Giuse The Lizia: "Non riusciamo ad avere legami stabili perché tutto intorno a noi crolla"

Musica
Federica De Lillis

Federica De Lillis

Tra un tour estivo nei principali festival italiani, la tesi di laurea alle porte e il successo virale del singolo 404 (una canzone de I Cani), l’artista riflette sul senso dell’amore nell’era di Internet, sull’instabilità emotiva e sociale che segna la Gen Z, e sulla nostalgia di una casa che diventa rifugio identitario

L’ansia prima di salire sul palco si somma a quella per lo scudetto del Napoli. Per Giuse, artista classe 2003 e da sempre tifoso della squadra partenopea, due date importanti si sono trovate a coincidere. In entrambi i casi, è stato un successo. “Vengo da Bagheria, in provincia di Palermo, e ogni tanto qualcuno mi guarda storto quando dico di essere tifoso del Napoli. Sono comunque affezionato alla squadra della mia terra, se il Palermo tornasse in serie A e dovessi essere giù in Sicilia, magari l’abbonamento allo stadio me lo faccio” dice ridendo. 

Giuse The Lizia, nome d’arte di Giuseppe Puleo, vive da anni a Bologna dove si è trasferito per studiare Giurisprudenza. Ha iniziato a scrivere le prime canzoni a 17 anni. Nel 2021 pubblica “Vietnam”, il singolo d'esordio prodotto da Mr Monkey e nel 2022 arriva finalista a Sanremo giovani con il brano “Sincera”. Dopo diversi EP e singoli di successo, pubblica due album, CRUSH nel 2023 e INTERNET l’anno successivo. Il suo ultimo singolo, 404 (una canzone de I Cani), è diventato in poco tempo la colonna sonora di un trend Tik Tok dedicato a relazioni finite (male) e via Whatsapp. 

Nei suoi testi parla spesso d’amore, racconta se stesso e le esperienze che lo hanno segnato, svelando le ansie e la disillusione di un’intera generazione. 

Lo abbiamo incontrato a Milano, nel backstage del MI AMI, a pochi minuti dal primo live che ha inaugurato l’Internet Explorer Tour, che questa estate lo porterà nei principali festival musicali italiani. 

MI AMI, fan di Giuse The Lizia con maglia del Napoli
MI AMI festival, una fan di Giuse The Lizia al concerto con la maglietta del Napoli

Prima data dell’Internet Explorer Tour al MI AMI festival. In un’intervista hai detto che ti piace molto la dimensione del club, mentre in questo tour ti vedremo nei principali festival italiani. Cosa hanno di diverso e cosa porterai sul palco?

Ho già fatto dei tour estivi molto incentrati sul festival perché d’estate si suona principalmente all’aperto. L’energia che ti arriva è simile, anche se la dimensione del club ha in più la geografia: un luogo più raccolto amplifica certe emozioni e sentimenti. Nel club poi il pubblico viene proprio per te. 

Nel festival, la cosa bella è che puoi convincere le persone. Magari ci sarà tra il pubblico gente che non mi ascolta o per cui non sono la priorità di ascolto oggi, ma che potrebbe dire “Ci sta”. Sarà un tour divertente, ogni volta che salgo sul palco è una parentesi di ipnosi mia e del pubblico. Sarà fico. 

 

Come si conciliano tour e sessione estiva?

Se me lo avessi chiesto lo scorso anno ti avrei detto che il tour estivo mi uccideva la sessione perché avevo esami pesanti, ma adesso me li sono levati. Mi manca un esame, lunedì, però non è difficile, Diritto dei Trasporti: una cosa chill. Devo ripetere domenica e poi mi manca solo la tesi, in diritto dell’Unione europea. Il tema sarà protocollo Italia-Albania. 

 

Dimentichiamo per un attimo la sessione e parliamo del tuo nuovo singolo, 404 (una canzone de I Cani). Racconta di Anna e Marco che si conoscono, si frequentano e nel giro di poco si lasciano con un messaggio sull’IPhone. La canzone è andata virale su Tik Tok e in molti l’hanno postata allegando screen di chat delle loro storie d’amore finite male. Che hai pensato quando le hai lette?

Non te lo aspetti mai che una canzone vada virale, anche se un po’ lo cerchi perché ormai Tik Tok è un canale su cui promuoverti è importante, può cambiare un po’ tutto. 

Ho ricevuto gli screen di chat tra altre persone ed è stato parecchio strano. Erano conversazioni molto private e soprattutto emergevano patologie generazionali di inettitudine, incomunicabilità, cose che ci caratterizzano come Gen Z. Mi colpivano sempre le stesse cose: si tende così tanto a evitare di assumersi responsabilità che si preferisce raccontare delle palesi bugie. Siamo una generazione con un problema di sincerità. 

 

Senti di rappresentare la generazione Z come I Cani hanno fatto con la precedente? Niccolò Contessa nel raccontare la generazione degli anni Novanta è stato formidabile. Io non ho la presunzione di dirlo perché è una cosa che devono sentire gli altri. Io scrivo in modo molto spontaneo, uso termini della Gen Z ma perché è proprio il mio modo di parlare e la sincerità nella musica è un po’ la mia cifra stilistica. 

 

Canti amori vissuti intensamente che poi si rivelano effimeri tanto da finire con un banale messaggio su Whatsapp, come in Give me love. È una dinamica che torna spesso. È questo l’amore all’epoca di Internet?

Internet lo associamo a delle criticità con cui viviamo i rapporti con le persone, spesso caratterizzati da superficialità e iper-verlocità, ma la cosa da indagare non è Internet in sé ma l’interiorità di una generazione che sembra aver perso punti di riferimento. 

 

In Scs dici “Sei molto più bella dal vivo che dalla tua foto profilo”, in effetti, capita spesso di conoscersi prima online e poi dal vivo. Che ne pensi delle dating app?

Pensiero neutro, è un modo come un altro di beccare persone. Non vedo grande differenza tra un approccio che inizia su Instagram e un match su Tinder. Sicuramente è un filtro della realtà ma non penso sia molto diverso dagli anni Dieci del Duemila, quando hanno iniziato a diffondersi piattaforme attraverso cui rielaborare digitalmente la tua personalità.  

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In Radical dici di aver paura di rimanere solo. Il timore della solitudine appare ricorrente nella Gen Z ma allora perché non riusciamo a intessere legami stabili?

Credo che non riusciamo a farlo sempre perché tutto attorno a noi non è saldo, non è stabile da un punto di vista lavorativo, da un punto di vista di prospettive di vita, di realizzarti come persona anche al di là del lavoro. Ti chiedi sempre “Cosa sarò io per questa società?”.  L’instabilità poi si ripercuote su tutto quello che viviamo, anche sulle relazioni. 

 

È per questo che molti ragazzi e ragazze fanno fatica a trovare il proprio percorso?

In Direzione dico “Sto ancora cercando la mia direzione ed è bello per questo, perché ogni giorno è diverso”. È una cosa che ripeto a me stesso perché ci vorrei credere, vorrei vivermela così davvero. È bello magari non sapere esattamente dove stai andando ma anche io soffro molto la mia instabilità da quel punto di vista. 

 

Le generazioni precedenti hanno lasciato un modello di società in cui non ci riconosciamo più?

Penso di sì. Credo che la nostra generazione abbia vissuto i nodi che vengono al pettine, stiamo vivendo un momento in cui tutto crolla rispetto alle generazioni precedenti che magari avevano capito l’inganno ma avevano ancora speranze che qualcosa potesse migliorare, noi invece arriviamo in una fase di fallimento da qualunque punto di vista. 

 

In un mondo così fragile e incerto, dove trovi i tuoi punti di riferimento?

Per me la mia famiglia e tutto quello che associo alla Sicilia. Il mio punto di riferimento è la mia terra e le persone che ci vivono, che ritrovo ogni volta che torno lì. 

 

“Vengo dal nulla, a messa la domenica” canti in Piccoli piccoli, descrivendo con nostalgia una dimensione familiare, tranquilla e scandita dalla ritualità, che poi hai lasciato per studiare a Bologna. Siamo una generazione di fuorisede che vogliono tornare a casa?

Faccio il paragone con mio fratello che è del 1990. Lui anche ha vissuto come fuorisede per molti anni e, per quanto abbia avuto nostalgia, non ha mai avuto il richiamo che io vedo invece in tutti i miei coetanei, amici che sono fuorisede come me. Abbiamo un sentimento di appartenenza forte. Non che non lo avessero prima di noi, ma quella nostalgia era magari attenuata dalla fiducia verso il futuro. Noi la sentiamo di più, vogliamo tornare a casa perché la vediamo come l’unico posto sicuro, anche nella sua routine, nella sua ciclicità e immodificabilità, forse è proprio quello che ci dà la sicurezza che non troviamo altrove. 



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