Il cantautore, tornato con il nuovo album di inediti “7” e con la raccolta “77+7”, si racconta al vicedirettore Omar Schillaci nel nuovo appuntamento con il ciclo di interviste dedicate al mondo dello spettacolo. “Credo che la bellezza sia un po’ la dieta detox per la pulizia del cuore”
Credo che la bellezza sia un po’ la dieta detox per la pulizia del cuore. Parte così, con una definizione poetica eppure incredibilmente pratica di bellezza, l’intervista a Luciano Ligabue, che si racconta al vicedirettore di Sky TG24 Omar Schillaci in “Luciano Ligabue – Grande come un bambino” (LO SPECIALE), il nuovo appuntamento di Stories, il ciclo di interviste dedicate al mondo dello spettacolo di Sky TG24, in onda su Sky TG24 e Sky Arte e disponibile On Demand.
Ligabue è tornato con un nuovo album di inediti, “7”, già disco di platino, e la raccolta “77+7” che contiene i 77 singoli che hanno fatto la storia del Liga, ora disponibile anche nell’esclusiva versione vinile in sei uscite, con cadenza mensile, composta da 11 vinili colorati da 180 grammi. Facendo due conti su questi trent’anni di carriera – ha spiegato il cantautore -, abbiamo contato il numero di singoli che erano usciti e guarda caso sono 77. Un numero impressionante per la precisione del numero, io ho un legame molto forte con il 7, ma anche per la quantità. Abbiamo visto che ogni cinque mesi, in questi trent’anni, è uscito un mio singolo: come una goccia imperterrita che cade comunque. Ne abbiamo fatto una raccolta e a quel punto abbiamo fatto tornare tutto con sette canzoni per l’album. Erano un po’ di più, ma a quel punto abbiamo voluto far tornare quel numero a tutti i costi.
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Prima di scrivere le canzoni che di me si conoscono – ha raccontato Ligabue, parlando degli inizi della sua carriera - , ne ho scritte tantissime altre che per il bene dell’umanità non sono mai uscite. Non ho contribuito a un certo tipo di bruttezza, almeno con quelle. Erano scimmiottamenti di cantautori, in cui cercavo di mostrare a me stesso che sapevo scrivere canzoni, con una pseudo-poetica fatta di parole che volevano stupire, di un linguaggio alto. Finché un giorno prendo in mano la chitarra e mi esce una canzone che parla del mio sabato sera precedente, che è “Sogni di rock ’n’ roll”. Io lì ho capito che quello è il mio campo di gioco, in cui ho sempre giocato in questi trent’anni, che fossero canzoni, film, o racconti. Ovvero raccontare bene solo quello che avevo vissuto o di cui avevo visto vivere. Canzoni, film e racconti a ragion veduta. Il che può delimitare il campo d’azione, che è quello lì. Però in quel campo sento di poter dire la mia, di poter giocare la mia partita.
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Ligabue ha poi raccontato della sua infanzia nella provincia emiliana: I miei primi cinque anni di vita sono stati costellati di problemi di salute, poi credo di essermi rifatto un po’. Sono stato bambino negli anni ‘60, un periodo in cui i genitori non dovevano preoccuparsi per te. Sono cresciuto in una cittadina che vedeva la campagna a cinquecento metri dal centro, per cui ho giocato a calcio su qualsiasi fondo: cortili, giardinetti, acciottolato, prato, erba medica… E poi ovviamente cerbottane e fionde, scontri con le bande rivali, gare di bici e bagni nei fossi, con tanto di pesca a mano. Una serie di giochi che facevano sì che rientrassi ogni sera a casa piacevolissimamente spompo, esausto fisicamente. Ricordo ancora quella sensazione di essere felicemente esausto fisicamente.
Spazio anche per il Ligabue tifoso, da sempre innamorato della sua Inter: C’è una storia lunga di “interismi”, raccontati un po’ in tutte le salse, che, piaccia o no, corrispondono un po’ alla realtà. Basta guardare alla stagione scorsa, la partita più importante era una finale di Europa League: l’Inter ci arriva molto bene ed è favorita. Dopo un paio di minuti il giocatore più rappresentativo della squadra si guadagna un calcio di rigore e lo realizza, eguagliando il numero di gol di Ronaldo, quello dell’Inter, nella sua stagione migliore. Partita in discesa, il mito è già lì. A 15 minuti dalla fine un difensore del Siviglia ciabatta una rovesciata un po’ maldestramente, che è destinata a finire fuori porta e lo stesso giocatore più rappresentativo, svirgola il pallone e lo manda alle spalle di Handanovic. Lì c’è l’Inter. Queste cose ti fanno costantemente rimanere attratto dalla squadra, non so se sono anche lezioni di vita. La passione per l’Inter l’ho ereditata da un amico più grande di me quando avevo cinque o sei anni. È una passione, io comunque mi emoziono quando vedo un colore blu e uno nero, e quel mio amico comunque lo ringrazio.
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