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Max Pezzali in concerto a Torino, passano gli anni ma siamo sempre qui noi

Musica

Fabrizio Basso

Credit Alessandro Bremec

L’artista pavese debutta negli stadi in questo 2024 all'Olimpico nel capoluogo piemontese. La recensione del concerto

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Una arena per il gladiatore Max Pezzali che all'Olimpico di Torino avvia il suo tour negli stadi che lo vedrà, in questa estate 2024, nel ruolo di un mago Merlino delle emozioni. Lo incontro poco prima di salire sul palco, sorridente, sereno, consapevole che le sue parole sono un turibolo di poetica umana. Il tour negli stadi, dopo la data zero di Trieste, parte dai portici sabaudi di Torino: “A 25 anni -racconta Max- sarei rimasto sovrastato dall’imponenza di una situazione come questa, oggi ho il privilegio di poter controllare le emozioni. Dopo due San Siro e il Circo Max al Circo Massimo eccomi qua negli stadi”. L’ansia è per la scaletta, le canzoni che ha in repertorio sono tantissime e tutte sono speciale per i fan. Questo rende complessa la scelta: “La grande angoscia è che qualcuno alla fine di ogni tour ti segnala quella che non la hai fatto e stavolta, grazie a Max Brigante e Jacopo Pesce, abbiamo cercato di fare il più possibile e il meglio possibile, ragionando pure su canzoni fatte solo quando è uscito l’album che le ospitava.

 

Ci sono brani che mancano da anni, tipo Ci Sono anche Io, una new entry dopo oltre 20 anni, è del 2002. Poi abbiamo sfruttata l’occasione dell’ultimo singolo Discoteche Abbandonate, che è l’unica nuova, per trasformare la situazione in una discoteca. E’ una scaletta lunga ma divertente e quando vedi che tutto viaggia dopo circa due ore e un quarto di concerto significa che tutto va bene. La scaletta è stata un lavoro impegnativo, è un tour diverso costruito per non scontentare nessuno”. Elemento ipnotico è poi l’aspetto visivo: “Alla data zero a Trieste -aggiunge Max- non ho capito la grandezza, penso al pupazzo di dieci metri: quando te lo raccontano dici ok, quando lo vedi vicino è imponente. Qui c’è il grande lavoro di Sergio Pappalettera che ha curata la parte creativa e concettuale. E’ con me fin dai primissimi album, è il vero custode dell’immaginario. Il palco è come un tuffo nell’universo dei cartoon, ci sono i personaggi delle canzoni che diventano reali, gonfiabili, visibili: come se si fossero uniti per accompagnarmi sul palco e raccontare questa storia. C’è uno storytelling sui visual”.

 

Un altro guizzo di creatività è l’abbraccio o stadio che ospita il concerto: “Il giorno prima -sottolinea Max- in ogni città arriva una vera banda con i nostri vessilli che canta le canzoni mie con un medley arrangiato per la banda, la stessa banda che poi ci accompagna sul palco”. Guardandosi alle spalle Max racconta che “gli anni Cinquanta sono stati un decennio d’oro per l’immaginazione e gli anni Novanta raccolgono la speranza del futuro che arriverà e le certezze del mondo precedente. E’ stato un decennio che portava ottimismo senza dimenticare le stragi di mafia e che per la prima volta c’è stata una grossa reazione della società civile. Certo le reazioni alla guerra ci sono state pure nel 1992. All’epoca non ricordo una sollevazione così forte, o meglio ci fu quando arrivò la tragedia della ex Jugoslavia. Oggi c’è più attenzione anche grazie al tam tam dei social che rende più facile il confronto e aiuta a riconoscersi. Una volta le cose accadevano che senza nessuno lo sapesse, oggi è più facile farle circolare e verificarle, da lì nasce il mio ottimismo”. Sul palco con Max ci sono Giordano Colombo (batteria), Marco Mariniello (basso), Giorgio Mastrocola (chitarra), Ernesto Ghezzi (tastiere) e Davide Ferrario (chitarra e sequenze).

Credit Alessandro Bremec

La banda con le sue bandiere accompagna Max Pezzali al centro del mondo dove succede tutto. E ieri sera allo Stadio Olimpico di Torino c’erano in tanti a fare da corona a questo viaggio lungo, emozionante, nostalgico, motivazionale. Sono le 21.30 quando le luci si spengono, ma non il cielo, ancora orgoglioso della vicinanza del solstizio d’estate, che ci porta prima Bella Vera e poi La Regina delle Celebrità, con alle spalle di Max, sun un palco maestoso fa ruotare una stroboscopica, una carezza per chi vive negli anta e anche oltre. E infatti arriva La Regina della Celebrità, una signora che non ha età, una dama senza tempo, di quelle preziose che Io ci Sarò. Si va avanti, in maniera più slow (come si diceva una volta) con Come Deve Andare e Rotta x Casa di Dio. Lo stadio diventa un tridente col medley che accorpa Non me la Menare, Te la Tiri, 6 uno Sfigato, Jolly Blu e La Radio. E qui mi sento fare l’unico appunto della serata: mi aggiungo alla lista dei lamentosi e dico che Jolly Blu merita uno spazio suo, vocale, visivo e visionario. Si riparte con Sei Fantastica e il Grande Incubo. Ormai le tenebre hanno avvolto il manto erboso e le sue tribune, ma le canzoni di Max portano sempre luce.

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Max Pezzali canta Discoteche Abbandonate: "E' il racconto di un'epoca"

Credit Alessandro Bremec

Le Discoteche Abbandonate aprono idealmente la seconda pagina di questa fantastica avventura che “se ci pensi alla fine” tutti abbiamo attraversato. E’ l’abbaglio di una stella cadente Sei un Mito cui seguono due canzoni che, se le adottasse Greenwich, potrebbero essere un continuum: Nella Notte, che lo porta al centro del pubblico, sulla punta della passerella che occhieggia al centrocampo, e Weekend. Dopo la levità del fine settimana le casse esplodono con La Lunga Estate Caldissima…e se queste sono le premesse mai come questa volta la canzone è profetica. Lento, commovente introduce Una Canzone d’Amore che prima ancora che la voce si diffonda una stellata di led da cellulare porta all’Olimpico una via lattea che a quella vera gli fa un baffo. E neanche a tortiglioni. Come Mai è cantata con lo stesso afflato dell’Inno di Mameli e non è da meno Nessun Rimpianto, un inno all’autodeterminazione. Il rock di Eccoti precede Ci Sono Anch’io viaggio che va oltre la musica, è la lettura culturale di un’epoca, l’abbeve: “Forse non la abbiamo mai fatta dal vivo, siamo andati a pescarla nel nostro passato”. Il pubblico ascolta, è curioso. È uno iato sentimentale di almeno due generazioni. Max si fa figurina per decantare quella che è La Dura legge del Gol ed è vero che lo squadrone siamo noi che non ci arrendiamo mai. Tutti in piedi per Hanno Ucciso l’Uomo Ragno, una canzone iconica, una canzone simbolo ballare senza la mala né la pubblicità! Il capolavoro si chiama Gli Anni e ha dei visual che meriterebbero un premio. Il finale è una chitarra che introduce Grazie Mille dedicata al pubblico che non ha smesso un attimo di cantare. Una breve pausa si salta con Nord Sud Ovest Est e Con un Deca. Mentre le ultime note evaporano verso i nostri sogni quello che posso dire è che quando c’è Max passano…gli anni ma siamo (sempre) qui noi!

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