No Other Choice di Park Chan-wook, la recensione: la carta, il lavoro e il sangue
CinemaAlla Mostra di Venezia 82 arriva No Other Choice di Park Chan-wook: la parabola di Man-su (Lee Byung-hun), padre e lavoratore coreano che perde il posto e precipita in una spirale di colpa, violenza e disperazione. In questo film, che segna il ritorno del regista di Oldboy e Decision to Leave, il tema della disoccupazione si intreccia con l’avanzata dell’intelligenza artificiale e con le contraddizioni del capitalismo contemporaneo. Una storia crudele e ironica che diventa specchio universale del nostro tempo
We’re sorry. We have no other choice.”
Un licenziamento non è mai soltanto un fatto economico: è un’ascia che cala, recide identità e dignità, tronca il legame tra l’uomo e la sua stessa possibilità di definirsi. È proprio un’ascia — quella del romanzo di Donald E. Westlake da cui nasce il film — a vibrare come simbolo in ogni inquadratura del nuovo, attesissimo No Other Choice di Park Chan-wook.
Carta canta, e a volte uccide
Carta canta, e talvolta uccide. O addirittura si muore per la carta: per un posto di lavoro, per mantenere la famiglia, per non vendere la casa in cui sei cresciuto. Sarà banale, brutale, financo volgare, ma se i soldi non danno la felicità, figurarsi la povertà. A nessuno, neppure a un epigono di San Francesco, piace mettere in vendita le pareti che custodiscono memorie e infanzie.
Il film comincia con un’immagine di pienezza: una famiglia coreana che festeggia un barbecue luculliano, con l’anguilla afrodisiaca in primo piano. Una festa che sembra promessa di felicità e che invece nasconde già la frattura. La tragedia è in agguato, come il “tamarro dietro l’angolo” cantato da Elio e le Storie Tese in Shpalman.
Approfondimento
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Freud, la carta e l’amore
Non importa quanto tu sia bravo, bisogna “ottimizzare”. E tanti saluti. Freud, pur bollato come misogino e démodé, aveva intuito che l’essenza di un’esistenza si riduce a due cose: amare e lavorare. E Man-su, il protagonista, il lavoro lo perde. Ha la carta nelle vene, sa domare le piante come bonsai preziosi, ma senza il lavoro tutto si sgretola.
L’amore della moglie non basta a salvarlo. Lei si veste da Pocahontas per una festa, lui dovrebbe arrivare come John Smith: ma giunge tardi, e la vede ballare con il dentista — che non è solo rivale amoroso ma anche datore di lavoro. Gelosia e umiliazione si mescolano in un cocktail micidiale
Il buono che non può restare buono
Man-su sarebbe, in fondo, un uomo buono. Ma la bontà non è contemplata in un sistema che ti inghiotte e ti risputa. Per riconquistare il “magico mondo della carta” non resta che sporcarsi le mani di sangue. Il primo omicidio, filmato da Park con feroce ironia slapstick, esplode come un cartone di Tex Avery: il pubblico di Venezia ha applaudito, catturato da un’energia che mescola violenza e comicità. L’umorismo coreano è speziato, e non piace a tutti, ma chi lo rifiuta non sa cosa si perde: un antidoto all’orrore, un sorriso che lacera.
Figli, insetti e futuro
Il film è popolato da momenti paradossali e memorabili. La figlia di Man-su, talento del violoncello, vive di parole altrui, come se non avesse ancora una voce propria. Eppure, nel finale, pronuncia la frase più crudele: “Gli insetti stanno mangiando il suo cadavere”. È l’innocenza che diventa oracolo, la verità che scivola dalla bocca dei bambini come un verdetto.
E poi la sequenza conclusiva: la carta — antica, fragile, mortale — si intreccia con la potenza scintillante dell’intelligenza artificiale. Park ci mostra che anche ciò che crediamo eterno è precario, sostituibile, divorato da un futuro che corre più veloce del presente.
Un cast stellare al servizio della tragedia
Lee Byung-hun è il cuore pulsante del film: la sua metamorfosi da uomo comune a criminale disperato è un viaggio negli abissi della sopravvivenza. L’attore, già icona globale grazie a Squid Game, regala un’interpretazione sfaccettata, capace di passare in un respiro dalla dolcezza all’ombra. Accanto a lui, Son Yej-in è la moglie Miri, donna che non si arrende, luce razionale in una tempesta.
Park Hee-soon porta in scena Sun-chul, manager odiato e invidiato, volto allegro nei social e ambiguo nella realtà. Lee Sung-min e Yeom Hye-ran incarnano un’altra coppia allo sbando, tra alcolismo e rimpianti, mentre Cha Seung-won presta carisma a Sijo, veterano ridotto a vendere scarpe, gigante costretto a piegarsi in servilismo. Tutti hanno accettato il progetto “a scatola chiusa”: per gli attori coreani, lavorare con Park Chan-wook è un onore assoluto.
Una messa in scena tra ironia e crudeltà
Il film è costruito con una cura maniacale. La fotografia di Kim Woo-hyung cattura spazi concreti e insieme stranianti; la scenografia di Ryu Seong-hie trasforma la casa di Man-su in un simbolo: brutalismo di cemento armato e nostalgia borghese anni Settanta, luogo che riflette le crepe interiori del protagonista.
La musica di Cho Young-wuk, registrata con la London Contemporary Orchestra ad Abbey Road, oscilla tra tensione e ironia, tra archi solenni e stoccate sarcastiche. È un contrappunto che amplifica la doppia anima del film: tragedia e commedia, disperazione e farsa.
Una messa in scena tra ironia e crudeltà
Il film è costruito con una cura maniacale. La fotografia di Kim Woo-hyung cattura spazi concreti e insieme stranianti; la scenografia di Ryu Seong-hie trasforma la casa di Man-su in un simbolo: brutalismo di cemento armato e nostalgia borghese anni Settanta, luogo che riflette le crepe interiori del protagonista.
La musica di Cho Young-wuk, registrata con la London Contemporary Orchestra ad Abbey Road, oscilla tra tensione e ironia, tra archi solenni e stoccate sarcastiche. È un contrappunto che amplifica la doppia anima del film: tragedia e commedia, disperazione e farsa.
L’arte che non muore
In conferenza stampa, Park ha dichiarato che il cinema non morirà mai. Potrà sopravvivere anche con uno smartphone, ma continuerà a vivere perché è più forte dei numeri e dei budget. Come Man-su, anche il cinema è condannato a reinventarsi continuamente. Non c’è altra scelta.
Il titolo dice tutto: No Other Choice.
Non c’è scelta. Non per Man-su, non per noi. Solo resistere, amare e lavorare — anche quando il lavoro manca e l’amore vacilla. Park Chan-wook lo sa, e per questo ci restituisce un film che è insieme spietato e tenero, brutale e ironico, antico come la carta e feroce come l’algoritmo che ci governa