La musica araba arriva per la prima volta al MI AMI con Tära: "Le nostre voci contano"

Musica
Federica De Lillis

Federica De Lillis

Credits: @sculptor.foundation; @why_u_trippin

L’artista di origini palestinesi si è esibita in uno dei più importanti festival musicali milanesi portando i suoi brani bilingue, in italiano e arabo: “Da bambina avrei sempre voluto sentirmi rappresentata, non potevo immaginare che sarei stata tra le prime a portare qui la voce delle seconde generazioni”. L'INTERVISTA

L’emozione si condensa in lacrime, gli occhi chiusi e la keffiyeh, copricapo tipico palestinese, stretta al petto: Tära, nome d’arte della cantante italo-palestinese Tamara Al Zool, lancia così sul palco Utravel del MI AMI il brano inedito Invisibile. Lo dedica alla Palestina e a tutti i ragazzi e alle ragazze che in Italia hanno visto una parte di sé non riconosciuta o ignorata. Danza a piedi nudi tra i fan incuriositi dalle sonorità di un nuovo genere che lei stessa ha ribattezzato Arab’n B. L’artista, classe 2003, è nata in Italia da genitori palestinesi. Vive in provincia di Frosinone e ha iniziato a scrivere le prime canzoni a 16 anni. Si è fatta notare soprattutto dopo la partecipazione alle selezioni di X Factor 2024. Porta con orgoglio la cultura araba nei suoi testi, nelle sonorità e anche nella scelta di capi e accessori. Dopo l’esibizione ci ha raccontato come la musica sia una cura per ricomporre una profonda frattura interiore e un mezzo per mostrare la ricchezza che viene dall’incontro tra culture solo in apparenza lontane. Tra i progetti futuri, rivela anche il desiderio di una collaborazione con MACE e Gemitaiz.  

Tara si esibisce sull'Utravel stage del MI AMI

Come ti senti ad aver portato per la prima volta musica araba al MI AMI?

È stato bellissimo e surreale perché da piccola avrei sempre desiderato vedermi rappresentata in questo modo e non avrei mai pensato di essere io la prima a farlo. Il messaggio che ho voluto mandare dal palco è che le nostre voci contano sempre, insieme abbiamo un grande potere. Canto in arabo e in italiano perché ho scelto di mostrare quella parte di me che è sempre stata nascosta per paura di essere giudicata. È la mia identità e voglio rappresentare anche tutti quei ragazzi e quei bambini italiani con genitori stranieri o che sentono l'Italia come il loro Paese pur non essendoci nati, e che forse, ancora oggi, si sentono come mi sono sentita io. Penso sia importante ed è una grande responsabilità. Spesso mi scrivono persone felici di vedere la loro cultura rappresentata in Italia, è bello sentirsi finalmente visti. 

 

In un reel sul tuo profilo Instagram hai detto: “Mi sono chiesta se ci sarebbe mai stato spazio per le nostre voci”. Adesso sembra che qualcosa stia cambiando. Perché proprio in questo momento, secondo te? 

Siamo arrivati alla goccia che fa traboccare il vaso. Questa acqua doveva uscire. Credo che la grande differenza rispetto al passato sia che ci siamo uniti, si è creata una rete. Non abbiamo più paura di mostrarci perché non ci sentiamo più soli. So che non sono solo io a sentirmi non rappresentata, divisa tra due culture, sono consapevole che ci sono altre persone che si sentono come me e che hanno bisogno di una voce. 

 

I social hanno contribuito a questo processo?

Credo che abbiano aiutato molto. Io li uso spesso in maniera provocatoria verso il pubblico, a volte arrivano in risposta commenti di odio e, anche se alle volte vorrei rispondere male, non mi faccio trascinare. La provocazione da parte di un artista è necessaria perché ho l’impressione che siamo troppo statici e omologati, come se niente ci smuovesse. Serve per farci svegliare. Spero che le persone in Italia smettano di vedere tutta questa diversità come una minaccia alla cultura. Voglio mostrare come questa si possa evolvere e arricchire dal contatto con altre radici.

 

Pensi che la musica in due lingue, italiano e arabo, sia riuscita a ricomporre quella spaccatura che ti faceva sentire di non appartenere completamente a nessuna delle tue due identità?

Questo progetto musicale sta curando anche me lungo il percorso. Quando la ricucitura sarà completa, forse non esisterà neanche più questo progetto, non ce ne sarà più bisogno, ci sarà una evoluzione completa. Me lo immagino così. 

 

Con la tua musica stai ridefinendo i confini dell’RnB introducendo sonorità tipiche della musica araba, tanto che per definirti hai coniato un nuovo termine, Arab’n B. Da dove viene questa necessità?

Va un po’ contro la mia tendenza a non voler etichettare ma in questo caso ho pensato fosse importante avere un termine per rimandare immediatamente a una parte di società che, alcune volte lo dimentichiamo, è parte di questo Paese. Noi anche siamo italiani e l’Italia è anche questo, un mix di culture, quindi, perché no? È stato il pensiero dietro alla costruzione di tutta questa wave.

 

Sei un’artista che si esprime tanto anche attraverso elementi visivi: dai tatuaggi all’henné ai capi che hanno sempre un rimando alla cultura araba. È interessante la decisione di realizzare tutto a mano e di farlo tu stessa, in molti casi. Come mai questa scelta?

Per il MI AMI ho deciso di coinvolgere Sandra, una stylist libanese, con il suo brand, Sculptor Foundation. In generale, realizzare e indossare cose fatte a mano significa portare sul palco pezzi unici e tornare alle origini. Mi sono sempre sentita connessa alle cose fatte con le mani, forse grazie alla mia famiglia. Mio padre ha sempre fatto molti lavoretti manuali, mosso dalla filosofia che se vuoi, lo puoi fare, non esistono cose impossibili. Anche a lui piace molto l’arte e se gli viene un’idea prova a darle forma. Mi ha insegnato a credere in quello che faccio e a impegnarmi, tutto è possibile se ti impegni. Questo mi ha portato a buttarmi tanto nella vita. Per esempio, inizio a interessarmi di cucito anche se non so cucire, mi butto nel dipingere anche se non so farlo, mi impegno con la musica, magari secondo qualcuno non sono capace, ma per me l’importante è farlo con dedizione. 

 

C’è un elemento della tua identità artistica a cui sei più legata?

I due puntini sulla A di TÄRA. Non sono casuali, il mio nome è Tamara Al Zool e quei due segni sono caratteristici del modo di scrivere la T in arabo (تا, ndr). In più, sono un rimando al mio cognome che è stato un incubo in Italia. Al Zool è sempre stato scritto o pronunciato male, soprattutto per le due O nel centro, così ho deciso di richiamarle nel mio nome d'arte con i puntini sulla prima A

Leggi anche

“Canto la Palestina, l’arte è un manifesto contro la cancellazione”

Questa del MI AMI è anche la seconda data del tuo summer tour “Araba Fenice” e in un post hai scritto “Non è solo musica, è un manifesto”, puoi spiegarci perché?

Vorrei lasciare un segno, come dico anche nella canzone “Araba Fenice”, magari mi senti con la voce spezzata, le parole delle volte non sono abbastanza per comunicare, quindi spero che l’insieme di quello che porto sul palco, la mia identità, quello che indosso, le sonorità, possa lasciare qualcosa dentro le persone, che tutto si traduca in una semplice curiosità verso la cultura o in una nuova consapevolezza sul luogo da cui vengo, soprattutto in questo momento storico è importantissimo. Voglio lasciare un’impronta della mia generazione che attesti che noi ci siamo, esistiamo. 

Il concetto di rinascita dell’Araba Fenice poi penso che si ricolleghi alla mia storia, a quella della mia famiglia e di chiunque si senta come me. A fine tour spero di costruire una serie di altre canzoni collegate all’Araba Fenice. 

Nel tour voglio portare autenticità, nei concerti di oggi ho sentito spesso mancare quella possibilità di immedesimarsi, di rispecchiarsi in quello che viene cantato. 

Al MI AMI mi è piaciuto esibirmi in mezzo ai fan, spero di avere sempre un contatto ravvicinato con il pubblico. Voglio arrivare davvero alle persone perché spesso ci limitiamo a sentire e mai ad ascoltare. 

 

Il progetto “Araba Fenice” è ancora in corso ma, guardando ancora più in là, ci sono artisti con cui ti piacerebbe collaborare?

Io sono ossessionata da MACE, vorrei troppo fare qualcosa con lui. Ancora non ci conosciamo ma spero accada presto. Poi a me piace molto la scena underground romana quindi impazzirei anche per un feat. con Gemitaiz. Magari uno potrebbe pensare 'ma cosa c’entrate'; non lo so, facciamo cose diverse ma è bello sperimentare nella musica e nell’arte in generale. 

 

Un singolo con MACE e Gemitaiz che titolo avrebbe?

Sarebbe un sogno, MACE che fa la produzione mentre io e Gem facciamo le strofe. Si chiamerebbe “Levante Drift”.



Spettacolo: Per te