gli occhi spiritati di chi vede troppo.
Ozzy è morto, ma il suo suono resta. Resta nei riff distorti, nelle urla disperate, nei palchi sudati, nei ragazzi che imbracciano una chitarra per dire “sono ancora vivo”, in quel ricordo che mai troverà approdo. Quella nostalgia inguaribile che solo l'amore vero infligge e forse anche dona ai pochi in grado di osare sentire. Il Principe delle Tenebre ha spento le luci, è innegabile. Ma ha lasciato la porta socchiusa. E da lì continuerà a entrare, notte dopo notte, la sua voce: roca, stanca, immortale, come un tatuaggio inciso su un polso, un'iniziale indimenticata che s'insinua tra carne e vene. Ozzy Osbourne non è stato solo un cantante. In fondo, a ben pensarci, è stato il suono dell'amore mai pago, irrefrenabile, immarcescibile. Quel suono con cui il buio, nel suo cuore di tenebra, ha trovato per l'unica volta, il senso forse meno perfetto e desiderabile della convenzione. Eppure, in fondo, il senso più genuino e reale di una storia della musica che resterà indimenticabile.