Arctic Monkeys, The Car è il nuovo album della band di Sheffield

Musica
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La band originaria di Sheffield ha pubblicato oggi il settimo disco in studio, The Car, dopo aver fatto crescere la curiosità dei fan anticipando tre singoli: There'd better be a Mirrorball, Body Paint e I ain't quite where I think I am. Ecco le prime impressioni sull'ultima fatica di Alex Turner, Jamie Cook, Nichoals O’Malley e Matthew Helders.

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Don’t get emotional. That ain’t like you”, non emozionarti, non è da te. Esordisce così There’d better be a Mirrorball, il brano d’apertura di The Car, il settimo album in studio degli Arctic Monkeys, la band inglese che dal 2006, anno dell’uscita del loro disco d’esordio Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not’, non smette di crescere, sperimentare e allo stesso tempo dominare le classifiche musicali. Dieci nuove tracce pensate, lavorate e registrate prima nel monastero Butley Priory, nella campagna del britannico Suffolk, poi ai RAK Studios di Londra e infine rifinite nello studio La Frette di Parigi. Il produttore è James Ford, storico collaboratore della band. Per quest’ultimo lavoro Alex Turner (frontman e autore), Jamie Cook (chitarrista e autore), Nichoals O’Malley (bassista) e Matthew Helders (batterista) ci accompagnano in un viaggio dal sapore anni 70 che va assaporato per bene prima di essere digerito.

Nichoals O’Malley (bassista), Matthew Helders (batterista) e Jamie Cook (chitarrista e autore)
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Non guardare indietro

Tre elementi spiccano dalla prima traccia fino alla decima: la voce e i testi di Turner, l’arrangiamento degli archi e le piacevoli apparizioni delle chitarre. Il The Guardian, descrive bene l’evoluzione del modo di cantare del frontman: “All'inizio aveva una voce magra, dura e settentrionale, seduta da qualche parte tra il naso e la gola. Oggi è diventata più calda, più piena e con una profondità brunita”. Questa crescita si sposa con un sound più maturo e immaginifico che mai. In base ai racconti forniti dagli stessi componenti del gruppo nelle interviste recenti, sembra che tutto sia partito da un’intuizione del chitarrista Jamie Cook: è stato lui, seduto davanti a un sintetizzatore Moog, a trovare la cifra giusta del suono che poi avrebbe contraddistinto tutto l’album. Si sono lasciati alle spalle il rock, crudo e semplice, dei primi lavori. Sempre Alex Turner, parlando con Lars Brande di Billaboard, ha detto: “Il modo in cui il progetto The Car è stato realizzato, non è diverso da come mi immagino sia il processo creativo per fare un film”. E ha aggiunto: “Non ho idea di come si faccia effettivamente un film, ma c'è stato un periodo di post-produzione più lungo, ci siamo concentrati sull’incastro degli elementi in modo da far funzionare tutto dall’inizio alla fine”.

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Le canzoni

Il viaggio di The Car inizia con un amore giunto al termine, There’d better be a Mirrorball, cantanto dolcemente, poi I Ain't Quite Where I Think I Am, dove le chitarre compaiono in modalità funky, stuzzica l’interesse di chi ascolta e Sculptures of Anything Goes ricorda il “Panta Rhei”, Tutto scorre di Eraclito. E poi si procede a velocità di crociera con Jet Skis On The Moat, Body Paint, The Car, il pezzo che dà il titolo all’album – l’artwork della copertina del disco è una foto scatta dal batterista, Helders, che ritrae un’auto parcheggiata in cima al palazzo di fronte alla casa dove abita lo stesso Helders – fino a Big Ideas dove il testo cantato da Turner ragiona esplicitamente sul percorso che la band ha avuto fino ad ora. “Avevo grandi idee, la band era così eccitata/Il tipo di idee che preferiresti non condividere al telefono/Ma ora l'orchestra ci ha circondati/E non riesco a ricordare come vanno”. La rivista Mojo, nel recensire l’album, ripercorre le lyrics e su questo punto parla di una “difesa preventiva”: “Sarebbe facile – si legge nell’articolo – ascoltare The Car come un album solista. Ma la verità è un po' più complicata di così, e The Car è un album complicato e gratificante: il migliore degli Arctic Monkeys, forse”. Il sogno retrò di The Car arriva a compimento con gli ultimi tre brani, Hello You, Mr Schwartz e a chiudere Perfect Sense: “And that’s what it takes”, ecco ciò che serve, l’ultimo verso dell’album.

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Tracklist dell'album

  1. "There'd Better Be a Mirrorball" di Alex Turner
  2. "I Ain't Quite Where I Think I Am" di Alex Turner
  3. "Sculptures of Anything Goes" di Alex Turner insieme a Jamie Cook
  4. "Jet Skis on the Moat" di Alex Turner insieme a Tom Rowley
  5. "Body Paint" di Alex Turner
  6. "The Car" di Alex Turner
  7. "Big Ideas" di Alex Turner
  8. "Hello You" di Alex Turner
  9. "Mr Schwartz" di Alex Turner scritta insieme a Rowley
  10. "Perfect Sense" di Alex Turner

Seguire l’istinto

Nme, il magazine britannico, titola così: “Arctic Monkeys: ‘Ora conosciamo qualche trucco in più, ma continuiamo a girare con lo stesso istinto’”. Ecco il riassunto del lavoro svolto dalla band di Sheffield per quest’ultimo disco: continuare a seguire l’intuito, soprattutto se porta in luoghi, o in questo caso sonorità, insospettabili. Nei blog online, dove i fan parlano a si confrontano continuamente, la discussione è accesa: c’è chi è già innamorato dell’ultimo disco e chi invece ammette di aver bisogno di qualche ascolto in più per capirlo. Senza dubbio vale la pena ascoltarlo, dall’inizio alla fine e senza pregiudizi nei confronti della nuova direzione intrapresa di un gruppo che rinnova di volta in volta una chimica creativa apparentemente non riproducibile altrove. D’altronde, i quattro componenti si conoscono dai tempi delle scuole elementari. Lo stesso Turner, conversando sempre con Nme, ha rassicurato su questo: “L’atmosfera cambia completamente quando il resto della band è assente. Per trovare quella magia che serve alla nostra musica, so che devo essere vicino a loro, ed è una sensazione che ancora non ho trovato altrove”. In attesa delle date live europee del prossimo anno, l’appuntamento è per domenica 23 ottobre alle 21.00 su Youtube, dove andrà in diretta streaming il concerto che gli Arctic Monkeys hanno suonato al Kings Theatre di Brooklyn.

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