Stories, "Luciano Ligabue - Grande come un bambino"

Uno dei più grandi protagonisti della musica italiana, tornato con l’album di inediti “7” e con la raccolta “77+7”, è ospite del ciclo di interviste dedicate al mondo dello spettacolo. L’infanzia nella provincia emiliana, le sue canzoni, la famiglia, la passione per l’Inter. Con il vicedirettore Omar Schillaci ripercorre i suoi 30 anni di carriera. VIDEO

Il tuo ultimo successo, Mi ci pulisco il cuore...

E' un titolo che ho trovato in un cassetto durante il lockdown, mi faceva sorridere. Ho pensato che con un titolo che può far pensare al peggio, potevo scrivere una canzone capace di parlare di bellezza. Credo che la bellezza sia la dieta detox per la pulizia del cuore.

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Anche le altre canzoni di 7, il tuo nuovo album, le hai trovate in qualche cassetto?

Alcune di queste erano canzoni già un po' vicine alla scrittura finale. Ad esempio, La ragazza dei tuoi sogni musicalmente c'era già. Via via, per ognuna di queste, c'era uno spunto, così le abbiamo fatte tornare con il numero per me ormai magico, il 7. Anche perché facendo due conti con questi trent'anni, durante il lockdown abbiamo riscontrato questa coincidenza, questo mio abbinamento con il 7: abbiamo contato il numero di singoli usciti e sono 77, un numero impressionante per la sua precisione e per la quantità. Abbiamo visto che ogni cinque mesi è uscito un singolo.

Ne hai fatto una raccolta, 77+7

Abbiamo fatto tornare il tutto con queste 7 canzoni. Erano un po' di più ma abbiamo voluto far tornare quel numero a tutti i costi.

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Facciamo un salto indietro a una canzone che tutti conoscono: Urlando contro il cielo

È stato un pezzo nato in un momento personale particolare, come molte delle canzoni dei miei primi due album. Sono stato adolescente negli anni Settanta, quando c'era un'intenzione collettiva chiara di cambiare il mondo e fare in modo che il mondo si occupasse degli ultimi. Poi sono arrivati gli anni Ottanta che hanno dato un colpo di spugna a tutto questo: sono stati molto divertenti, ma si viveva sotto l'egida "dell'ognuno si arrangi" e io ho sofferto un po' quel cambio di rotta e, di pari passo, non sapevo neanche bene che cosa avrei fatto nella vita.

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Ho cambiato molti mestieri perché nessuno mi piaceva e ho provato a sfogare questa sorta di mia compressione interna nei weekend o durante le ferie, e quindi spesso parlavo di questo bisogno di decomprimere, magari con una ragazza. Parla di questo Urlando contro il cielo, ma anche Balliamo sul mondo e altre canzoni di quel periodo. Alla fine questo testo è uscito durante una vacanza in Corsica, come mi dice spesso Maioli, il mio amico manager che ricorda effettivamente quando ha sentito per la prima volta suonare in acustico questo pezzo. Lo dice come se fosse stato testimone di un momento speciale… Magari lo è stato, almeno per noi.

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"Credo che la bellezza sia la dieta detox per la pulizia del cuore"

"Abbiamo contato il numero di singoli usciti in questi 30 anni e sono 77. Ogni cinque mesi ne è uscito uno"

"Quando è arrivata Sogni di rock'n'roll ho capito che potevo raccontare bene solo quello che avevo vissuto o che avevo visto vivere"

Hai appena celebrato 30 anni di carriera: cosa vedi guardando indietro?

Un percorso fatto anche un po’ a rotta di collo. Ne ho fatti 60 di anni, quindi 30 anni ad ascoltare musica e 30 ad ascoltarla e a farla. Forse avendo avuto l'occasione di fare musica anche col cinema e la letteratura, sono sempre andato a testa bassa scrivendo e facendo tanto. Per quello quando mi sono girato indietro per la prima volta, causa lockdown e motivato dal nostro trentennale, ho visto tutte queste cose e ho pensato fosse arrivato il momento di scriverle in un'autobiografia artistica. È stata l'occasione per scrivere questo libro che si intitola È andata così ed è stata un'occasione importante perché sono riuscito a rivivere, nel bene e nel male, le montagne russe che hanno caratterizzato questi 30 anni. 30 anni sono tanti, sono pieni di eventi personali importanti. 

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Parliamo di ricordi: chi era Pierangelo Bertoli?

Era un esempio di forza, di tempra morale e intellettuale. Nonostante lui si "vantasse" di avere letto solo tre libri nella vita, la sua visione del mondo era ampia e profonda, era sempre molto interessante sentirlo parlare della sua idea. Andavo spesso a casa sua e vedevo che si era fatto tutto da solo, non solo una carriera ma anche una bellissima famiglia, nella cittadina dove era nato e cresciuto. Aveva un forte legame con le sue radici. Io all'epoca, dentro di me, pensai che se fossi riuscito a farcela avrei voluto fare proprio così: il pendolare con il mestiere di cantante, ma sempre con un posto dove tornare. Anche io sono molto legato alle radici, come anche Guccini, per citarne un altro che aveva più o meno lo stesso tipo di intenzione.

Luciano Ligabue a Correggio, suo paese natale © Getty

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Parlando di ricordi c'è una canzone particolare, Ho messo via...

L'idea di voler crescere ma non farlo mai del tutto ha sempre avuto molto a che fare con me. Ho messo via è una canzone che parla soprattutto di questo, del dolore che a volte comporta crescere: mettere via delle cose a cui si tiene per andare avanti, ma non metterle mai via del tutto, tenerle sempre un po' sott'occhio.

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“Ho messo via i rimpiattini”... Quali erano i tuoi giochi da bambino?

I miei primi cinque anni di vita sono stati costellati da problemi di salute, poi mi sono rifatto. Sono stato bambino negli anni Ottanta, sono cresciuto in una cittadina che vedeva la campagna a 500 metri dal centro, per cui ho giocato a calcio su qualsiasi fondo. Ovviamente anche con cerbottane e fionde in scontri fra "bande" rivali, gare di bici, i famosi bagni nei nostri fossi con tanto di pesca a mano… Tutta una serie di giochi che facevano in modo che rientrassi piacevolmente "spompo" a casa. Ricordo ancora quella sensazione: essere allo stesso tempo esausto e felicemente esausto.

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Che bambino eri?

La mia è l'indole di un timido. Lo ero anche allora ma avevo comunque molti amici, molte compagnie. Pur avendo un mondo molto mio, non avevo problemi a frequentare gli altri.

Se ti dico la parola papà?

Mio padre era un concentrato di energia, testosterone, voglia di vivere. Per questo ci ha messo un po’ a capire come potesse essergli nato un figlio timido. Non è stato facilissimo il dialogo con lui, eravamo troppo diversi. 

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"Sono stato adolescente negli anni Settanta, quando c'era l'intenzione collettiva di cambiare il mondo. Poi sono arrivati gli Ottanta e ho sofferto un po' quel cambio di rotta"

"Pensavo che, se ce l'avessi fatta, avrei voluto fare il pendolare con il mestiere di cantante ma sempre con un posto dove tornare"

"Il reale è una proiezione di come noi vediamo il reale. Una parte di immaginato c'è anche in quello che chiamiamo realtà"

Come è nata Il giorno di dolore che uno ha?

Questa canzone ha una storia particolare. Quando ho cominciato questo mestiere ho pensato che sarebbe stato meglio non diventare amico di giornalisti musicali, non per una forma di snobismo ma perché ho pensato che, da amici, gli avrebbe creato qualche problema esprimersi liberamente su qualcosa che non gli piaceva, sarebbe stato un freno ingiusto. Con uno di loro non ce l'ho fatta, era Stefano Ronzani, che scriveva su diverse riviste musicali dell'epoca. Era una persona troppo a modo, troppo simpatica, troppo piacevole da frequentare per non diventare amici, facemmo anche delle vacanze insieme. Ad un certo punto si ammalò gravemente e mi resi conto che con le parole arrivavo poco, non riuscivo a produrre nessun tipo di sollievo, di conforto, così mi venne da scrivere questa canzone.

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Il giorno di dolore che uno ha nasce come una demo voce e chitarra che feci e gli diedi al posto delle parole che non ero in grado di dirgli. Lui fece il suo lavoro di giornalista musicale, mi disse che questo pezzo non potevo tenerlo per me perché avrebbe potuto dare conforto a molti. La cosa abbastanza particolare è che questa canzone, che ebbe una eco piuttosto forte, uscì come singolo di un album pieno di vitalità, Su e giù da un palco, la fotografia del nostro live del periodo fra il '96 e il '97, un momento magico. Il live era pienissimo di vitalità e questo pezzo così dolente diventò portavoce anche di quell'album. Le canzoni  fanno veramente come vogliono loro, vanno dove vogliono loro, arrivano a chi vogliono loro. Non siamo capaci di avere nessun controllo su di loro, se non di metterci dentro il meglio, di volta in volta. 

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Cos'è il dolore?

Per ognuno di noi è prevista una quota di dolore. Per alcuni è una quota più alta della media, ognuno deve fare i conti con il suo. Poi dipende quali sono le conseguenze del dolore che viviamo.

Parliamo di Radiofreccia. Artisticamente erano anni bellissimi, ti sei preso un rischio...

Esce Fuori e dentro il borgo e mi cerca un ex giovane produttore, Domenico Procacci, dicendo che lì c'era materiale per un film sulla provincia italiana e io gli ho risposto che ero molto curioso di vedere questo film. Mi propone di scrivere la sceneggiatura ma io gli dico che c’era un piccolo inconveniente, non sapevo come si scrivessero le sceneggiature. Così mi ha messo di fianco uno sceneggiatore e ci ho provato.

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In effetti le regole di base della sceneggiatura sono molto semplici e in poco tempo la scrivemmo. Mi piaceva molto e ancora oggi penso che sia meglio la sceneggiatura del film. Piaceva molto anche a Procacci, che mi chiese chi pensavo potesse essere il regista. Il tempo passava e lui tornò a Correggio e mi disse: ‘Il film è sempre la visione di un uomo solo e di questo film la persona con la visione vera sei tu, quindi dovresti girarlo tu’. Ho pensato che se avessi detto di no avrei rischiato per il resto della vita di rimpiangerlo, ma se avessi detto di sì sarebbe stato come lanciarsi senza paracadute. Ero a digiuno di qualsiasi conoscenza tecnica, così cominciai a studiare e comprai tutta la didattica possibile e cedetti, dissi di sì.

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Pensando sempre al fatto che un regista deve avere una sua autorevolezza con gli attori e con i tecnici, che erano tutti romani e di esperienza, nei primi giorni mi spacciai per uno che sapeva bene cosa fare e in qualche modo gliela diedi a bere, o forse loro hanno fatto finta di credermi, e alla fine sono riuscito a fare il film.

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C'è molto di te: l’amore per la musica, per il calcio, per la Resistenza, nel senso anche di “resistenza alla vita”...

Prima di scrivere le canzoni che si conoscono, ne ho scritte tantissime che non sono mai uscite. Erano scimmiottamenti di cantautori in cui io cercavo di mostrare a me stesso che sapevo scrivere canzoni usando una pseudo poetica che voleva stupire con un linguaggio alto. Finché un giorno prendo in mano la chitarra e semplicemente mi esce una canzone che parla del mio sabato sera precedente, Sogni di rock'n'roll, e io lì ho capito che quello è il mio campo di gioco ed è quello in cui ho sempre giocato in questi 30 anni, fossero canzoni, film, racconti: raccontare bene solo quello che avevo vissuto o che avevo visto vivere. Questo può delimitare il campo di azione, però in quello sento di poter dire la mia, di poter giocare la mia partita. 

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Ascoltiamo A modo tuo: non si nasce genitori...

No, sicuramente no. Poi non sai mai come lo diventi. Quanto bravo o quanto no. O dopo quanto. Anche perché sai che cambia il modo di esserlo a seconda delle loro fasi. Ho un figlio che ha attraversato le difficoltà dell'adolescenza, adesso sa chi è e cosa vuole fare nella vita, quindi sono meno preoccupato. Poi come riuscirà a cavarsela dipenderà molto da lui, dal suo modo di essere adulto. L'altra è in piena adolescenza e la devo seguire di più.

Come si fa a "guardarli da dietro" mentre vanno via?

Non si può fare altrimenti. Credo sia abbastanza facile avere un'ansia protettiva, io di sicuro ce l'ho, ma questo non combacia con quel lasciarli andare. C'è questa voglia di pensare che tu li sappia proteggere nel tempo ma non basta l'educazione data. Ci vuole fortuna e ci vuole fiducia nella vita. E incrociamo le dita.

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Papà di due figli, avresti voluto una famiglia più grande?

È un desiderio che avevo. Ho cominciato tardi ad averne perché il mio primo l'ho avuto a 38 anni. Ma sono stato molto tardivo in molti aspetti della mia vita, per esempio il mio primo concerto l'ho fatto a 27 anni, il mio primo disco è uscito che ne avevo 30. Quindi sono diventato padre a 38, poi però non avrei mai finito di avere figli, anche con una certa incoscienza. Poi non è andata così. Uno deve farsene una ragione.

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Chi è Elisa?

Non so quanto si sappia ma le nostre voci sono uniche, non c'è un'altra voce al mondo uguale alla tua, uguale alla mia. E dicono tantissimo di noi. Elisa ha una voce per cui, quando scrissi Gli ostacoli del cuore, non riuscii ad immaginare quella canzone se non cantata da lei.

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Ci siamo incontrati per la prima volta 15 anni fa, ci vediamo qualche volta, ma non ci conosciamo più di tanto. È una voce che misteriosamente mi tocca delle corde profonde a tal punto per cui la collaborazione è andata avanti. Io non ho mai avuto con nessuno una collaborazione così ripetuta come con lei. Poi c'è stata A modo tuo, di recente abbiamo trovato Volente o nolente, però non posso dire di conoscerla in maniera approfondita. 

Che studente eri? 

Sono stato il primo della classe fino alle medie comprese, senza effetti collaterali. I compagni di classe non mi vedevano come il secchione di turno e avevo tanti amici. Poi ho scelto ragioneria e lì sono crollato come studente perché le materie non solo non mi interessavano ma proprio faticavo a studiarle, non riuscivo a mettermele in testa. Quindi sono diventato uno studente mediocre nei cinque anni delle superiori.

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"L'idea di voler crescere ma non farlo mai del tutto ha sempre avuto molto a che fare con me. Ho messo via parla di questo"

"Le canzoni  fanno veramente come vogliono loro, vanno dove vogliono loro, arrivano a chi vogliono loro. Non siamo capaci di avere nessun controllo su di loro se non di metterci dentro il meglio"

"Per ognuno di noi è prevista una quota di dolore. Per alcuni è una quota più alta della media, ognuno deve fare i conti con il suo"

In questo viaggio torniamo a quel 7: chi ti conosce meglio, La ragazza dei tuoi sogni o la compagna di una vita?

Della ragazza dei tuoi sogni non puoi saperlo. Essendo lì non sai quanto ti conosce o quanto ti potrebbe conoscere. Sai, invece, quanto ti può conoscere la tua compagna, nel bene e nel male. 

C'è sempre una distanza tra il reale e l'immaginato...

Sempre, considerando che il reale è una proiezione di come noi vediamo il reale. Quindi una parte di immaginato c'è anche in quello che chiamiamo realtà. Spesso e volentieri si confondono soprattutto se fai un mestiere come il mio, pieno di immagini da catturare. Se devi esprimere, devi stare attento a quello che vedi e vederlo con un'immagine che riesca a produrre qualcosa. Il confine tra realtà e sogno da questo punto di vista è ancora più labile.

Ligabue con l'amico e manager Claudio Maioli © Ansa

Ligabue con l'amico e manager Claudio Maioli © Ansa

Passiamo al calcio: meglio vincere un triplete o vincere sempre?

Vincere un triplete è molto bello, però devi pensare che ci sia anche un po' di continuità dopo, non si può vivere solo di ricordi. Il triplete è meglio vincerlo e poi pensare che ogni tanto si possa continuare a vincere ancora. Anche più modestamente uno scudetto.

L'amore per una squadra ti fa soffrire tanto da innamorarti un po' di quella sofferenza?

C'è una storia lunga di "interismi" raccontati e che corrispondono a una realtà. Non c'è bisogno di andare indietro più di tanto, basta guardare alla stagione scorsa: la partita più importante era una finale di Europa League e l'Inter ci arriva molto bene, è favorita. Dopo un paio di minuti il giocatore più rappresentativo della squadra guadagna un rigore e lo realizza, eguagliando il numero di gol di Ronaldo nella sua stagione migliore. Partita in discesa, il mito è già lì.  

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A 15 minuti dalla fine, un difensore del Siviglia effettua un po’ maldestramente una rovesciata destinata a finire fuori porta, e lo stesso giocatore più rappresentativo svirgola il pallone e lo manda alle spalle di Handanovič (portiere dell’Inter, ndr.). E lì c'è L'Inter. Queste cose ti fanno rimanere attratto dalla squadra, ma questo non produce quella continuità che serve per vincere.

Ti sarai detto: "Ma perché non sono nato juventino, milanista..."

No, ho ereditato questa passione da un amico più grande di me quando avevo 5 o 6 anni. Allora vinceva molto l’Inter. Dato che è una passione e non ha niente a che fare con la razionalità, io tutt'ora provo un'emozione quando vedo un colore blu e un colore nero messi insieme. 

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