Fuori I Ain’t Quite Where I Think I Am, il nuovo singolo degli Arctic Monkeys

Musica

Manuel Santangelo

Credit for the photo goes to Zackery Michael

I Ain’t Quite Where I Think I Am è il terzo singolo estratto da The Car, il prossimo album in uscita il 21 ottobre. A parte il lungo titolo della canzone, non sono molti gli elementi che rimandano ai primi lavori della band di Sheffield. Alex Turner e soci stanno vivendo la loro ennesima metamorfosi, dando più spazio al piano che alla chitarra

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Il terzo indizio fa una prova. Dopo There’d Better Be a Mirrorball e Body Paint arriva un altro singolo a confermare che gli Arctic Monkeys non torneranno neanche stavolta al suono hard rock e fatto di riff ipnotici del passato. I Ain’t Quite Where I Think I Am è una canzone che Edoardo Vitale su Rolling Stone ha giustamente avvicinato a un certo David Bowie (probabilmente quello a cavallo tra fine anni Sessanta e primissimi anni Settanta), un brano che guarda al passato ma resta intriso di una nostalgia “indiretta”. Se l’album precedente si apriva con “Volevo solo essere uno degli Strokes e invece guarda che casino che mi hai fatto fare”, oggi Alex Turner e soci guardano ancora più indietro della band newyorchese, andando a pescare dal rock di un periodo in cui proliferavano emuli di Beatles e Byrds. Cosa resta degli Arctic Monkeys che nel 2006 avevano sconvolto noi pre-adolescenti grazie a un disco energico e “rumoroso” come Whatever People Say I Am, That's What I'm Not? Probabilmente la passione per quei titoli lunghi e un po’ criptici, destinati a attorcigliarsi su loro stessi come nel caso di I Ain’t Quite Where I Think I Am.

Non sparate sul pianista

Parafrasando il titolo dell’ultimo estratto prima dell’uscita ufficiale di The Car sorge spontanea la domanda: dove si trova oggi la band inglese? Gli Arctic Monkeys hanno abbandonato le suggestioni fantascientifiche del precedente Tranqullity Base Hotel & Casino ma hanno continuato a coltivarne le sonorità più tranquille. D’altronde da tempo ormai il frontman Alex Turner ha eletto a suo strumento prediletto il piano e, anche se nell’impianto le chitarre continuano ad avere una loro centralità, non sfugge l’attenzione data anche a componenti nuove come gli archi (in particolare nei singoli precedenti a I Ain’t Quite Where I Think I Am).  The Car è d’altronde un lavoro figlio di un intuizione del chitarrista James Cook, come ha raccontato Turner: “Ha preso un sintetizzatore Moog, lo ha collegato ad una drum machine e ha creato quel suono. Noi non abbiamo fatto altro che seguirlo: tutto è cominciato da lì e poi si è evoluto in un milione di cose”.

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In spagnolo sulla tv italiana

Oggi gli Arctic Monkeys sembrano qualcosa di completamente diverso da ciò che erano agli esordi. Appaiono come una band più matura e forse inevitabilmente anche la loro musica ora suona più riflessiva. Non che questo sia un male. Anche perché, almeno a sentire i membri del gruppo nelle interviste, sembra che non abbiano comunque del tutto perso il piglio di album come AM, il disco del 2013 prodotto da Josh Homme dei Queens of The Stone Age.  Esiste una sottile linea rossa che lega tutta la carriera degli Arctic Monkeys anche se “potrebbe non essere ovvia e chiara a tutti all’inizio”, come ammette la stessa voce della band: “Se guarderete indietro dopo un certo tempo, finirete per notare che il suono di ogni disco sanguina all’interno del successivo”, ha comunque chiosato Alex Turner. È impossibile oggi azzardare quale sarà la prossima evoluzione della band inglese che, d’altra parte, è la prima a cantare nell’ultimo pezzo: “Non sono esattamente dove penso di essere”. Forse ritroveremo davvero presto gli Arctic Monkeys a “cantare in spagnolo sulla tv italiana”, come ipotizzano loro stessi scherzando (?) in Sculptures Of Anything Goes. Quest’ultima prospettiva da una parte ci spaventa ma, dall’altra, ci anche affascina perversamente. Non c’è niente di male a confessarlo, o no?

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