Shablo presenta l'album Manifesto: "Questo progetto per me è un atto artistico"
Musica
L'artista di origini argentine spiega che bisogna sempre riequilibrare e armonizzare gli opposti, che la musica va percepita attraverso i sensi. È nato un album che segnerà un'epoca e sarà un punto di riferimento per le generazioni che verranno. L'INTERVISTA
Manifesto è un disco che si prende il suo tempo, è un disco senza compromessi che non solo suona davvero ma è anche nuovo. Shablo torna con un progetto che è destinato a diventare un punto di riferimento per le nuove generazioni. Un brano dalla forte matrice Rap quale è Karma Loop con Ele A, oltre a Joshua e Tormento, e Welcome to the Jungle con Ernia, Neffa e Joshua, sono rivoluzionari. Ma quello che per me è il capolavoro si intitola Che Storia Sei?, una poesia composta, oltreché da Shablo e dal suo costante compagno di viaggio Joshua, da Nayt e una straordinaria Joan Thiele. Manifesto è un album che non sente il peso dei numeri, anche se ultimamente se ne parla molto. Ma se sono queste le dinamiche della discografia qui si punta a portare emozioni. Un altro elemento che valorizza l'eterogeneità del disco è che oggi esiste quella fascia di età tra i 30 e i 60 anni che non si sente rappresentata ed è stufa dell'omologazione; ovvio il mainstream ci sarà sempre, solo che una volta era ricerca musicale e sperimentazione mentre ora si ha paura di osare. Verbo che non difetta nella storia di Shablo. Le prime date annunciate dello Street Jazz Tour sono il 3 luglio a Perugia, il 12 luglio ad Alba, il 2 agosto a Locorotondo, l'8 agosto a Roma e il 12 novembre a Milano al Teatro Arcimboldi.
Pablo, che storia ha Manifesto?
Ti dico che è coraggioso solo per il fatto di avere fatto qualcosa di libero, non guidato dall'ansia del risultato. Questo è divertirsi, stare in studio e fare arte poi certo siamo ambiziosi, è vero, ma arrivare alla gente deve essere un risultato che mai va dato per scontato. Sarei già felice che Manifesto venisse ascoltato con attenzione.
C'è un bel respiro che viene dal passato?
Per la mia generazione potrebbe suonare già un po' vintage, ma avevo voglia di tornare alle origini e raccontarle in modo nuovo. Già Beethoven si ispirava ai suoi predecessori, la musica si ispira sempre ai precedenti.
Come definisci questo tuo Manifesto?
È, appunto, un manifesto, un manifestare, un esercizio di stile ma concreto. Oggi da produttore trovo omologazione di suoni e la mia provocazione è tornare indietro, bisogna sempre riequilibrare e armonizzare gli opposti. E questo lo dico senza fare il maestro, la musica va percepita attraverso i sensi. Manifesto è un disco vario con tanti sotto generi della black music, ci sono jazz, soul, pezzi acustici, tanti strumenti suonati ma anche brani senza alcuna batteria elettronica.
Che mi dici dei featuring che hai scelto?
Joshua si è messo in gioco per entrare nel mio mondo. C'è Tormento che è un esempio e un fratello maggiore, è il mio amuleto, è un maestro che ha ancora tanto da dire ma nella musica contemporanea non ha il giusto peso. C'è Mimì che è molto giovane e ha una voce interessantissima, c'è Guè che è un fratello. Certo ci sono pure grandi assenti ma perché è un disco strategico, sono stato felice di coinvolgere chi ha capito il viaggio, gli altri saliranno più avanti perché questo è l'inizio di un percorso. I brani sono 17 che è un numero importante per me, a partire dal giorno in cui sono nato. Sono aperto a tutti, ho collaborato con tutti ma ora erano loro che dovevano capire il mio viaggio e non io piegarmi alla loro estetica musicale. Questa è musica ma con concept importante che devo difendere. Avessi voluto fare classifica avrei saputo chi chiamare e che basi scegliere anche se oggi l'andamento del mercato è strano. Il disco nasce a livello di composizione, scrittura e produzione in tre sessioni a San Gimignano: lì stacco il telefono e faccio solo quello per dieci giorni, così è nato tutto il disco. Solo Joshua era presente sempre insieme a Luca Faraone, poi abbiamo pensato a chi potesse essere abbinato ogni tipo di pezzo ma avevo le idee chiare. Ad esempio il pezzo con Nayt era per lui.
Puoi Toccarmi è solo in digitale ed è proprio il numero 17!
È una nuova versione del brano di Guè del 2014, c'è la squadra che ha fatto Sanremo e dura 4 minuti e 15 secondi. Nel disco ci sono tanti momenti dedicati agli asoli.
Meglio che mai è il pezzo che hai condiviso con Mimì.
Composto e prodotto in maniera elettronica e poi risuonato tutto in studio. Eravamo tutti in una live room, lei è stata essenziale e rappresenta, per quella che è la mia visione, il nuovo Pop. Negli Stati Uniti sarebbe una hit, in Italia forse le radio non sono ancora pronte per questa tipologia di suono.
Che Storia Sei? è uno storytelling, è una perla vera.
È un pezzo bello per la scrittura, ci sono Nayt, che ho conosciuto negli ultimi tempi, e Joan Thiele che invece conosco da anni ma non c'era mai stata l'occasione di collaborare. È un brano quasi unplugged, ci sono flauti molto belli curati da Michele Lazzarini che purtroppo è mancato lo scorso maggio e a cui ho dedicato l'album.
Immagina ti ha fatto ritrovare Inoki.
È stato il primo artista con cui ho collaborato a fine anni Novanta, poi abbiamo preso strade diverse ma la musica ricongiunge. Immagina è un brano che ha vent'anni, ci avevamo lavorato a Bologna quando vivevamo lì, è un pezzo tutt'oggi attuale, politico. Joshua ci ha messo il suo contributo. Tra Inoki e me c'è stato sempre un rapporto conflittuale ma entrambi sappiamo il valore della nostra collaborazione, abbiamo una storia che ci unisce tanto, per me è lui è stato fondamentale per il mio percorso. Forse era necessario staccarsi in quel periodo, ora invece è giunto il momento di ritrovarsi. L'ho sempre ammirato come artista e non c'è stata costrizione. Ci siamo scritti, la pace non si fa se non la desideri.
Oggi è più definito il ruolo del un produttore?
Credo sia un po' più chiaro rispetto al passato e poi oggi i producer di album non si contano più. I produttori non solo fanno musica ma seguono la linea artistica, per me è come il regista di un film. Spesso la persona comune non sa cosa faccia perché lavora dietro le quinte ma in questa epoca il suo ruolo è comunque più chiaro.
Sai che questo potrebbe essere un progetto elitario?
Non va sottovalutata l'ipotesi, però ti dico che mi piace parlare anche a pochi purché possano comprendere. Quello che è mancato alla generazione precedente alla mia è stato l'educazione del pubblico. Ora i ragazzi giovani posso scoprire qualcosa che arriva dal passato. Quello che arriva ai vertici delle classifiche è la punta di un iceberg. Poi se sono di ispirazione sono felice ma non è una ansia.
Infine che mi dici dello Street Jazz Tour?
Completa molto il progetto. Per il lato live abbiamo scelto una formazione con Joshua protagonista, poi ci saranno Tormento, Mimì e i musicisti. Così abbiamo creato metà del repertorio, l'altra saranno cover rivisitate e rifatte da me.