L’ex Sex Pistols John Lydon saluta la regina. Storia di un “rest in peace” inaspettato

Musica

Manuel Santangelo

L’ex cantante della band punk per eccellenza era diventato famoso dando in pasto al pubblico la caustica hit “God Save The Queen”. Oggi, a quasi cinquant’anni da quell’inno ribelle, Lydon però depone le armi e saluta una sovrana che con il tempo aveva iniziato quasi a piacergli

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God Save The Queen è l’inno più antico della storia. Fu composto secondo alcune fonti dal compositore barocco Thomas Arne tra il 1736 e il 1740, per poi venire utilizzato nel 1744 come canto nazionale. Per intenderci, arrivò più o meno un secolo prima del nostro Inno di Mameli.

Eppure, per almeno una generazione intera, il God Save The Queen più famoso è ben più recente ed è piuttosto chiaro chi lo ha composto nel 1977: i Sex Pistols di Sid Vicious e Johnny Rotten, i primi ribelli punk in un mondo in cui ancora non era chiaro al nessuno come essere ribelli (e punk).

 

La hit dei Sex Pistols ai tempi arrivò al secondo posto nelle classifiche di vendita nonostante i benpensanti e nonostante persino la BBC l’avesse bandita dalle programmazioni. Ci riuscì con un testo caustico, che se la prendeva con la monarchia e con il suo esponente massimo senza mezzi termini o giri di parole. Per questo oggi ha sorpreso molti vedere Johnny Rotten, ormai da tempo tornato a farsi chiamare John Lyndon, mandare uno stringato ma significativo messaggio di addio alla regina Elisabetta: “Rest in peace queen Elizabeth II"”.

C’eravamo tanto odiati

 

Il 7 giugno del 1977 il manager e deus ex machina dei Pistols Malcolm McClaren ne pensò una delle sue. Portò la band su un battello (ribattezzato per l’occasione Queen Elizabeth) e la fece suonare lì sul posto, allestendo di fatto un concerto itinerante sul Tamigi. Tutto avrebbe dovuto concludersi nei pressi di Westminster Palace ma la polizia fece abortire il progetto. Poco male per McClaren e i Sex Pistols, che avevano inscenato tutto per lanciare il loro singolo God Save The Queen e che ricavarono comunque una discreta pubblicità dall’evento. Talmente tanta da spingere il singolo al secondo posto nelle classifiche. Quel 45 con in copertina il volto della regina coperto dal nome del gruppo e da quello del brano divenne iconico, con buona pace della sovrana, cui non sarà sicuramente piaciuto ascoltare una canzone in cui si diceva che non era neanche un essere umano.

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Le cose cambiano

 

A gridare quelle parole ai tempi era Johnny Rotten che poi però ha invertito la rotta su molte cose, dallo stile musicale alle proprie idee sulla sovrana. Dopo essere tornato a farsi chiamare John Lydon e aver prodotto album molto diversi da Never Mind The Bollocks coi P.I.L., il cantante era pronto a rivalutare anche la sovrana e più volte negli ultimi anni si era dimostrato in realtà conciliante con lei. Non c’era più traccia del livore giovanile già in un’intervista di qualche tempo fa, quando anticipò che si sarebbe dispiaciuto per la scomparsa di Elisabetta e invitava a non suonare la sua vecchia hit nel giorno della sua dipartita.

 

Un dietrofront cui erano seguite diverse dichiarazioni in cui ha tenuto sempre a spiegare che God Save The Queen era una canzone contro la monarchia in quanto istituzione e non contro la regina in quanto essere umano. Oggi la scomparsa della sovrana lascia un vuoto anche in chi l’aveva dileggiata in passato. Perché con gli anni si cresce e si capisce che certi slogan come “No Future” spaventano più di quanto non facessero tempo addietro. I Sex Pistols sono durati un paio d’anni, la regina un po’ di più ma entrambi hanno contribuito a far parlare del Regno Unito nel mondo. “Rest in Peace queen Elizabeth”, senza rancori. Tuo, John Lydon.

Sex Pistols perform in Paradiso, Amsterdam.;

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