29 agosto 1958, 64 anni fa nasceva Michael Jackson

Musica

Manuel Santangelo

©Getty

Il 29 agosto 1958 nasceva a Gary nell’Indiana Michael Joseph Jackson, l’uomo che diventerà per tutti “Il re del pop”. Con tutte le sue contraddizioni, Jacko è stato probabilmente una delle ultime vere star in grado di arrivare davvero a tutti. Ripercorriamone qui insieme la storia

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Con oltre 800 riconoscimenti portati a casa in carriera Michael Jackson è al momento l’artista più premiato della storia della musica. Non male per uno che, a inizio carriera, era convinto di avere una voce simile a quella di Minnie, la fidanzata di Topolino, e per questo nutriva dubbi su un eventuale futuro successo musicale.  Decisamente più sicuro del talento della progenie si era invece dimostrato Joe Jackson, ex musicista di discreto successo che aveva dovuto appendere la chitarra al chiodo dopo il matrimonio con Katherine Esther Scruse, una commessa con la passione per il canto.

 

Fu proprio il padre di Michael (con cui ebbe un rapporto complicato) a spingere lui e i fratelli nel mondo della musica iniziando così la carriera di quello che per molti resta, a 64 anni esatti dalla nascita, l’unico vero re del pop.

 

Un eterno bambino, un Peter Pan senza età

 

I giovanissimi Jackson 5 ci misero poco a essere scritturati dalla storica etichetta soul Motown e a scalare le classifiche. Michael, Jackie, Tito, Jermaine, Randy e Marlon arrivarono negli anni Settanta a piazzare ben 4 singoli alla numero uno, diventando delle autentiche mini-celebrità. Col tempo però i Jackson divennero sempre più il gruppo di Michael, che mostrava già un precoce talento anche per la danza.  Con singoli come ABC e I Want You Back quei ragazzini avevano creato uno dei primi gruppi in grado di abbattere le barriere razziali in un’America dove anche i gusti musicali finivano per dire qualcosa su chi eri. I fratelli Jackson, all’apparenza così innocui, erano in grado di piacere a chiunque trasversalmente. Già dall’inizio, quasi paradossalmente considerando la sua storia personale, l’uomo che  è passato alla storia anche per il cambio di colore della sua pelle era riuscito a unire bianchi e neri.

 

Il progetto di papà Joe era riuscito a livello musicale ma aveva lasciato molti traumi nei figli, soprattutto in Michael che ricercherà sempre l’infanzia perduta in quegli anni circondandosi di bambini e restando sempre in bilico tra l’età adulta e l’infanzia. Se cercate su Wikipedia, scoprirete che “Peter Pan” era uno dei suoi soprannomi. Oggi forse per questo fa ancora più specie pensare che nel 2022 la star avrebbe compiuto 64 anni. Un Michael Jackson anziano e prossimo alla pensione è quasi anacronistico, suona come un bug nel sistema. Forse lo pensava anche lui, che con gli interventi chirurgici ha finito per sembrare sempre di più quasi un alieno dall’età indefinita sul finale di un’esistenza finita troppo presto, a poco più di 50 anni.

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Un alieno che piaceva a tutti

 

Viene difficile considerare Michael Jackson un afroamericano “tout-court” ed è complicato se non impossibile definirlo bianco. Non è neanche facile percepirlo come un artista totalmente americano: la sua musica è stata globale. Assieme a Lionel Ritchie Michael Jackson è stato l’uomo dietro We Are The World, la canzone pop per eccellenza in grado di diventare sinonimo di pace e unione tra i popoli nel 1985 (quando certe operazioni in grado di coinvolgere un’intera scena musicale erano ancora quasi inedite). Nel momento in cui, in quello stesso anno, acquistò la società che possedeva i diritti delle canzoni di Elvis e dei Beatles sembrò quasi dire: “Mi sto appropriando di ciò che è stato l’epitome del pop perché io sono il prossimo anello di congiunzione”. E a pensarci bene è stato un po' così: Jacko è stato per almeno un trentennio l’unico a rivaleggiare con Presley e i quattro di Liverpool a livello di icona. Era l’uomo che non sembrava venire da questa Terra, colui che parafrasando Caparezza avrebbe potuto “venire dalla luna”. Non è un caso che, da grande ballerino, inventò un passo chiamato proprio Moonwalk prendendo spunto dal mimo Marcel Marceau. Replicò la mossa anche nel video di una delle sue maggiori hit, quella Smooth Criminal in cui indossava delle scarpe anti-gravità da lui stesso brevettate.

Jackson era l’uomo che ballava con gli zombie nel video di Thriller prima che altre star si sarebbero messe a farlo con i lupi (metaforicamente). Fu l’uomo che, coadiuvato da un grande regista come John Landis, lanciò l’era del videoclip e lo usò in Black or White per dire una volta di più che non esistono razze ed etnie. Nel mondo di Michael Jackson tutti ci somigliamo e tutti siamo allo stesso diversi ma dovremmo accettarci senza riserve. Da una parte sembra un messaggio banale, dall’altro appare come l’ennesima utopia di un artista staccato da una realtà con cui non riesce ad entrare in sintonia. Michael Jackson per anni visse a Neverland, una sorta di grande parco giochi irraggiungibile che sembrava davvero su un altro pianeta. L’uomo che ha battuto record di vendita con i suoi dischi era un essere condannato a sentirsi perennemente fuori posto, anche se le sue parole venivano cantate persino in Laos o in Nuova Zelanda. Voleva vivere in un mondo che forse esisteva solo nella sua dimensione onirica e forse per questo non ha sorpreso nessuno scoprire che avrebbe voluto essere Morfeo/Sogno in un prodotto tratto dal fumetto The Sandman.

Manca ancora un grande biopic su Michael Jackson e forse non lo avremo mai: troppe domande rimaste aperte, troppi aspetti controversi. Ma forse a pensarci bene un film su Jacko esiste già: quel Willy Wonka interpretato da Johnny Depp ne La fabbrica di cioccolato di Tim Burton è forse il più fedele alter-ego cinematografico possibile. Un genio colorato e disperato, chiusosi nella sua fabbrica di successi e incapace di gestire i traumi dell’infanzia, in un mondo troppo cinico per lui.

Anche a 64 anni dalla sua nascita.

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