Bruce Springsteen a San Siro: "Alzatevi e lasciate che la libertà risuoni"
MusicaSeconda data milanese per The Boss. Un viaggio lungo tre ore tra romanticismo e politica, tra condivisione e sogni. Ancora attacchi verbali a Donald Trump e al suo Governo. LA RECENSIONE
Partenza palindroma, ore 20.02, per la seconda del Boss a San Siro che è anche la data conclusiva del suo tour. Saluta Milano col suo look corporate, camicia bianca con cravatta nera a pois bianchi e gilet altrettanto nero. Fa caldo ma a San Siro fa caldo di più col rock politico e vitale di Bruce Springsteen. La differenza è che nel catino della "Scala del calcio" c'è una sola regola e viene ribadita dalle prime note: è un atto di coraggio My Love Will Not Let You Down che ha una durata epica, con tutti i musicisti che come in un puzzle compongono una ragnatela sonora che porta il popolo springsteniano in una dimensione di realismo magico. Che in un attimo diventa realismo tragico. "Portiamo libertà, speranza e rock, l'America che amo, che canto, che è stata speranza e libertà per 250 anni è ora incompetente e infida, chiedo a voi di alzarvi e lasciare che la libertà risuoni". E' un liturgia quella del Boss, la scaletta è un pretesto seducente. Il volto di Bruce ha le rughe di una Paese nel quale non si riconosce e quando socchiude gli occhi in Death to my Hometown è John Wayne che marcia verso una nuova alba: "Gente preparatevi, arriva un treno non serve alcun biglietto, basta salire a bordo". Dei tanti concerti di Bruce cui ho partecipato questo è il primo in cui mi è apparso visibilmente arrabbiato. Lui che arriva dal mondo dei dreamer lennoniani invoca un "produttore di pioggia" per spegnere il fuoco della follia. Sui videwall si legge "Quando le condizioni di una Paese sono mature per un demagogo (...) questo è il leader americano (...) prima eravamo preoccupati ora siamo spaventati". Questa è Rainmaker. E sul finale l'armonica introduce The Promise Land con un fantasmagorico assolo di Little Steven. Intanto il sole scende dietro le tribune e il Boss decide di sublimarlo scendendo dal palco e andando a chiudere il brano col suo pubblico alle transenne con la sua armonica dal suono d'angelo. Si lascia abbracciare, fa cantare il pubblico e quando vede il cartello "You may hugh the bride" sorride e abbraccia la sposa. Poi urla "Grazie Milano, San Siro!" e torna sul palco invitando la folla a muovere le braccia, è la grande onda finale di Point Break che commuove un popolo.
SPRINGSTEEN CANTA UNA PREGHIERA PER IL SUO PAESE
Ritmo più dolce con Hungry Heart. Nel pubblico c'è chi si abbraccia, chi si commuove, chi si bacia all'ombra di un cuore affamato d'amore e libertà. Che tracima in The River, altro brano epico del Boss, che canta con la devozione di un reverendo delle praterie in un finale salmodiante. Corrucciato, concentrato, graffiante, Youngstown è rabbiosa così come Murder Incorporated che ha una componente strumentale di fascinazione siderale. Poi, come per magia, la musica si ferma e un cono di luce illumina solo Bruce: "Questa preghiera è per il mio paese" è va con l'incipit struggente di Long Walk Alone: "La bandiera che sventola sopra il tribunale ha scritto in pietra chi siamo, cosa faremo e cosa non faremo mai...sarà una lunga strada per tornare a casa". Aspettando House of a Thousand Guitars ricorda che "è l'unione di persone intorno ai valori che crea la democrazia" e poi sussurra, mentre i led dei cellulari fanno di San Siro una via Lattea, che "il clown criminale è sul trono, ruba ciò che non potrebbe mai possedere...ma illumineremo la casa delle mille chitarre". Ma quella luce non c'è adesso in America, è un lamento My City Ruins, che Bruce Springsteen chiude con parole dure ma oneste: "Ho sempre creduto di essere un buon ambasciatore e ho passato la vita a cantare il mio Paese anche nei fallimenti del vivere civile, ma quello che accade oggi nella democrazia dei nostri Paesi non può essere ignorato, perseguitiamo chi ha libertà di parola e dà voce al dissenso, i ricchi hanno soddisfazione ad abbandonare i bambini alla fame e alla morte, si gode in modo sadico del dolore di onesti lavoratori, tutto è contro i valori che ci hanno portato a una società più giusta, stanno definanziando le università che non si piegano alle loro ideologie...tutto questo sta accadendo adesso, bisogna proteggere la popolazione americana da un presidente non adeguato e da un Governo disonesto. L'America è incredibile seppur con i suoi difetti, sopravviveremo a questo mondo; cito il grande scrittore James Baldwin: in questo Paese non c'è tutto il senso di umanità che vorremmo esistesse ma ce ne è abbastanza".
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Si (ri)accende la festa con Because The Night, brano di Patti Smith che Bruce ha adottato. Si torna a casa Springsteen, citofonare Wrecking Ball e The Rising. Poi Badlands è la visita all'attico, da lì si vede tutto l'amore vicendevole che c'è tra il Boss e la sua gente. E per coerenza chiede aiuto al pubblico (e torna in transenna) per Thunder Road. Abbiamo scollinato le due ore e da poco le tenebre ci hanno ricordato che il solstizio d'estate ci sta accorciando le giornate. Ma esiste la luce artificiale che fa risplendere il catino di San Siro dopo i finti saluti perché ormai è stantio fare la pausa encore e inoltre c'è una forte urgenza di cantare, orgogliosamente e nonostante il periodo, Born in the U.S.A., una riconcorsa che mantiene il verbo ma allunga il passo, siamo a Born to Run e i colori dell'Ucraina, che l'amministrazione Trump con una scelta impopolare sta accompagnando nel baratro, trasformano le tribune in un avamposto ucraino. Bobby Jean è sfarfallio di braccia, è polvere di stelle, è melanconia, è una stand by me rock. Il finale si avvicina, siamo a ridosso delle fatidiche tre ore, e tutti abbiamo voglia di sedurre l'oscurità e c'è un solo modo per farlo e si chiama Dancing in the Dark. C'è ancora il tempo per Tenth Avenue Freeze-Out e poi il Boss ci accompagna a casa con alcune cover e le note di This Land is Your Land di Woody "the myth" Guthrie. Finisce qui The Land of Hope and Dreams Tour di Bruce Springsteen. Portiamo a casa sogni e speranza? Sì! Perché siamo più consapevoli che nel cuore di ognuno di noi c'è una Promised Land.