Mahmood, un viaggio nel Mediterraneo. Recensione del live all'Alcatraz

Musica

Gabriele Lippi

Foto Emilie Bardalou

L'artista milanese si è esibito da vivo in un concerto a Milano, seconda tappa italiana del suo tour europeo, a pochi giorni dalla finale dell'Eurovision con Blanco. Una performance impeccabile dal punto di vista vocale, raffinata e urbana al tempo stesso. Come nel suo stile

Ci sono artisti capaci di trasportarti con loro su un tappeto volante fatto di note musicali e suggestioni. Sono pochi fuoriclasse, rare e meravigliose eccezioni, variabili impazzite che sfuggono all’omologazione dell’industria musicale riuscendo a imporre qualcosa di nuovo e proprio. Mahmood è uno di questi. È il vincitore di due Festival di Sanremo (tre se si considera anche l’anno in cui si impose tra i Giovani) ma anche una delle voci più credibili della nuova generazione italiana. E non manca occasione di ricordarlo ogni volta che si esibisce dal vivo.

Versi e note fuori dal comune

Il concerto del 18 maggio all’Alcatraz di Milano, seconda tappa italiana del suo Tour Europeo e seconda anche dopo l’esperienza all’Eurovision con Blanco, è stato uno show di rara bellezza puramente musicale. Pochi effetti speciali, poche parole al di là delle canzoni. Mahmood è uno che bada alla sostanza, una sostanza fatta di versi e note fuori dal comune. Con Ghettolimpo, tanto nel tour quanto nel disco, racconta la parabola di un ragazzo cresciuto nella periferia e asceso alle vette più alte dell’industria musicale, uno capace di sfondare i 77 milioni di streaming mondiali su Spotify con Brividi, superando i confini del suo Paese. Perché se c’è un artista internazionale in Italia, oggi, è Mahmood.

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RAFFINATO E SPACCONE

Mahmood si presenta sul palco con un cappotto di pelle nera lungo fino alle caviglie che lo fa assomigliare al Neo di Matrix. E come Neo fa da guida al pubblico in un viaggio tra l’onirico e il lisergico, un tour del Mediterraneo sulle note di una urban music che profuma di ginepro e mirto, di sandalo e mirra. Comincia con Dei, la stessa canzone che introduce l’album Ghettolimpo, e chiude con Brividi, prima del bis. In mezzo si ciondola su un’altalena tra la raffinatezza sofferente di brani come InuyashaGioventù bruciataRubini Rapide, e la “tamarrìa” spaccona (il copyright è suo) di KlanDoradoKobra e Barrio.

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DA LANA DEL REY A NO POTHO REPOSARE

Dopo Dorado, Mahmood si ferma, per un attimo si trasforma in juke box umano. Nella canzone dice “dentro casa canto Lana”, e siccome Milano è casa, qualcuno dal pubblico gli chiede di farlo. Lui non si sottrae e si esibisce a cappella con Video Games. Ci si perde in quella voce così particolare che non ha bisogno di autotune, in quelle armonizzazioni ipnotiche. Il pubblico balla, salta, si commuove e ondeggia. Mahmood ci gioca ancora: “Non ho ancora visto una bandiera della Sardegna”, si lamenta, e come per magia, dal centro del parterre, spunta un vessillo coi quattro mori. “Questa la dedico alla mia terra d’origine”, dice, e canta T’Amo, che è una spettacolare fusione tra il suo modo di sentire la musica e uno dei brani più belli che siano mai stati composti, No Potho Reposare di Salvatore Sini e Giuseppe Rachel, cantato, tra gli altri, dall’indimenticabile voce dei Tazenda Andrea Parodi.

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RADICI MEDITERRANEE

Le origini di Mahmood sono le radici da cui trae nutrimento la sua musica. C’è la Sardegna della mamma amatissima, una terra che sente sua e in cui spesso di rifugia per scrivere, c’è la periferia milanese in cui è cresciuto e c’è il Nord Africa di un padre assente, quello che riaffiora in brani come Il Nilo nel NaviglioBaci dalla Tunisia, la stessa Dorado. Ascoltare il concerto è un po’ come navigare lungo il Mare Nostrum, cullati da onde a volte più dolci e altre più energiche. Mahmood si commuove mentre canta Rapide, chiede aiuto al pubblico, poi introduce Brividi con una battuta: “Non voglio più cantarla per i prossimi 5 anni”. Noi però vogliamo che la canti ancora, vogliamo che canti ancora. E allora dopo aver lasciato il palco vi ritorna per il bis con Soldi, la canzone che ci ha insegnato a battere le mani a un ritmo sincopato e che a tanti ha insegnato a conoscere e amare Mahmood, uno dei più sinceramente eclettici tra gli artisti italiani.

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