Caso Tony Effe, Davide Scheriani: "Così la trap conquista i giovani"

Musica
Gabriele Lippi

Gabriele Lippi

©IPA/Fotogramma

Bisogno di appartenenza, autostima, ricerca di modelli di successo, spirito di ribellione. Le nuove generazioni hanno sempre ricercato la loro identità in rottura con le precedenti, e così fanno ancora. Ciò che cambia, secondo lo psicologo e musicista autore del libro "Psicoparade. La psicologia del rock e del pop", è il contesto. L'intervista

Sta per esordire in gara al Festival di Sanremo con Damme ‘na mano, dopo aver passato il finale dell’anno scorso tra un dissing con Fedez (che ritroverà da avversario sul palco dell’Ariston) e la ormai celebre polemica sul Capodanno a Roma. Tony Effe è l’artista italiano che negli ultimi mesi è stato più divisivo di tutti, quello attorno alla cui partecipazione al Festival ci sono state più posizioni critiche. Idolo dei più giovani, “cattivo esempio” per genitori e politica, che in lui e nei suoi testi vedono un pericolo per la crescita dei propri figli. Una storia che, forse, non è del tutto nuova, perché la musica e gli artisti hanno sempre diviso generazioni diverse, ma che, come spiega il musicista e psicologo Davide Scheriani, autore del libro Psicoparade. La psicologia del rock e del pop (Arcana, 280 pagine, 18,50 euro), porta con sé anche qualcosa di nuovo e figlio dei tempi che viviamo.

Davide Scheriani, musicista e psicologo, autore del libro "Psicoparade. La psicologia del rock e del pop"
Davide Scheriani, musicista e psicologo autore del libro "Psicoparade. La psicologia del rock e del pop"

Quali sono i processi che portano un giovane a identificarsi con un certo tipo di narrazione in musica?
Sicuramente ci sono dei punti di comunanza e delle analogie con quanto è sempre avvenuto, ma anche differenze perché i tempi cambiano. Ormai la trap anche in Italia si è configurata come una subcultura, non in senso qualitativo ma tecnico, e credo che risponda al bisogno di appartenenza a una nicchia dei ragazzi, che riconosce coloro che vi aderiscono e rifiuta chi non vi si identifica. E questo non è diverso da altri movimenti artistici e culturali, anche legati alla musica, come il rock e un certo tipo di pop. Negli anni 90 c’erano i dark, i punk, i new romantic, ora il fenomeno emergente è la trap. Un altro aspetto di analogia è la sfida alle norme, il bisogno di affermare la propria indipendenza è sempre stato associato a un certo tipo di messaggi e i giovani hanno bisogno di aumentare la propria autostima, e un personaggio come Tony Effe, con la sua immagine di bad boy, affascina.

 

Fin qui le analogie, ma le parlava anche di differenze.

Anche nel mio libro parlo di come ci sia stata una progressiva tendenza all’autoreferenziale, dal folk di Bob Dylan che parlava di cultura, politica e società al punk dei Sex Pistols che criticava il buongusto e l’opportunismo; fino al grunge dei Nirvana, con un mirino sempre più ristretto sull’esistenzialismo. Ora questa cosa è ancora più accentuata, tutto è ancora più incentrato sul bisogno di autoaffermazione e di successo. Se i punk erano definiti perdenti, se Creep dei Radiohead proponeva una diversità sofferta, oggi i trapper sono swag, sono quelli che ce la fanno. La trap, come il pop e il rock, nasce negli Stati Uniti come espressione di riscatto, diretta emanazione o discendente del rap delle grandi città metropolitane. Ma mentre lì ha mantenuto un senso di riscatto sociale attraverso la disamina personale, e penso all’ultimo disco di Kendrick Lamar, in Italia è stato percepito più il versante disimpegnato ed evasivo, con artisti come SFK o Bello Figo che parlano per cliché. Una cosa simile è capitata anche col rock: Elvis veniva ascoltato qui dai ragazzini per svagarsi, non perché veicolasse un determinato messaggio sociale e personale. La trap, se resisterà alla prova del tempo, magari evolverà. E forse degli esempi, allargando un po’ le maglie dei generi, già ci sono: penso a Marracash. Ma ora la caratteristica che rende la trap così appetibile ai giovani è che sia immediata, connessa strettamente al mondo dei social, tiktokabile.

Anche le giovani donne sembrano accettare un linguaggio e un modo di raccontare la realtà che le oggettifica. Perché secondo lei accade questo?
C’è un tema di normalizzazione dei contenuti, una forma di assuefazione culturale: quando un contenuto continua a essere ripetuto in maniera meccanica se ne perde un po’ il senso, come se fosse una cantilena vuota. Un’altra spiegazione è quella che noi psicologi chiamiamo riduzione della dissonanza cognitiva: ascolto un brano che dovrebbe offendermi ma lo interpreto come scherzoso, ironico, non vero. Ed è un po’ quello che dicono gli artisti quando vengono criticati, parlano di storytelling. Torniamo un po’ al discorso del lol rap, in cui tutto è fatto per ridere.

Negli Stati Uniti questo genere di polemiche non è nuovo. Toccò anche pilastri della cultura hip-hop come Tupac ed Eminem. Da noi invece arriva ora. Questo ritardo è semplicemente frutto della popolarità recente del genere?
Anche se si sono molto accorciati i tempi di permeabilità e influenzamento noi arriviamo sempre un po’ in ritardo rispetto a certi fenomeni artistici. E questo porta a tradurre un po’ male il tutto, come se si cercasse di parafrasare, e anche nella scrittura si utilizzano espressioni inglesi che lì hanno un senso e da noi diventano un po’ delle formule. In questo momento poi mi sembra che i testi della trap tendano molto a ripetersi, a essere tutti abbastanza uguali a sé stessi, ripetono lo stesso cliché ed esso stesso finisce per svuotarsi. Inoltre, tanti testi trap li ascoltano ragazzini di 13 anni, che non hanno gli strumenti per farne una disamina: li sentono su TikTok e li riprendono.

 

Peraltro, anche il rock e il metal non sono stati esenti in passato da un linguaggio machista e sessista.
Iggy Pop negli anni ’80 cantava I wanna be your dog, comunque un testo controverso, sia nel mio libro sia nel mio podcast ne parlo, ma credo che l’elemento di differenza è il fatto che sin da subito questo tipo di musica è pensato per un target specifico di consumo: una volta gli artisti portavano avanti questi meccanismi da perdenti, poi venivano scoperti e diventavano dei fenomeni di massa; qua sembra che invece ci sia un disegno alla base di propugnare un immaginario immediatamente consumabile: gli artisti fanno canzoni ma anche brand di abbigliamento. Bisogna vedere quanto a lungo funzionerà, perché mi pare si stia configurando una bolla che mostra segnali di esaurimento, ci sono tanti artisti trap anche a Sanremo ma già devono trovare le collaborazioni con le cantanti pop.

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In generale, è evidente che la percezione degli adulti che criticano questo tipo di canzoni è molto diversa da quella dei giovani che la ascoltano. È un problema di gap generazionale? Ci mancano gli strumenti per decodificare le esigenze delle nuove generazioni e quindi comunicare con loro?
Questo è sempre successo, effettivamente. La musica è sempre servita alle nuove generazioni per differenziarsi, mi sembra che siamo assolutamente in linea con quanto accaduto in passato nel rock e con altre espressioni artistiche. Oggi però c’è questa velocità estrema con cui tutto arriva al pubblico, viene immediatamente dimenticato e si passa a qualcosa di nuovo che però così nuovo non è. Il problema è che quanto più aumenta la distanza tra generazioni critiche e nuove generazioni che abbracciano questi contenuti, tanto meno si riuscirà a creare una narrazione coerente. Io penso che la musica oggi abbia ancora valore, siamo in una fase di transizione sia dal punto di vista industriale sia da quello artistico di scrittura di testi. Attendo l’arrivo di una trap un po’ più matura.

 

A suo avviso questo tipo di brani è pericoloso per lo sviluppo educazionale e sentimentale dei giovani? Che impatto può avere, soprattutto tra i maschi? Rischia di risultare reazionario nei confronti di tutti gli sforzi che vengono fatti per arrivare a un’educazione sentimentale meno tossica?
Io su questo sarei prudente, nel senso che i forti allarmismi generano sempre grandi chiusure e allargano quella distanza tra generazioni di cui parlavamo prima. Certo, forse questo è anche l’espressione di una certa dissociazione che viviamo oggi come società: da una parte viene promossa tanta sensibilità ai temi dell’uguaglianza e della parità di genere ma dall’altra sembra che i ragazzi abbiano bisogno di evadere andando a fruire di contenuti che parlano del contrario. Siamo divisi, quasi schizofrenici, da una parte si rischia la cancel culture se non ci sia allinea con un certo tipo di pensiero e poi un determinati testi sembra non vengano nemmeno presi in considerazione. Io però parlerei di dialogo e confronto più che di educazione sentimentale, anche perché poi i ragazzi a una certa età sembrano essere un po’ refrattari. In Times they are changing, Dylan diceva: lasciate perdere i vostri figli, non capite cosa stanno dicendo. Eviterei di imporre ai giovani cosa devono o non devono ascoltare, quello che proporrei in ambito sociale e musicale, è di lasciare degli spazi per la musica dal vivo ai gruppi di ragazzi, per vedere dei ragazzi che si incontrano e suonano insieme, anche col computer, per cercare un confronto orizzontale, non solo verticale con le vecchie generazioni.

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