Mahmood presenta il suo nuovo album Ghettolimpo, storie di una umanità semplice

Musica

Fabrizio Basso

Il nuovo album di Mahmood, artista che in breve tempo si è conquistato un posto fra i più importanti esponenti della scena musicale, con un tratto unico che lo distingue nel panorama contemporaneo

Un viaggio in un mondo che, come due binari, corre su un doppio immaginario. Ghettolimpo, il nuovo album di Mahmood, declina due anime dalle molte sfumature, che si ritrovano e intersecano nei testi dell’album, un disco vero che prende ispirazione da influenze e riferimenti di vita trasformati in una dimensione artistica e sonora dalle molteplici contaminazioni. A popolare le sue canzoni non incontriamo personaggi che guardano il mondo dall'alto, da una esclusiva turris eburnea bensì la narrazione di uomini e donne semplici, e proprio per questo straordinari, accomunati dal sentire comune di fornire un senso alla propria vita. Nessuno è immortale e nessuno è un semplice umano, ma si ritrovano entità con un’anima comune tesi a fronteggiare da un lato l’inarrivabile e dall’altro la realtà più cruda e quotidiana.



Ghettolimpo, Intervista a Mahmood

Hai creato un universo nuovo, il Ghettolimpo.
E’ un nuovo mondo che ho creato io dalla mia mente malata. A 8 anni mio nonno mi ha regalato l'enciclopedia Dami che alla fine conteneva un dizionario mitologico sul quale ero fissato. Ho maturato la consapevolezza che un ricordo è peggio dell’Ade.
Chi lo abita?
Non parla di dei o gente del ghetto ma è punto di incontro tra la cosa più alta e quella più bassa, è il mondo di mezzo abitato da eroi normali, quelli che tutti i giorni affrontano la quotidianità.
Quando c'è stato il cambio di mondi?
Dopo Sanremo è cambiato il mio stile di vita. Guarda la cover, ci sono io un po' scorpionico e poi c'è l’io normale. Il precedente Gioventù Bruciata era il mio passato, Ghettolimpo è il mio presente anche se lo ho scritto due anni e mezzo mi ci ritrovo in tot, non mi stufo di ascoltarlo.
L'incipit di Ghettolimpo è particolare.
E' a cappella con la melodia delle 5 preghiere del giorno che ho ascoltato quando sono andato a Il Cairo, un suono costante che mi piaceva sentire durante il giorno.
Ha sfumature sacre?
E’ un disco senza religione: pregare fuori da una chiesa è una preghiera libera verso qualcosa che non si conosce.
C'è un brano simbolo?
T’amo è la canzone nucleo, ho già parlato delle radici arabe ma mai di quelle sarde e io in casa parlo in sardo con mamma; qui ci sono le cornamuse sarde con la mia melodia sopra. In estate a Orosei, parlando con mia cugina Antonellina che gestisce un chiosco, mi ha raccontato di un coro femminile. Le ho ascoltate, ci siamo parlati e loro per sei mesi hanno provato a cantare su una base. A Milano abbiamo poi riregistrato perché loro erano abituate in un certo modo. Adoro quella vibes ecclesiastica senza religione che c'è alla fine.
Che mi dici di Kobra?
Ha il beat di un videogame, è una caratteristica dell’album. Ogni canzone ha un livello e un personaggio come un videogioco.
Tutte le facce che appaiono coesistono contemporaneamente?
E’ il mio scopo, Inuyasha e Kobra non le penso come cose diverse anche se una un beat r'n'b e l'altra è più cattiva. Il collegamento c’è a livello di testo.
Sembra di sentire una reazione a Soldi. Che è successo dopo quel brano?
Per una settimana dopo la vittoria al Festival i miei amici di sempre facevano fatica a relazionarsi con me, capisco che può essere strano ma poi torna tutto come prima. Io mi vedo come prima ma altri hanno visione distorta di me.
In T'amo, caratteristica anche per gli inserti in sardo, di non ti preoccupare ma tanto la forza è di chi sa sopravvivere.
Pensiamo che una persona chiusa tra quattro mura non può volare. Il volo può anche avvenire chiudendo gli occhi e decollare così. E' un modo per dare positività a un disco molto scuro e dark.
Resti sulla negativa?
Parlo anche dei miei lati negativi ma c’è sempre una apertura finale. Alla gente che se sei triste non frega niente, quello che importa è sapere che c’è un modo per risalire. Bisogna trovare il lato buono delle cose.
Due soli feat, con Elisa e Woodkid.
Ho collaborato con molti artisti nel tempo, stavolta loro due hanno una storia dietro più stimolante. Con Elisa quelle chitarrine sognanti conferiscono a Rubini un tocco più personale; è la seconda volta con lei. In generale ti dico che volevo qualcosa di più ed è importante valorizzare il feat, se ne metti troppi gli togli spazio.
Che mi dici di Woodkid?
Il disco aveva bisogno di qualcosa di più perché devo ancora dimostrare tante cose, sono agli inizi cose ne ho fatte tante ma per me sono ancora poche. Con Woodkid ci siamo scritti per un anno e mezzo, poi gli ho chiesto di vederci e sono stato tre volte a Parigi da lui. Lui scrive in inglese ma io in Karma volevo metterci cose mie se no il pezzo risultava asettico. Jacopo Pesce, il mio discografico, mi ha consigliato alla fine di inserire una strofa in italiano se no sembra che il pezzo non c’entri col disco.

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